Restiamo umani

Chi pensa ai sacerdoti contagiati o uccisi?

sacerdote

di Ida Giangrande

Ogni giorno il bollettino di guerra ci dice che sono sempre di più i contagiati tra medici e infermieri. Qualcuno inneggia, come è giusto che sia, anche alle altre categorie sociali esposte al pericolo perché non ci manchi nulla, tra queste anche i sacerdoti.

Bergamo, i sacerdoti morti a causa del contagio sono 10 tra cui monsignor Tarcisio Ferrari, ex segretario dell’arcivescovo Gaddi. A Parma sono 5 i sacerdoti morti. A Cremona se ne contano due. A Milano è scomparso ieri don Marco Barbetta, 82 anni, cappellano del Politecnico, figura nota nel movimento di CL. Nella diocesi di Lodi è morto don Carlo Patti, 66 anni. Una vittima anche in diocesi di Brescia, due nelle diocesi del Piemonte. Sono decine i sacerdoti positivi, alcuni in condizioni anche molto gravi.

A giudicare da questo bollettino di guerra, sembra proprio che le chiese non abbiano chiuso se non formalmente. Li abbiamo visti camminare per le vie delle città deserte in sella ad un furgoncino imbracciando un Rosario e un megafono. Li vediamo ogni giorno celebrare la Santa Messa da soli in chiese vuote. Cercano di raggiungere i fedeli usando le dirette Facebook, si fanno sentire attraverso WhatsApp. L’ultima proviene da Siracusa in Sicilia. Sulla porta della chiesa parrocchiale dedicata a San Paolo Apostolo e in tutto il rione, da qualche giorno è comparso un foglio con questa scritta: “Per evitare la diffusione del virus, anche la parrocchia di S. Paolo evita incontri ed assembramenti di persone. Tuttavia, oltre a fornire assistenza, vi lasciamo i nostri numeri telefonici a cui potete chiamare se vi sentite soli. Se avete qualcosa da segnalare, se semplicemente volete fare due chiacchiere”. A firmare il parroco, padre Rosario Lo Bello. Seguono i nomi di tre ragazzi e i loro rispettivi numeri di cellulare. Sono Giuseppe, Aleksander e Francesco in prima linea nel portare avanti una sorta di call center dedicato alle persone più sole del quartiere di Ortigia. La solitudine è infatti uno dei rischi e, probabilmente, una delle condizioni di tanti in questi giorni. I ragazzi fanno parte di un bel gruppo di liceali che collaborano con le iniziative della parrocchia.

Iniziative che a San Paolo sono tante, prima fra tutte la preparazione e la distribuzione di pasti caldi ai più poveri a cui i giovani contribuiscono, alternandosi con il gruppo degli adulti. E ora mettendo a disposizione il loro tempo per rispondere a chi chiama il loro numero, anche solo per fare una chiacchierata. “In un momento come questo – ci dice padre Rosario – , ho avvertito il rischio che la comunità si spezzetti e allora ho pensato che, non potendoci incontrare, dovevo  essere io e i miei collaboratori a raggiungere soprattutto i più soli, tramite il telefono e così abbiamo messo in piedi due servizi: uno fatto dai ragazzi che ricevono le telefonate di chi appunto ha bisogno, mentre gli adulti della comunità chiamano gli anziani di cui abbiamo i numeri e che già conosciamo”.

“Il mio problema in questo momento – sottolinea don Rosario – e lo dico anche a qualche confratello che mi ascolta, è la credibilità della Chiesa che deve dimostrare che c’è. Noi stiamo scommettendo molto. Se in questo momento noi non siamo presenti nel nostro tessuto, il rischio è che la gente pensi che la Chiesa serve a poco. È quello che ha fatto il Papa: camminare per strada, normalmente, perché la gente ha bisogno del conforto della Chiesa, ha bisogno di sentire che la Chiesa in Italia è ancora capace di costruire un tessuto sociale. La gente ha bisogno di percepire la Chiesa come chiesa di popolo”.

Quando si dice una “Chiesa in uscita”! In questo clima di incertezza generale dunque è importante trovare o ritrovare la forza per ringraziare e tra tutti non dimentichiamo un ringraziamento speciale anche ai nostri presbiteri perché nonostante il virus si fanno eco di una Chiesa vicina alla sofferenza dell’uomo.




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