Festa del papà

di Miriam Incurvati, psicologa

Festa del papà, ma che tipo di padre si può essere oggi?

19 Marzo 2020

padre

La figura paterna ha subito una evoluzione complessa e straordinaria. Gli ultimi decenni hanno completamente rimosso lo stile paterno precedente. Come orientarsi di fronte ad una moltitudine di stimoli e di proposte?

“La famiglia è la cellula fondamentale della società”, si diceva un tempo. Probabilmente una simile affermazione ha ancora oggi motivo di esistere. Eppure la famiglia ha subito profonde scosse, notevoli cambiamenti. In modo particolare, i suoi componenti, le persone che la costituiscono, sembrano degli extraterrestri se confrontati agli stessi ruoli di almeno cinquant’anni fa. Il modo in cui è vissuta la genitorialità, lo stare in coppia e l’essere figlio è notevolmente cambiato negli ultimi anni. Qualcuno parla di madri “lavoratrici”, “padri “affettuosi”, figli “piccoli despota”. Ma come sempre, la situazione è molto più complessa. 

Oggi desideriamo approfondire la figura del padre. Possiamo affermare che durante gli ultimi vent’anni il ruolo del padre è andato modificandosi a favore di un coinvolgimento maggiore nelle cure dei propri figli. Da studi, condotti in diversi paesi, si evince che il tempo dei padri trascorso con i figli è effettivamente cresciuto in queste ultime decadi. Si consideri ad esempio lo studio di Fisher, McCulloch and Gershuny (1999) per il Regno Unito; Knijn e Selten (2002) per i Paesi Bassi; Halberg e Klevenmarken (2001) per la Svezia; Smith (2004) per tredici paesi dell’Unione Europea e Bianchi (2000) per gli Stati Uniti. Molti ricercatori concordano nell’affermare che i figli di padri presenti possiedono un maggiore sviluppo cognitivo rispetto a figli di padri meno coinvolti nel processo di accudimento. Inoltre, la vicinanza paterna sembrerebbe associarsi ad un maggiore sviluppo delle capacità di empatia e di autocontrollo.

Vari studi evidenziano, poi, un diverso modo di giocare con le mamme e con i papà. Questo gioco più fisico con i papà, di divertimento ed esplorazione sembra produrre più curiosità, creatività e migliori capacità di apprendimento (Feldman, 2007; Grossmanet al., 2002; Pancsofar, 2008). Tanto che alcuni autori considerano il coinvolgimento del padre come un fattore protettivo contro bassi livelli di benessere in adolescenza (Flouri, 2003). Il ruolo del padre inizia ad essere rilevante sin dal momento dell’allattamento del figlio, poiché può fungere da supporto e riferimento per la madre, può starle vicino offrendole comprensione e sostegno pratico, nonché calmare il pianto del bambino.

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Sembra emergere la necessità per l’uomo di oggi di trovare una nuova identità, forte e aderente al contesto sociale moderno. Un tempo i figli ricevevano un testimone ideale del padre e si facevano uomini. Oggi i genitori hanno interiorizzato figure genitoriali e modelli relazionali familiari e di coppia tradizionali, che poi però nel corso del ciclo di vita hanno sottoposto a critica e correzione. La cosa più difficile, forse, nel fare bene il mestiere di padre, sta proprio nell’accogliere, fare spazio alla figura paterna dentro di sé e nella propria vita. E quindi, innanzitutto, nell’accettarsi come figli, tranquillamente grati di ciò che dai nostri padri abbiamo ricevuto. Pronti a perdonare ciò che non hanno saputo e potuto darci. Quando il desiderio di avere un figlio si realizza, comincia davvero il mestiere di padre e tutto si complica.

Ma che tipo di padre si può essere oggi? Come orientarsi di fronte ad una moltitudine di stimoli e di proposte? Questa domanda rivela, oltre ad un bisogno di conoscenza, anche un problema di stile paterno, tutto da riscoprire o da reinventare. Gli ultimi decenni hanno completamente rimosso lo stile paterno precedente, qualche volta anche a ragione, più spesso per le necessità imposte dai mutamenti nelle forme di vita, e di lavoro. Mi piace prendere in considerazione qui innanzitutto, le citazioni di autorevoli studiosi della paternità: “Al modo paterno precedente però, ed è questo il guaio, non è stato sostituito nulla. Ci si è limitati a proporre/ imporre alla genitorialità uno stile indifferenziato, unisex, intercambiabile. Invece i due generi, maschile e femminile, possono portare in quell’esperienza tutta la propria ricchezza di vissuti, e competenze che sono profondamente diversi”. (Risé, 2004). Scrive ancora Risè nel 2015: “La diversità maschile non è più non solo apprezzata, ma neppure riconosciuta nelle sue funzioni biologiche, psicologiche e affettive. Viene considerata solo per costantemente ammonirla, in quanto possibile generatrice di discriminazione e violenza tra gli stessi maschi o sulla donna”. Al contrario, evidenze scientifiche ci portano invece a riconoscere l’esistenza di differenze strutturali tra il maschile e femminile che si esprimono pienamente nelle specificità materne e paterne.

Quali sarebbero dunque queste specificità? Secondo Zoja: “Il padre ideale dovrebbe favorire la crescita, la differenziazione e l’autonomia dei figli.” I tratti tipici del maschile sono caratterizzati da istinto esplorativo, eccitazione in condizioni di pericolo e rischio. Tutto ciò, collegato alla tendenza frequente ad avere una minore reattività ansiosa nei confronti delle attività dei figli (Browne, 1995, Sommers 2000), comporta che il padre, sempre tendenzialmente, sia più capace di spingere il bambino verso l’autonomia, ad affrontare i pericoli da solo. Inoltre, grazie ad uno studio svolto su varie culture del mondo, è oggi possibile affermare che i padri considerano aspetto dominante del loro ruolo il definire le regole, e trasmettere la disciplina. “Il padre è colui che provoca ferite, che apre i figli all’esperienza del limite e che proprio in tal modo li introduce alla vita adulta [e all’ingresso nella società]. Eliminare il padre o conferirgli scarso valore rispetto alla madre, equivale ad allevare individui con uno scarso senso della realtà e una scarsa capacità di sopportazione del limite, con successiva esplosione di violenza e aggressività”. (Risé, 2003). Il padre permetterebbe dunque al figlio di adeguarsi alla norma sociale, è lui che lo aiuta a reggere il confronto su un piano di realtà, insegna il valore del sacrificio, l’onore e la dignità del vivere e lo introduce nella società.

Al riguardo è interessante e forse ancor più arricchente il parere di Recalcati (2014) che afferma: “La domanda di padre che oggi attraversa il disagio della giovinezza non è una domanda di potere e di disciplina, ma di testimonianza… il padre che oggi viene invocato non può più essere il padre che ha l’ultima parola sulla vita e sulla morte, sul senso del bene e del male, ma solo un padre radicalmente umanizzato, vulnerabile, incapace di dire qual è il senso ultimo della vita ma capace di mostrare, attraverso la testimonianza della propria vita, che la vita può avere un senso.” Come diceva Franco Nembrini (2011) la vera richiesta è “che ci dimostri con la sua vita che valeva la pena venire al mondo.”

In questa “terrena di nessuno” rappresentata da questa fase di transizione da una mascolinità (e da una femminilità) ad un’altra, più partecipativa e consapevole, la cosa migliore è dunque forse adottare uno “stile creativo” che non rimanga incollato ai vecchi stereotipi maschili e paterni, ma che abbia costantemente il coraggio di riconoscere i propri vissuti più autentici, per rispondere nel modo più vero alle necessità della situazione.




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