Restiamo Umani

In mezzo a tanto dolore Dio continua a chiamare…

medico

di Ida Giangrande

Le testimonianze di conversione che ci giungono dalle corsie sono impressionanti. Ci dicono che Dio non si è dimenticato di noi e che cammina nelle corsie degli ospedali insieme ai medici, agli infermieri e… ai sacerdoti.

“Mai negli incubi più oscuri ho immaginato che avrei potuto vedere e vivere quello che sta succedendo qui nel nostro ospedale da tre settimane. L’incubo scorre, il fiume diventa sempre più grande. All’inizio ne arrivavano alcuni poi decine e poi centinaia e ora non siamo più dottori ma siamo diventati dei selezionatori sul nastro”. Inizia così la testimonianza di un giovane medico in servizio in Lombardia.

Fino a due settimane fa, io e i miei colleghi eravamo atei. Era normale perché siamo medici e abbiamo imparato che la scienza esclude la presenza di Dio. Ho sempre riso dei miei genitori che andavano in chiesa. Nove giorni fa un sacerdote di 75 anni venne da noi. Era un uomo gentile, aveva gravi problemi respiratori ma aveva una Bibbia con sé e ci ha impressionato che la leggeva ai morenti e li teneva per mano. Eravamo tutti dottori stanchi, scoraggiati, psichicamente e fisicamente sfiniti, quando abbiamo avuto il tempo di ascoltarlo. Ora dobbiamo ammettere: noi come umani abbiamo raggiunto i nostri limiti, di più non possiamo fare e sempre più persone muoiono ogni giorno. Siamo sfiniti, abbiamo due colleghi che sono morti e altri sono stati contagiati. Ci siamo resi conto che dove finisce ciò che l’uomo può fare, abbiamo bisogno di Dio. E abbiamo iniziato a chiedere aiuto a Lui, quando abbiamo qualche minuto libero parliamo tra di noi e non possiamo credere che da feroci atei siamo adesso ogni giorno alla ricerca della nostra pace, chiedendo al Signore di aiutarci a resistere in modo che possiamo prenderci cura dei malati. Ieri è morto il sacerdote 75enne. Lui che fino ad oggi, nonostante avessimo avuto oltre 120 morti in 3 settimane qui e fossimo tutti sfiniti, distrutti, era riuscito, malgrado le sue condizioni e le nostre difficoltà, a portarci una PACE che non speravamo più di trovare”.

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Una testimonianza toccante che circola già da tempo sui social. Lo confesso, ho avuto bisogno di qualche giorno per metabolizzare le dichiarazioni di questo giovane medico che, con semplicità e schiettezza, sottolinea la disarmante distanza tra Dio e l’uomo, tra scienza e fede. Una distanza che sembra colmata dal dolore. Sono tante le testimonianze di questo tipo, una prova evidente che Dio non si è dimenticato di noi e che cammina nelle corsie degli ospedali insieme ai medici e agli infermieri e… ai sacerdoti. Se un merito possiamo riconoscere a questo virus invisibile, è di aver riportato a galla la santità di tanti nostri presbiteri. Mentre il Santo Padre spinge i cristiani di tutto il mondo ad unirsi in un’unica grande preghiera corale che si elevi verso il cielo, i nostri sacerdoti sfidano il virus e portano Gesù Eucaristico per le strade, alcuni muoiono restando fino all’ultimo accanto a pazienti che non ce la fanno e che sono costretti a spegnersi lontani dai loro cari, ma non senza il conforto di Dio. “Noi cerchiamo di esserci, per i malati ma anche per gli operatori sanitari. Medici e infermieri si sfogano e ci chiedono: pregate per noi, abbiamo bisogno del vostro sostegno perché di fronte alla gravità di questo dramma ci sentiamo impotenti”. A confidarlo in un’intervista al Sir è don Maurizio Lucini, incaricato diocesano per la pastorale della salute di Cremona e assistente spirituale all’Ospedale “Maggiore” della città. 

Don Maurizio, colpito lui stesso dal virus ma ora in via di guarigione, racconta la difficoltà ad accedere alla terapia intensiva, anche per non “sprecare” camice, mascherine, guanti, cuffie e occhiali, “materiale prezioso, non sempre disponibile e che si rischierebbe di sottrarre a medici e infermieri”. “Le prime settimane, prima di ammalarmi, d’accordo con i sanitari sono sempre entrato nelle stanze degli infettivi che ne avevano fatto richiesta, ma poi passavo in tutte le stanze. Ora non so che situazione troverò, non so se potrò continuare a farlo”. 

Per il sacerdote, in mezzo a tanta sofferenza, “Dio c’è: è nei gesti d’amore di medici e infermieri che rischiano di ammalarsi e anche di dare la vita pur di assisterli. E non si tirano indietro. Entrando in quelle stanze, noi non facciamo altro che mettere un sigillo su quanto c’è già”.




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