Maternità surrogata

In Messico donne pagate per essere inseminate e poi abortire…

di Ida Giangrande

Sono tra le più povere del Messico e sono state pagate per produrre embrioni in serie da destinare alla ricerca e alla surrogazione di maternità. Perché? I figli dell’utero costano meno e sono più sani di quelli in vitro.

Il noto intellettuale libertario americano Wesley J. Smith ha scritto un articolo il cui titolo recita così: “Gli scienziati pagano le donne messicane per rimanere incinte e abortire”. Perché? Che senso ha pagare una donna per inseminarla e poi farla abortire? È semplice,scoprire se gli embrioni concepiti e cresciuti in utero sono più performanti di quelli ben più “costosi” nati in laboratorio.

No, amici cari, non è fantascienza ma realtà nuda e cruda. La sperimentazione è avvenuta tra agosto 2017 e giugno 2018, presso il Punta Mita Hospital, in Messico, una clinica di Punta de Mita per la fertilità che gestisce servizi di surrogata. Il genetista Santiago Munné ha condotto col suo team una ricerca per scoprire se fosse clinicamente possibile recuperare embrioni umani vivi tramite una tecnica nota come “uterine lavage” e stabilire se fossero più o meno “sani” di quelli prodotti con le tecniche della fecondazione in vitro.

Per farlo i ricercatori hanno selezionato, tra le iscritte all’elenco dei donatori di ovociti della clinica, 81 donne, la maggior parte delle quali provenienti dalla città messicana di Puerto Vallarta. In questa zona del Messico, guarda caso, si calcola che il 10 per cento delle abitazioni non dispone di acqua potabile, l’8 per cento non è collegata al sistema fognario, il 4 per cento non ha elettricità. A queste donne sono stati offerti 1.400 dollari per sottoporsi a iperstimolazione ovarica, inseminazione intrauterina e firmare un consenso informato per destinare i propri embrioni alla ricerca o alla donazione. Ma per aver un bambino, natura vuole, che ci sia bisogno anche di un maschio e quindi via con pubblicità locali, per reclutare donatori di sperma anonimi da assoldare dietro compenso e rinuncia ad ogni diritto sui propri gameti.

La sperimentazione ha raccolto un totale di 134 embrioni viventi, sistematicamente “lavati” via dall’utero delle madri con il dispositivo inventato da Previvo Genetics (azienda americana che utilizza una tecnologia brevettata per facilitare la cattura di embrioni senza ricorrere alle tecniche della Fiv, sponsor della clinica dove è stata condotta la ricerca di Munné) e li ha quindi sottoposti a screening genetici, confrontandoli con quelli prodotti da 20 donne coinvolte nella ricerca per essere trattate con procedure standard in vitro.

Risultato? I figli dell’utero sono più sani di quelli della provetta. «Ora disponiamo di un metodo in grado di produrre embrioni di buona qualità o migliori della fecondazione in vitro – esulta Munnè– .Questa è la prima volta che gli embrioni umani concepiti naturalmente sono stati analizzati geneticamente per vedere se sono normali o meno. Il vantaggio è che questi embrioni sono concepiti in modo naturale, quindi non è necessaria la fecondazione in vitro per eseguire i test genetici sugli embrioni. Questo dovrebbe essere molto più economico».

Oltre ad aiutare le coppie a evitare di trasmettere una malattia genetica ai loro figli,sostiene orgogliosamente Munné in un’intervista a Npr, questo nuovo metodo «potrebbe offrire un’alternativa per le coppie lesbiche di condividere l’esperienza di avere un bambino, nel caso in cui una donna volesse concepire e l’altra portare gli embrioni. Si potrebbero fecondare in un corpo e poi trasferirli in un altro, in modo che entrambe le donne possano condividere la gravidanza».

«Profondamente inquietante» così ha definito la cosa Laurie Zoloth, bioeticista dell’Università di Chicago. La ricerca ha ridotto il corpo della donna «a una capsula di Petri». Per la serie prendi una donna… bombardala di ormoni(con rischi annessi e connessi), sottoponila a inseminazione artificiale da partner diversi dal proprio e, poi,interrompi la gravidanza. Non solo, non tutti gli embrioni sono stati recuperati durante la sperimentazione: alcune donne hanno pertanto dovuto interrompere la gravidanza subendo procedure di aborto farmacologico o chirurgico.

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Le donne erano pienamente informate sui rischi e pertanto remunerate, sottolinea Munnè,proprio come negli Stati Uniti vengono remunerati i donatori di gameti. Gli embrioni prodotti dal suo studio, ha annunciato infine,sono già stati utilizzati per creare almeno cinque gravidanze e tre bambini in salute, mentre gli altri sono già stati infilati nei congelatori pronti per aiutare coppie con problemi di infertilità.

Nessuna voce critica si è alzata per affrontare il tema dei feti abortiti e degli embrioni scartati per la riuscita della ricerca, ma nessuna voce si è alzata nemmeno in difesa della donna e della maternità qui trattata come una cavia da laboratorio o, ancora peggio, come uno degli anellidi una catena di montaggio industriale. Come ha scritto solo Wesley J. Smith, l’idea qui è spianare una nuova strada per l’industria della fertilità «in cui le donne saranno pagate per produrre in serie embrioni all’interno dei loro corpi – concezione surrogata, chiamiamola così – che verranno poi eliminati in laboratorio. Successivamente, gli embrioni saranno sottoposti a procedure di controllo di qualità – che probabilmente includeranno la selezione di genere. Quelli che passeranno il controllo di qualità verranno impiantati nel corpo delle donne che vogliono partorire o che si candidano a fare le surrogate portatrici gestazionali».

Lunedì 27 gennaio sarà la Giornata della memoria, per non dimenticare le vittime dell’Olocausto. Se ne parla ogni anno e ogni anno inorridiamo di fronte alle immagini di repertorio di una pagina di storia che vorremmo dimenticare. Lo spettro del “ritorno di Hitler” agita i nostri sonni notturni eppure non ci accorgiamo che dai campi di sterminio la furia nazista si è spostata nei laboratori delle cliniche della fertilità dove le vittime della “cultura dello scarto” ormai non si contano più. Era l’11 dicembre del 1979, a Oslo, capitale della Norvegia, fu consegnato il Nobel per la pace a una suorina vestita di bianco e azzurro: Santa Madre Teresa di Calcutta. Ricevendo il prestigioso riconoscimento, la Santa disse qualcosa di molto forte, che oggi risuonerà politicamente scorretto, ma incredibilmente attuale: “Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa – disse la suora -. Oggi il più grande distruttore della pace è l’aborto. Tante persone sono molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa, dove tanti ne muoiono di malnutrizione, di fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo… è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla. […] Per favore non distruggete i bambini, li prenderemo noi”.




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