CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

L’aborto, la più terribile negazione dell’altro. Come vincere l’indifferenza?

27 Gennaio 2020

La Giornata per la Vita, istituita dalla Chiesa italiana nel 1978, vuole dare voce ai bambini che non sono ancora nati ma sono vivi e vegeti nel grembo delle loro madri. È un compito triste ma doveroso perché è assolutamente necessario ricordare a tutti quello che la società si ostina a negare: e cioè che i bambini uccisi nel grembo materno sono esseri umani, in tutto simili a noi.

Tutto il mondo (o quasi) celebra oggi la Giornata della memoria per ricordare lo sterminio degli ebrei. La tragedia di cui si parla è avvenuta negli anni ’40 del secolo scorso, 80 anni fa, ma questa Giornata fu istituita dalla Nazioni Unite solo nel 2005. Prima abbiamo fatto finta di non sapere, poi abbiamo cercato di dimenticare. Alla fine tutti hanno compreso che era doveroso fare memoria degli errori commessi per evitare di ricadere nuovamente nella stessa barbarie. Le immagini di quegli eventi suscitano un legittimo turbamento, ci domandiamo come sia potuto accadere tutto questo. Ci sembra impossibile che gli uomini abbiamo potuto trattare i loro simili con tanta crudeltà. Si tratta senza dubbio di una pagina vergognosa della storia dell’umanità. Non l’unica, a dire il vero.

La Giornata per la Vita, istituita dalla Chiesa italiana nel 1978, si muove nella stessa direzione, vuole dare voce ai bambini che non sono ancora nati ma sono vivi e vegeti nel grembo delle loro madri. È un compito triste ma doveroso perché è assolutamente necessario ricordare a tutti quello che la società si ostina a negare: e cioè che i bambini uccisi nel grembo materno sono esseri umani, in tutto simili a noi.

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Nessuno oggi parla dell’aborto, nel mondo dei talk show quotidiani che imperversano su ogni canale televisivo, questo tema è accuratamente evitato. Si parla di tutto, ogni forma di disagio sociale trova spazio ma nessuno ha voglia di parlare delle mamme che hanno difficoltà ad accogliere la vita e nessuno vuole fa vedere quel bambino che sta accucciato nel grembo della madre, come un clandestino senza diritto di cittadinanza. 

Anche la Chiesa fa silenzio. Dispiace dirlo ma è così. Il Messaggio dei Vescovi italiani parla della vita come di un desiderio di bene e invita ad esercitare la responsabilità dell’accoglienza. Le parole sono belle, raffinate e… generiche, non tali da scuotere le coscienze, incapaci di suscitare un confronto acceso nell’opinione pubblica. Ben diverso è il linguaggio forte e deciso degli anni passati, nel 2005 ad esempio i Vescovi scrivevano senza troppi peli sulla lingua: “L’aborto, quando è compiuto con consapevole rifiuto della vita, superficialmente o in obbedienza alla cultura dell’individualismo assoluto, è la più terribile negazione dell’altro, la più gelida affermazione dell’individuo che ignora l’altro, perché riconosce soltanto se stesso”. Un giudizio netto che non si traduceva in una condanna della donna, che nella gran parte dei casi è vittima e non colpevole, ma chiamava in causa tutta la società: “In non poche circostanze, in verità, l’aborto è una scelta tragica, vissuta nel tormento e con angoscia, sbocco di povertà materiale o morale, di solitudine disperata, di triste insicurezza: in queste situazioni a negare l’altro è, in ultima analisi, tutta una società, cieca nei riguardi dei bisogni delle persone e insensibile al rispetto del figlio e della madre”. 

Se fosse riconosciuto come una tragedia, potrebbe stimolare una forte reazione etica. Se l’aborto fosse percepito come un disagio sociale dovrebbe suscitare un comune impegno per superare le cause che lo favoriscono. Niente di tutto questo. Per la politica l’aborto non appartiene alla categoria dei problemi sociali, è semplicemente una questione sanitaria. Chi non ha voglia di accogliere il bambino, si rivolge all’istituzione pubblica che provvede tempestivamente a eliminare il bambino, pardon… il problema. Zitti e mosca. E guai a dire che si tratta di un infanticidio. Si rischia una denuncia penale.

Non possiamo tacere dinanzi a questa menzogna. Anzi, quanto più viene amplificata, tanto più abbiamo il dovere di alzare la voce. Il nostro impegno per la vita trova tante espressioni, nei limiti delle risorse che possiamo mettere in campo. Uno dei capitoli più interessanti e fecondi è quello dei colloqui per la vita che facciamo con le mamme che hanno intenzione di abortire.

Fare un colloquio significa aiutare la mamma a riconoscere il bambino che porta in grembo, darle tutto il sostegno possibile per accogliere la vita, far vincere l’amore e non la paura. Tutto questo è certamente un bene per il bambino, che vedrà la luce, ma è un bene anche per la donna alla quale viene evitato di vivere un evento traumatico che resterà per sempre impresso nella sua esistenza. Per sempre, anche se non sempre ne avrà piena coscienza. Il male è come una ferita nascosto che debilita se non viene rimarginata e cicatrizzata.

Potremmo raccontare tante storie. Una di queste è quella di Giovanni Battista. È uno di quei bambini che non avrebbe dovuto nascere e che oggi rallegra il cuore dei genitori e dei nonni. Quando la mamma si accorge di essere incinta vive un periodo di grave turbamento, ha fatto uso di psicofarmaci per liberarsi da un’acuta depressione. In questi casi, anche senza ulteriori accertamenti i medici prescrivono l’aborto. Lo prescrivono proprio come se fosse un dovere sanitario, un fatto oggettivo e obbligatorio. Loro non hanno dubbi: il bambino può nascere con patologie gravi a causa dei farmaci assunti dalla mamma. Aggiungono che la gravidanza e il parto sarebbe un ulteriore trauma per la donna che aggrava la sua già debole condizione psichica. I medici ovviamente non si assumono responsabilità. Si limitano a dire che l’unica via d’uscita è quella di eliminare il bambino.

Il Signore ha voluto che i genitori di questo bambino trovassero sulla loro strada i volontari della vita. La storia è andata i tutt’altra direzione. Il bambino è nato, è sano ed è la gioia di tutta la famiglia. Un domani potrà dire: “Sono vivo per miracolo”, proprio come quelle persone che sono tornate vive dai campi di sterminio nazisti. 

“Ho detto, e sono sicura di quello che affermo, che la maggiore aggressione alla pace del mondo viene oggi dall’aborto. Se una madre può uccidere suo figlio, cosa può impedire a voi e me dall’ucciderci reciprocamente?”. Lo diceva Madre Teresa di Calcutta. La santa della carità che non si limitava a certificare il disagio sociale ma interveniva per sanare le ferite dell’umanità. Lei stava dalla parte dei poveri. E quei bambini non ancora nati erano i più poveri dei poveri. Lei non ha avuto timore né dubbi. Una testimonianza da ricordare e un esempio da seguire.




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