CORRISPONDENZA FAMILIARE
Di don Silvio Longobardi
Se Dio scompare, l’uomo si dissolve
6 Aprile 2020
Pagine di una Chiesa che lotta per amore dell’uomo sono quelle che don Silvio oggi riporta nel suo blog per ricordarci che abbiamo bisogno di Dio, della centralità assoluta della sua presenza eucaristica. È questa la prima missione affidata alla Chiesa.
Cracovia, notte di Natale del 1973. Sfidando il rigido inverno polacco, l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla, celebra la Messa all’aperto nel quartiere di Nowa Huta, un sobborgo della città. Era nato negli anni ‘50 come emblema di un’ideologia che aveva escluso Dio dalla vita personale e sociale. In quel quartiere, che ospitava 40mila famiglie, c’erano le fabbriche, le scuole e gli ospedali. Mancava solo una chiesa. Il regime comunista non aveva fatto i conti con la fede rocciosa di un popolo e la faccia tosta del suo Pastore. Da quindici anni la gente chiedeva una chiesa e aveva anche raccolto la somma per costruirla. Uno scontro frontale che sembrava destinato ad aumentare la già notevole distanza tra la Chiesa e lo Stato.
Quell’anno il cardinale decise di rompere gli indugi e andò a celebrare il Natale proprio in quel quartiere. Inutile dire che a migliaia si radunarono attorno al loro Vescovo. Ed egli non deluse le loro attese: “Oggi a mezzanotte tutta la Chiesa nel mondo intero, su tutta la faccia della terra, dà di nuovo il benvenuto al Salvatore del mondo, che è nato a Betlemme. Lo saluta il Santo Padre celebrando a quest’ora la Messa di mezzanotte nella basilica di San Pietro. Lo salutano i vescovi in tutti i Paesi su ogni continente del mondo. Lo saluta la Chiesa di Cracovia qui a Nowa Huta. Noi veniamo qui per Gesù. Per Gesù noi cerchiamo un tetto”. Parole e gesti eloquenti, segno di una Chiesa che non ha smarrito la sua essenziale missione, quella di donare Dio agli uomini.
Varsavia, agosto 1980. Gli operai delle acciaierie sono barricati nella fabbrica, pretendono il pieno rispetto dei loro diritti. Prima di essere operai, sono cristiani battezzati. Per questo chiedono al cardinale di inviare un prete per confessare e celebrare Messa. Una richiesta che suona piuttosto strana ai nostri occhi. A maggiore ragione in un tempo in cui pare che possiamo tranquillamente fare a meno della Celebrazione Eucaristica. Oggi abbiamo altre cose più importanti da fare. E invece per quella gente, semplici operai che non avevano studiato, la fede non poteva essere confinata e la Messa non poteva essere abbandonata. Nemmeno nei tempi in cui dovevano occupare le fabbriche per ottenere il riconoscimento della loro dignità. Anzi, in quei momenti sentivano che avevano ancora più bisogno di Dio. Per questo chiesero un prete. Non avevano bisogno di un teologo che facesse dotte conferenze sul lavoro o di uno psicologo che li convincesse a tornare a casa per evitare conseguenze ancora più gravi.
A loro bastava un semplice prete per dire Messa. Fu mandato un giovane vicario, don Jerzy Popieluszko. Stando a contatto con gli operai, comprese che la Chiesa non poteva assistere in silenzio al dramma dei suoi figli. E decise di parlare usando lo strumento più efficace che la Chiesa conosce, e cioè la Messa. Una Messa mensile per la Patria. Rimase fedele a questo ministero fino a quando, quattro anni dopo, la sua voce venne soffocata con violenza. Non importa! Aveva vinto la sua battaglia, la sua luminosa testimonianza oggi risplende, la sua intercessione sostiene quanti non hanno paura di lottare per la verità. In quegli anni c’erano sicuramente preti che collaboravano con il regime comunista. E ce n’erano altri che facevano della prudenza il loro mestiere. Di loro non c’è traccia. La memoria di Popieluszko invece è benedizione, segno eloquente di una Chiesa che non fugge dinanzi al potere.
Occorre però ricordare che Popieluszko e Wojtyla avevano imparato dal primate, cardinale Stefan Wyszyński, che negli anni ’50 aveva preferito tre anni di prigione ma non aveva ceduto. Stiamo parlando di santi veri, quelli che pagano con la vita l’amore per il Vangelo.
Parigi, Settimana Santa 2019. La maestosa basilica di Notre Dame viene distrutta dalle fiamme. Dal punto di vista artistico si tratta di un danno incalcolabile. E tuttavia, in un’intervista concessa due giorni dopo con pacatezza e con fede Mons. Michel Aupetit, arcivescovo della capitale, dichiara: “Ricordiamoci che la cattedrale non è altro che uno scrigno creato per un gioiello assai prezioso, un piccolo pezzo di pane”. In quelle semplici parole c’era tutta l’essenzialità della fede. Se tante generazioni hanno messo il meglio delle loro energie per costruire e abbellire la cattedrale, era unicamente per edificare una casa degna di Dio, una casa per custodire, proteggere e far risplendere quel piccolo pezzo di pane che attraverso le mani dei sacerdoti è diventato il segno visibile e reale della presenza di Dio. Non è più un pezzo di pane ma il corpo glorioso di Gesù.
In queste vicende della nostra storia recente, trova conferma la fede della Chiesa, la fede dei martiri. Come quelli di Abitene che, nel corso di una delle persecuzioni più feroci dei primi secoli, furono sorpresi a celebrare Messa. Come avevano osato sfidare le leggi dell’imperatore? “Sine Dominico non possumus”, rispose con pacatezza il sacerdote Saturnino. Aveva ragione, senza la domenica non possiamo vivere.
“Non è necessario andare in chiesa”, si ripete oggi con un’insistenza che mi fa sospettare altri mandanti. Se lo dice un poliziotto, mi fa rabbia perché è un abuso di potere. Se lo dice un battezzato, mi rattrista perché non ha compreso il valore della presenza eucaristica. Se lo dice un prete, mi addolora perché taglia il ramo sul quale è seduto, getta alle ortiche il suo ministero.
Se Dio scompare, l’uomo si dissolve. La Chiesa si fa vicina all’uomo per avvicinare l’uomo a Dio. È un ponte che lega la terra al cielo. Se manca la seconda parte, diventa una semplice organizzazione umanitaria. È questo l’inderogabile punto di partenza se non vogliamo perdere l’appuntamento con la storia.
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