Disabilità

Vi racconto il lockdown di Luca, “adolescente speciale” con le scarpe sempre al contrario…

Mani

di Margherita Lampitelli, insegnante

Come hanno vissuto l’esperienza del lockdown i ragazzi speciali? E i loro genitori? Quali le difficoltà, i bisogni emersi, le ansie, le aspettative e cosa hanno potuto imparare da questo tempo di quarantena?

Oggi voglio parlarvi di Luca (nome di fantasia). È un ragazzo di 14 anni con disabilità intellettiva, che frequenta la terza media. In questi giorni di isolamento mi sono domandata come è stato il suo lockdown? Luca è autonomo nel lavarsi e nel vestirsi anche se con le scarpe sempre al contrario. A parte questo non è in grado di gestire in autonomia nulla che richieda un minimo di attenzione o programmazione, tranne il telecomando della televisione o i videogiochi sul pc.

Mamma e papà sono impiegati nel cosiddetto lavoro agile (per intenderci, quello che supera agevolmente l’orario di servizio), alle prese con altri figli più piccoli in casa. Luca, che dopo un primo momento di compiti a raffica (svolti regolarmente con tanta fatica), inizia il suo percorso- odissea tra le video-lezioni, si ritrova catapultano in un mondo nuovo, quello in cui è lecito stare al computer o al cellulare per molto tempo anzi, l’essere connessi, diventa un obbligo formativo. Per lui accettare l’idea che ci fosse un limite di tempo per il videogioco o per il video-commento dell’ennesima, “meravigliosa partita di calcio” era sempre stata una grandissima fatica. Adesso va a nozze con questa nuova dimensione formativa, la cosiddetta DAD (didattica a distanza). E, ogni volta che finisce la video-lezione si mette a giocare a scacchi o scarica videogames, e non si preoccupa di avvisare la mamma che sta lavorando accovacciata in qualche angolo della casa con il suo computer, e che ha lasciato a lui la postazione più comoda perché fa fatica a seguire e a rimanere attento. 

E inizia la giostra: la mamma si alza per controllare che la connessione sia stabile e lo trova a giocare. Allora spegne il computer e ricorda a Luca che sta per iniziare la lezione successiva. Ma il ragazzo, pur avendo capito le parole della mamma, è troppo preso dalle immagini del gioco. Quel pensiero gli riempie la testa e, dopo un po’, scoppia la protesta. E il suo non è un “protestare” da bimbo piccolo, qui è l’adolescente che inizia a sbraitare e a tirar fuori affermazioni tra il melodrammatico, l’arrabbiato e il sentimentale. “Non mi fai mai vedere nulla!”; “Io posso vedere e basta!”; “I miei amici giocano a tutte le ore! E tu, non mi fai vedere mai!!” e giù di lì in un delirio di parole senza senso. 

Il cucciolotto, quello a cui andavano le simpatie di tutti, quello su cui si posavano sempre indulgenti gli occhi di amici e parenti, adesso continua a gridare come allora, ma dice che “si è fatto grande”, che “vuole i suoi diritti”, fino a minacciare: “Io ti uccido, così posso fare quello che voglio davanti al computer”, e poi “vado a mammalandia a prendermi un’altra mamma”. Cosa questa che adesso non fa neanche più sorridere, anzi genera un riso amarissimo nei suoi genitori… Questa battuta dei 7/8anni, ripetuta a 14 anni fa emergere bruscamente la difficoltà che lui vive nello stare al mondo.

La famigerata crisi adolescenziale è arrivata anche per Luca. Chi di noi, fuori da ogni retorica, non ricorda questo momento in cui senza essere né carne né pesce si cercava un posto nel mondo, un momento di gloria? E anche per Luca è così, amplificato dal fatto che l’isolamento necessario per l’emergenza Covid ha fatto precipitare tutti i passaggi che, forse, sarebbero stati più graduali. La sua difficoltà a fare amicizia con i pari, la timidezza e l’insicurezza nell’agire, insieme alla paura di non farcela mai perché si accorge di avere una marcia in meno e non la accetta, ne fanno un vulcano in piena fase eruttiva.

