Scuola

di Piero Del Bene, insegnante

La Scuola è fatta di carne e di spirito, il coronavirus ce lo sta insegnando…

10 Marzo 2020

scuola

Scuole chiuse, cioè nessun contatto e via con la didattica digitale. Ma questo non è il futuro, perché la Scuola è fatta di prossimità e l’essere umano è fatto per la prossimità.

Un pensiero mi accompagna da quando è stato scoperto il paziente numero 1 positivo al Covid-19, il coronavirus che tutti stiamo imparando a conoscere in questi giorni: dopo quest’esperienza l’Italia sarà diversa. Ogni evento porta con sé trasformazioni e cambiamenti, ma questo ne produrrà di maggiori. Ne sta già producendo. Questa cosa sarà vera soprattutto per la Scuola italiana. Io sono l’animatore digitale della mia scuola, sono cioè un docente che ha tra i suoi compiti la missione di aprire la didattica alle innovazioni digitali e provare a dematerializzare le dinamiche scolastiche. Tra i miei compiti rientra il traghettamento della mia scuola verso l’uso di didattiche diverse, al passo con i tempi e con i cervelli differenti dei nostri studenti. Un altro mio compito prevede la riduzione di materiale cartaceo e fisico delle strutture: meno carta si usa e meglio è per me, per esempio. Da ragazzo sono cresciuto leggendo, tra gli altri, i testi di fantascienza come la Trilogia “Io robot” di Isaac Asimov oppure guardando le serie televisive tipo Star Treck: mi hanno lasciato dentro la voglia di semplificare la vita per restituire alle persone maggior tempo per vivere le proprie esigenze di tipo spirituale. Per capirci, anche se il mio blog si chiama Dalla cattedra, sogno che questo arredo, un giorno possa essere sostituito da interfaccia più accessibili agli studenti.        

Il Covid-19 sembra essere giunto a proposito. Ci ha costretto a chiudere le scuole per motivi condivisibili e ci costringe a cercare canali alternativi alla didattica solita. Oggi, in piena guerra al coronavirus, uno dei principali focus della scuola è la didattica a distanza. Ma non è il solo. Faccio un esempio: la mia scuola è chiusa. Non si tratta solo di sospensione delle attività didattiche. In questi casi le segreterie sono funzionanti e i collaboratori continuano a frequentare la scuola. Scuole chiuse significa che nemmeno questo è possibile. Sono chiuse anche le segreterie. Questo fatto ci ha obbligato ad emettere comunicati ufficiali da casa. Nel frattempo stiamo sviluppando la didattica a distanza grazie alla quale i docenti inviano da casa materiale di studio ai loro alunni che da casa eseguono. In qualche scuola si è già effettuata qualche lezione on line attraverso piattaforme che lo consentono. Da questi eventi nasce l’idea che ha solleticato più di un collega animatore digitale: e se la scuola funzionasse sempre così? I Tg lo chiamano smart working e lo applicano giustamente anche alle molte aziende del terziario avanzato. Non è una novità per le nazioni più avanzate: per l’Italia, invece, sì. Il pensiero, in un primo momento, mi solletica la voglia. Quali sarebbero i vantaggi? Meno transumanza di persone, quindi meno inquinamento. Quando si lavora a distanza, senza obbligo di presenza in ufficio, c’è maggiore flessibilità, contano i risultati anziché le ore passate alla scrivania e questo per la nostra mentalità è un problema. Noi siamo abituati a pagare ad ore anche se magari queste sono poco produttive. In questa modalità si decongestiona inoltre il traffico (si riduce anche lo smog), i mezzi pubblici non sono presi d’assalto e la qualità della vita dei lavoratori cresce, perché l’attività professionale si concilia maggiormente con la vita privata. 

