Una donna non può essere scambiata con una provetta

fivet, eterologa, fecondazione

di Padre Maurizio Faggioni, ordinario di bioetica presso la Accademia Alfonsiana

L’utero della donna non è uno spazio biologico qualsiasi, ma lo spazio umano che esprime la volontà di accoglienza della madre. Il luogo e il modo umano di diventare madre di un figlio.

L’amore degli sposi è per sua natura aperto al dono della vita e il figlio è come l’incarnarsi in una persona del “noi” coniugale. Questo umanissimo desiderio di generare può essere frustrato da problemi più o meno gravi di fecondità. Si stima che in Italia circa il 15% delle coppie presenti problemi di infertilità che dipendono dal marito o dalla moglie o da entrambi e che in non pochi casi risultano inspiegabili. 

La medicina viene giustamente in aiuto alla coppia agendo – quando possibile – sulle cause attraverso, per esempio, la microchirurgia tubarica o la correzione di alterazioni ormonali. Ci sono situazioni, però, in cui non si riesce a trovare la causa o ad agire sulla causa della mancata fertilità. In questi casi, la medicina offre la possibilità di ricorrere a tecniche di aiuto della fecondità generalmente note come tecniche di fecondazione artificiale. I primi tentativi furono fatti dapprima su animali e poi sull’uomo alla fine del’700, ma divennero sempre più frequenti nella seconda metà dell’800 tanto da provocare un intervento del Sant’Uffizio che, nel 1897, dichiarava illecito il ricorso alla fecondazione artificiale

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L’atteggiamento negativo della morale cattolica fu confermato e precisato da Pio XII, soprattutto in un discorso ai medici del 1949 in cui si ribadiva l’inaccettabilità delle tecniche di fecondazione artificiale. Allo stesso tempo il grande Pontefice affermava che questo giudizio negativo non riguardava alcuni “mezzi artificiali” che permettono all’atto coniugale di dare origine ad una nuova vita. In sostanza la morale cattolica accetta i mezzi biomedici che aiutano una fecondità imperfetta ponendosi in tal modo a servizio dell’amore degli sposi e della vita nascente, ma non accetta gli interventi che escludono l’atto coniugale. 

I principi etici fondamentali per valutare l’accettabilità di una certa procedura – enucleati in diversi documenti quali Donum vitae del 1987, Evangelium vitae del 1995 e Dignitas personae del 2009 – sono essenzialmente due: il primo è il rapporto fra la generazione del figlio e il contesto dell’amore coniugale e dei gesti che lo esprimono; il secondo è l’affermazione della dignità e della inviolabilità della vita umana fin dal suo sorgere. A partire da questi valori irrinunciabili del procreare umano, devono essere giudicate le diverse tecniche e situazioni. In questa prospettiva risultano inaccettabili tutte le tecniche di tipo eterologo, che prevedono, cioè, il ricorso a gameti di donatori e donatrici: è vero che il figlio è desiderato e accolto dalla coppia, ma le sue radici personali sono fuori dalla coppia e questo è un colpo al matrimonio e al diritto del figlio di nascere dal matrimonio. 

Illecita è anche la maternità surrogata gestazionale in cui una donna porta nel grembo il figlio di una coppia con l’impegno di consegnarlo ai committenti dopo la nascita: si ha un uso strumentale del corpo della donna ridotta a incubatrice e una frammentazione della figura materna che, in certe situazioni, può moltiplicarsi in modo sconcertante con una madre genetica, una madre gestazionale, una madre affettiva e legale. 

Per la sensibilità cattolica sono parimenti escluse le tecniche extracorporee che, come la fivet la icsi, prevedono il concepimento in vitro e il susseguente trasferimento dell’embrione precoce nell’ utero materno. Esse separano il concepimento dall’atto coniugale, fanno sorgere la vita fuori del contesto umano del corpo della donna ed espongono gli embrioni così concepiti alla selezione eugenetica, alla manipolazione, alla dispersione, al congelamento. Sembrerebbe indifferente essere concepiti in un piattino da laboratorio (la cosiddetta capsula di Petri) o nel seno di una donna: una donna non può essere scambiata con una provetta perché l’utero della donna non è uno spazio biologico qualsiasi, ma lo spazio umano che esprime la volontà di accoglienza della madre. Quello spazio umano e quella accoglienza nel proprio spazio interiore sono il luogo e il modo umano di diventare madre di un figlio. 

Vengono invece accettate in linea di principio le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e che conservano il legame antropologico fra l’amore coniugale e la trasmissione della vita. Fra le intracorporee la più usata resta la tradizionale inseminazione artificiale, ovviamente nella forma omologa, cioè all’interno della coppia. La fine sensibilità antropologica della morale cattolica chiede che il seme provenga da un atto coniugale e raccolto con apposito condom, piuttosto che da un atto di manipolazione dei genitali: il figlio ha diritto a nascere da un gesto di amore dei genitori, espressione della loro unione e del loro desiderio della genitorialità. 

Rispetto alla vasta gamma di proposte tecnicamente disponibili, la Chiesa ritiene accettabili solo alcune tecniche di aiuto della fecondità e la ragione ultima di questo diniego è la tutela di valori umani preziosi significativi. Per gli sposi cercare di superare la infertilità di coppia risponde ad un senso di responsabilità nei confronti della propria chiamata a donare la vita e pertanto essi hanno il diritto di essere aiutati e sostenuti, ma essi devono anche ricordare che il loro amore può e deve dimostrarsi fecondo attraverso un molteplice servizio alla vita e, soprattutto, all’adozione che rappresenta una modalità diversa, ma parimenti autentica di accogliere, con il proprio amore e nel proprio matrimonio una vita.

Chi è Padre Maurizio Faggioni: http://www.scienzaevita.org/noi-siamo/gli-organi-direttivi-nazionali/consigliere-4/




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