Donna

Agire chimicamente sul corpo della donna significa “liberarla”?

di Gabriele Soliani

Sapevate che la pillola contraccettiva ha compiuto 60 anni? Alcuni hanno festeggiato questo momento come una festa, ma lo è davvero? Considerando le ricadute sociali che ne sono pervenute, decisamente no.

Con meno enfasi del previsto, a causa del doloroso momento mondiale, si è ricordato il 60° anno dall’utilizzo della pillola contraccettiva. Il 10 maggio 1960 nelle farmacie americane, approvata dalla Fda, arrivava “la pillola” che influiva anche sulla società, sui costumi sociali, sulle scelte morali, relazionali e, non ultimo, sul corpo delle donne. I movimenti femministi del ‘68 ne approfittarono subito e ne fecero una “bandiera di libertà”. La pillola contraccettiva arrivò in Europa nel ’61, fu autorizzata in Italia nel ’67 per fini terapeutici ma accessibile di fatto solo nel 1976 quando il Ministero della Sanità abrogò le norme che vietavano la vendita della pillola anticoncezionale.

La pillola contraccettiva agisce grazie alla combinazione di piccole quantità di un estrogeno e di un progestinico perché l’assunzione quotidiana di questi due ormoni inibisce l’evento ormonale che induce l’ovulazione. Gli ormoni come possibili anticoncezionali si studiarono dagli anni ’30 ma fu l’infermiera Margaret Sanger, fondatrice della Planned Parenthood of America, che con i fondi dell’ereditiera Katherine McCormick creò un piccolo laboratorio con il biochimico Gregory Pincus e il ginecologo di Harvard John Rock per lo studio e il lancio sul mercato della pillola anticoncezionale. Si chiamò all’inizio infatti la “pillola Pincus”. Vengono i brividi a nominare la “Planned Parenthood of America” perché ora è una delle più grandi multinazionali per l’aborto nel mondo. Dalla “pillola contraccettiva” all’aborto. Col senno di poi possiamo dire che era prevedibile. Il pontefice San Paolo VI lo previde e con l’Enciclica Humanae Vitae ne intravide i rischi e la catastrofe demografica. Nell’Enciclica si afferma che “ogni atto sessuale” ha una sua intrinseca dignità umana e in certi giorni è anche fertile per il concepimento di una nuova vita. Proprio in quegli anni dall’altra parte dell’oceano (in Australia) un grande medico scoprì la possibilità per la donna di capire quali sono i giorni fertili e di agire secondo natura per evitare o avere una gravidanza. Era John Billings, il propugnatore in tutto il mondo del “metodo dell’ovulazione”, meglio conosciuto come “metodo naturale”. San Paolo VI lo ebbe come consultore ed amico nella stesura dell’Humanae Vitae, ovviamente osteggiata, svalorizzata e bollata come “bacchettona ed oscurantista” persino in ambienti ecclesiali cattolici.

Il primo prodotto si chiamò Enovid, definito contro i disturbi mestruali con la dicitura sulla confezione: “Questo medicinale eviterà l’ovulazione”. Vendette in meno di due anni più di mezzo milione di confezioni. Ora il contenuto della pillola è molto cambiato con la sintesi di nuovi progestinici, il progressivo ridursi dei dosaggi e soprattutto la diminuzione degli effetti collaterali. Da quella è arrivata la pillola del “giorno dopo”, e poi quella dei “cinque giorni dopo” e poi la RU 486, la famigerata pillola abortiva. Agire chimicamente sul corpo della donna significa “liberarla”? Bloccare l’ovulazione significa rispettare il corpo e la salute? Non aiutarla a conoscere i suoi ritmi naturali significa renderla più consapevole? Non insegnare all’uomo i ritmi naturali della donna significa renderlo più responsabile? Non educare i giovani a conoscere il loro corpo significa essere moderni e liberi? Il 60° compleanno della pillola non è una… festa.




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