Leggi anche: Non tutti gli anziani muoiono… nonna Armanda ce l’ha fatta

Sembra che aumentino anche i risultati. Le scuole che stanno già praticando tale didattica riscontrano anche meno intemperanze da parte degli alunni, affascinati, invece, dalla novità. Sono soprattutto alunni delle superiori, va detto. Ci sarebbero inoltre meno posti di lavoro a carico dello Stato: non servirebbero più i collaboratori e le ditte di pulizia. Come avviene per i caselli autostradali automatizzati che ormai hanno soppiantato l’umano. Ci sarebbero anche altri vantaggi che tralasciamo. Quali gli svantaggi? Qui i pareri sono disparati. Il primo è sotto la lente di ingrandimento del governo in questi giorni: chi starebbe a casa con gli studenti, soprattutto i più piccoli? C’è una certa componente di sitteraggio della scuola che in questo periodo risulta più evidente. Chi ci assicura poi che gli studenti studino effettivamente? Si porrebbe il problema di esami periodici severi. C’è anche il rovescio della medaglia. Lo smart working rende più arduo il coordinamento tra lavoratori, che invece risulta più agevole quando si è tutti nello stesso ambiente fisico. L’accesso ai dati aziendali da remoto, inoltre, fa crescere i pericoli per la sicurezza e, quindi, la necessità di potenziare gli strumenti tecnologici e assicurativi a protezione dei sistemi operativi. Sono scenari futuribili, ma non troppo. Ma c’è un altro problema che mi trattiene dal perseguire il mio sogno da ragazzo ed è il più serio. Questo tipo di scuola potrebbe funzionare se la scuola fosse solo un luogo di distribuzioni di nozioni. Ma non è così. Paradossalmente la crisi che viviamo ce lo sta dimostrando: le scuole sono chiuse perché a scuola ci si tocca, si sta gomito a gomito, ci si alita in faccia, si assaporano gli umori anche fisici, gli odori o i cattivi odori vorrei dire, di persone che non abbiamo scelto noi, con le quali siamo chiamati a compiere una parte di cammino. C’è un quid di misterioso in questo fatto, oserei dire persino vocazionale.

La crisi da coronavirus ci sta ponendo soprattutto un problema di distanze. Ci si ripete più volte che per qualche mese dobbiamo cambiare abitudini, evitare i contatti: chi lo dice ai miei alunni di seconda media che ad ogni cambio d’ora si addensano nell’angolo senza banchi dell’aula per toccarsi, sentirsi, stuzzicarsi, sfidarsi anche solo ad occhiatacce? E chi lo dice alle alunne che aspettano ogni pausa per scambiarsi orecchini, trucchi, pettinarsi, farsi persino trecce ai capelli? L’essere umano è fatto per la prossimità: ce lo sta insegnando il coronavirus quando vediamo come facilmente ci viene di allungare la mano o la guancia per salutarsi. Anche i tanti surrogati che ci arrivano, gomito-gomito o piede-piede, stanno li a rinfacciarci questa verità che evidentemente abbiamo dimenticato. Le circolari che arrivano alle scuole in questi giorni lo dicono chiaramente e paradossalmente: “Si utilizzino tutti i mezzi tecnologici disponibili per mantenere il contatto con gli studenti”. Dunque, cerchiamo di svolgere il programma, ma non smarriamo il contatto almeno emotivo. Come ha detto il pedagogista Bertagna: Ciascun bambino deve capire che la maestra pensa a lui e, insieme, a ciò che lui può imparare dalla situazione in cui si trova”. È necessario – ci ripetono – che i docenti facciano sentire la propria vicinanza agli studenti, chiedano loro come stanno, mandino anche messaggi personali. Il Ministro Lucia Azzolina ha ribadito che: “La didattica a distanza rappresenta uno strumento utile non solo per l’apprendimento ma anche come canale per non perdere il contatto docenti-alunni”. Il grande paradosso risiede nella constatazione che i devices e le nuove tecnologie, che fino ad ora erano accusati di separarci o dividerci o isolarci, adesso servono per mantenere il contatto. Questo sì che è un cambiamento! E allora? La scuola senza plessi, dematerializzata, avrebbe ancora senso? Si fa fatica a ritenerlo proprio ora che sperimentiamo la lontananza.

Don Lorenzo Milani, che altre volte abbiamo citato, aveva capito bene questo fatto, quando decise di tenere presso la propria casa canonica i suoi studenti, figli di contadini strappati all’agricoltura, per ventiquattro ore al giorno e per sette giorni alla settimana. La Scuola è una comunità di carne e spirito, non solo di nozioni e conoscenze. Anzi, come ci ricordano alcuni risultati recenti prodotti dalle neuroscienze, le conoscenze arrivano meglio al cervello solo se passano positivamente attraverso il corpo, i sensi, le esperienze. Arrivano solo se ci si “tocca”, se ci si contamina, se si diventa effettivamente comunità che tutto condivide. I collaboratori scolastici, i bidelli, in questo diventano centrali nella misura in cui si fanno “spalla” sulla quale gli studenti possano appoggiare le loro teste nei momenti di difficoltà: e quanti di essi, infatti, conoscono i “segreti” degli alunni! Per cui, per adesso, ripongo il mio sogno nel cassetto in attesa di declinarlo meglio in futuro. Le tecnologie sono un grandioso aiuto e lo scopriamo in questi giorni. Esse, tuttavia, non sostituiscono l’insegnamento perchè esso è relazione, socialità e sviluppo del senso critico e non si può che farlo insieme docenti, studenti e famiglie. In questi giorni, diventano, dunque, più importanti anche i genitori che avranno necessariamente più tempo da passare con i figli. Anche questo potrebbe essere annoverato tra i risvolti positivi del Covid-19. Anche se nell’aria c’è tanta pesantezza, questo virus, alla fine, cambierà in meglio le nostre vite a casa e a scuola e, forse, anche in società.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.