Fate in modo che i figli si chiedano: “Perché mi comporto in questo modo?”

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L'omologazione, lo svuotamento di significato, il relativismo decisionale fanno parte integrante della vita dei nostri giovani. Da dove ripartire? Iniziamo dall’educare al senso critico.

Molte sono le pagine nere che ci giungono dai notiziari. Spesso ad essere protagonisti di questi tristi episodi sono ragazzi e ragazze poco più che adolescenti: violenze sessuali, bullismo e ultimamente aggressioni sempre più spietate anche a carico di medici e infermieri. Spesso la rabbia di questi ragazzini si consuma anche contro se stessi, penso all’autolesionismo, all’uso sempre più smodato di droga e alcol. Uno scenario che non può lasciarci indifferenti e che, invece, deve farci riflettere.

Da dove ripartire? Sono tanti gli spunti su cui riflettere e ci proviamo in questa rubrica dove vogliamo interrogarci come genitori di oggi, alle prese con una realtà estremamente frammentata e disorientata. Proviamo a soffermarci su questo spunto: educare al senso critico. Se analizzo alcuni dei ragionamenti di molti degli adolescenti che incontro mi accorgo che manca la capacità di analizzare il proprio comportamento. 

L’omologazione, lo svuotamento di significato, il relativismo decisionale si combattono con una coscienza critica ben definita che, di volta in volta, interviene per suggerirci la strada da prendere. E quindi, come genitori, è necessario accompagnare le nuove generazioni e aiutarli a rendere ragione dei loro comportamenti. Dobbiamo insegnare loro a porsi una domanda: “Perché mi comporto così?”. La risposta più comune da parte dei nostri figli è “perché no?”. E, a questo punto, io chiederei invece “perché sì?”. I figli hanno bisogno di essere ascoltati e allora chiediamo loro di motivarci le loro azioni.

È un esercizio che li aiuterà a sviluppare il senso critico, ad imparare a rendere ragione, a chiamare per nome le esigenze, i bisogni, la volontà di corrispondere. Li aiuterà a riconoscere gli idoli a cui stanno sacrificando e offrendo la loro volontà. Fate attenzione cari genitori, potremmo scoprire di aver dei figli giudiziosi o di aver dei figli abili al compromesso o, addirittura, figli che non hanno proprio il senso del loro agire. Ad ogni modo se ascoltiamo con il cuore e l’intelligenza spirituale ne avremmo ricavato una traccia educativa. Una pista su cui costruire una vera e propria strategia di comunicazione. Una delle verità fondamentali da cui partire è che non c’è niente che può giustificare il male. Ricercare il bene significa rifiutare il male. Non c’è spazio per compromessi, soprattutto oggi. Su questo i genitori devono avere le idee ben chiare.

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Un altro passaggio importante è educare i nostri figli a conoscere i beni con i quali tutti i giorni facciamo i conti e rispetto ai quali esercitiamo la nostra coscienza morale, ovvero la nostra capacità di rispondere al bene. Al mondo esistono i beni piacevoli, quelli che appagano i nostri bisogni come mangiare, bere, riposarsi. Poi ci sono i beni utili, ad esempio facciamo sport per questioni di salute se non di estetica, studiamo per migliorare la nostra cultura e affermarci professionalmente. Infine ci sono dei beni che sono buoni in sé, non perché piacevoli o utili ad esempio l’amore, l’amicizia, la comunione, il rispetto. L’impegno educativo è soprattutto verso questi ultimi perché pur essendo buoni in sé sono anche i più difficili da praticare. L’assenza o una cattiva interpretazione dell’amore, della comunione e del rispetto possono, infatti, portare a pericolose derive. Come è possibile che siamo arrivati a pensare che è naturale che un bambino cresca con due uomini o con due donne? Come è possibile che siamo arrivati a pensare che l’unione omoaffettiva è uguale al matrimonio? Evidentemente perché abbiamo perso di vista il bene per se stesso, lo abbiamo legato al piacere, all’utilità, alla soggettività; si è sostituito il bene oggettivo con l’opinione soggettiva, sicché il desiderio legittimo di pochi, finisce per essere legge, e schiacciare il bene di tutti. Accettiamo tutto.

Per educare al senso critico bisogna fissare dei punti. A mio avviso dobbiamo aiutare i nostri figli a riconoscere:

1. La soggettività e l’alterità

La soggettività è più che percepita ne sono sicura l’alterità un po’ meno. Il riconoscimento del bene personale non può andare a discapito del bene altrui come dire che non posso costruire il mio bene sulla morte dell’altro. Il rifiuto di confrontarsi, di relazionarsi, ovvero di far dipendere la propria scelta dal bene anche dell’altro, costruisce una storia di violenza. Quando invece la relazione è accettata allora si assiste allo sforzo quotidiano di costituire un tessuto umano che consente la convivenza pacifica e sociale. E la rinuncia chiesta non è a discapito della persona ma per la sua realizzazione in pienezza. 

2. Il bene dell’uomo

Aiutiamo i nostri figli a scegliere come fine di ogni azione il bene dell’uomo, di ogni uomo nella sua interezza. La domanda a cui rispondere è: a chi fa bene questa cosa che sto facendo? A me stesso, ma anche alle persone coinvolte? E se pure ci fosse il consenso di questi, ci sarebbe da domandarsi: è un’azione degna per l’umanità? Rispetta la dignità dell’uomo? È possibile fare tanti esempi se vogliamo prenderli dalla nostra attuale quotidianità sociale: desiderare un figlio è una cosa buona, ma se per farlo devo “usare” una madre surrogata allora forse devo interrogarmi. E se questa per ragioni economiche, di disperazione o di annichilimento desse la sua disponibilità a prestare l’utero, manca sempre la tutela del bene del bambino che non è un oggetto da vendere in un mercato apposito. 

3. Il fondamento della coscienza morale

Ovviamente questi primi due criteri – la soggettività e l’alterità, il bene personale e altrui, e scegliere come fine di ogni azione il bene dell’uomo – non reggono a lungo se non c’è l’istintiva capacità interiore di discernere il bene e il male. E noi sappiamo che il principio da cui partire non può essere che Dio. Sappiamo che è Dio la fonte e la ragione dell’agire che ci rende liberi. Quando arriviamo a questo punto soprattutto con i nostri figli un po’ più ribelli, allergici alla religiosità bisogna far ricorso alla testimonianza e al racconto delle ragioni della propria fede e anche al concetto dell’etica. Ogni uomo sente il dovere di rispettare gli altri, osservare il codice della strada, non uccidere, non rubare. I comandamenti biblici prima di essere scritti sulle tavole della legge fanno parte del patrimonio morale di ogni uomo e di ogni civiltà. Perciò se per i nostri figli non è ancora arrivata l’ora della fede non scoraggiamoci piuttosto aiutiamoli ad essere coerenti con la loro razionalità. Perché un’etica razionale accoglie con rispetto ogni altra visione del mondo e guarda all’uomo nella sua integrità senza dimenticare la sua costitutiva religiosità. Se così stanno le cose il passo per riconoscere Dio è il prossimo, perché certamente la ragione incontrerà un luogo in cui deve sconfinare nel mistero. 




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Giovanna Pauciulo

Sposa e madre di tre figli, insieme al marito Giuseppe è referente della Pastorale Familiare per la Campania, ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Conduce su Radio Maria la trasmissione “Diventare genitori. Crescere assieme ai figli”. Collabora con Punto Famiglia su temi riguardanti la genitorialità e l’educazione alla fede dei figli. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018).

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