Dopo la prima esplosione rientra in sé, chiede scusa alla mamma e si mette a seguire la lezione. “Meno male che i vicini conoscono la famiglia e i loro bisogni speciali!”, pensa ogni volta la mamma arrossendo al solo pensiero. Forse per la stanchezza o per il poco interesse, quando il fratellino va a controllare, lo trova di nuovo a giocare a scacchi o a seguire il suo youtuber preferito. La mamma rimette ordine nelle cose ancora una volta e Luca ritorna a lezione, mentre l’ignaro professore continua il suo bel monologo digitale. 

Certo che in questo modo avrà ben poco frutto su di lui la didattica a distanza, tuoneranno i nuovi partigiani della DAD. Per quanto coinvolgente possa essere una video-lezione non equivarrà mai al dialogo educativo in presenza, quello in cui, persone come Luca, apprendono non solo per l’attenzione posta ad una spiegazione, ma nell’imparare facendo e facendo con gli altri. I sostenitori dell’homeschooling mi perdoneranno, ma i vantaggi indubbi, che si potrebbero ottenere da queste pratiche educative, si azzerano quasi del tutto quando si tratta di persone con fragilità. Infatti i genitori, più o meno preparati che siano, non riescono a staccarsi mai dalla difficoltà del figlio e vi si confrontano anche sul piano della resa scolastica. L’apprendimento così diventa motivo di tensione e frustrazione tra ragazzo speciale e genitori e non momento di crescita gratificante per entrambi.

Leggi anche: La disabilità? Un altro modo di “essere nel mondo”

Seguito dalla mamma di mattina, dovrebbe studiare di pomeriggio, sempre sotto il controllo dei genitori. Ma Luca inizia a chiedere di poter vedere i suoi youtuber preferiti come momento di svago e resta nella stanza anche durante lo svago del fratellino. La madre, infatti, non sempre riesce a controllare l’adesione alle regole per cui spesso la stanza dove sta il computer viene chiusa a chiave oppure si nascondono i telecomandi della smart tv.

E la protesta inscenata diventa una tragedia shakespeariana, tanto che la mamma, disturbata da tanti strepiti, non riesce più a ricordare, al momento opportuno, dove abbia potuto nascondere le chiavi della stanza (anche quella matrimoniale) o i telecomandi di Sky o della smart tv. Ed ecco un’altra giostra, quella di cercare telecomandi e chiavi per poter vedere un telegiornale o poter entrare per dormire. Si arriva a fine giornata, con la cena pronta, a programmare i compiti da completare la mattina seguente, prima di iniziare la nuova video-lezione. 

Ma la mattina la mamma inizia a lavorare alle 8.30 e non sempre riesce a controllare Luca, che resta a poltrire sul divano ritardando così a connettersi con l’insegnate. Questa giostra multicolore ci racconta di uno spaccato di vita, quella di una famiglia con un figlio speciale che in questo lockdown si è dovuta rimboccare le maniche, non potendo fruire di nessun aiuto esterno per farcela.

Solo la tenacia e la determinazione dei genitori hanno impedito a questo ragazzino di non vivere l’isolamento come una tragedia a tinte fosche: senza terapie, senza rapporti con i compagni, chiuso nel proprio nucleo familiare e nella propria casa. La Scuola non ha saputo intercettarne i bisogni e non ha saputo motivarlo. Tutto è gravato sulle spalle dei genitori. In casa, hanno dovuto tener testa ad un figlio speciale di cui non conoscevano la parte adolescenziale. Oggi ci raccontano la loro storia (in video-chat) sostenendo che grazie a questa quarantena hanno compreso come rispondere meglio alle esigenze di Luca “adolescente speciale”. E ringraziano Dio per aver aperto occhi e cuore su questa delicata dimensione. Quello che poteva perdersi tra la stanchezza e il cucinare ossessivo, si è rivelato un tempo di grazia. Primo passo verso un dialogo genitori-figli che speriamo possa fiorire.




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