Cultura
Chi salva una vita salva il mondo intero
di Gianni Mussini
Cosa hanno in comune Oskar Schindler, l’industriale che durante la Seconda guerra mondiale salvò la vita a moltissimi ebrei e Giorgio Pardi, docente universitario e direttore del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia della Clinica Mangiagalli di Milano? Decine di migliaia di vita salvate…
Credo che tutti abbiano visto almeno una volta Schindler’s List, il film – basato su una storia vera – con cui il regista Steven Spielberg ha fatto conoscere al grande pubblico la figura di Oskar Schindler, l’industriale che durante la Seconda guerra mondiale salvò la vita a moltissimi Ebrei, impiegandoli nelle proprie attività e strappandoli in questo modo alla “soluzione finale” prevista dal protocollo nazista per il popolo ebraico, considerato “inferiore” e nocivo per l’umanità.
Non tutti sanno però che il film si ispira al romanzo dell’australiano Thomas Keneally Schindler’s Ark. La “Lista” dei salvati era dunque in origine un’“Arca” come quella di Noè che, per sublime paradosso, veniva ora realizzata da un Tedesco debitamente iscritto al partito nazista e cooperante – con la sua attività – ai terribili successi dello stato hitleriano. In questa Arca provvidenziale trovarono la salvezza circa 1200 persone, per lo più ma non soltanto Ebrei.
Ho sempre pensato che quando si parla di queste cose terribili e complicate sarebbe bene fare l’esercizio spirituale di cercare i Buoni anche dalla parte dei Cattivi, dei colpevoli. In questo modo si evita di trasformare il discorso in una volgare lite ideologica (succede tutti i giorni) e lo si innalza a un livello di nobiltà superiore alle nostre miserie di “tifosi”, interessati più ad avere ragione che alle ragioni della verità.
Mi è già capitato di ricordare su Punto Famiglia quel sottufficiale tedesco del lager di Dachau che – secondo la testimonianza dell’ebreo viennese Victor Frankl, l’inventore della Logoterapia – ha aiutato molti dei suoi detenuti anche a rischio della vita (e venne infatti poi premiato dai liberatori americani, su segnalazione dei prigionieri beneficati). Oppure il mite fascista Giorgio Perlasca che, spacciandosi per il console di Spagna a Budapest, riuscì a salvare circa seimila Ebrei. O anche, dall’altra parte ideologica, il Salvatore Cippico di cui parla Claudio Magris in Alla cieca: comunista appassionato, dopo essere stato a sua volta ospite del lager nazista di Dachau, gli toccò di venire imprigionato dal regime del comunista eretico Tito a Goli Otok, la terribile Isola Calva: pagava così la sua fedeltà a Stalin, in rotta con Tito. Come si vede, si può militare da una parte sbagliata (nell’ultimo caso entrambe le parti erano sbagliate!) ma conservare una traccia di umanità che nessuno potrà mai cancellare dalla storia.
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Schindler è uno di questi personaggi. Non uno stinco di santo (neppure nella vita privata), nazista per interesse e anche un po’ per fede, metteva la sua competenza imprenditoriale al servizio del Terzo Reich non disdegnando però di collaborare spregiudicatamente con la comunità ebraica polacca di Cracovia, dalla quale rilevò per pochi soldi la Rekord, una fabbrica di utensili da cucina. Con l’infuriare della guerra, convertì l’azienda alla produzione bellica, sostituendo nel contempo la manodopera polacca con quella ebraica, molto più economica e ormai destinata allo sterminio.
E qui, dinanzi ai rastrellamenti e alle deportazioni di tanti Ebrei, ecco che qualcosa si muove nella sua coscienza ma prima di tutto nel suo sguardo, in precedenza cinico e indifferente: in quegli uomini riconosce sempre più e sempre meglio delle persone che meritano rispetto per se stesse. Sono sacre, ontologicamente sacre. Per questo la storia di Schindler è un vero romanzo di formazione, non solo una favola a lieto fine sbocciata per incanto in mezzo all’orrore dei lager nazisti. La storia di uno sguardo, come appena detto, che si apre all’incanto nascosto in ognuno, piccolo inestinguibile pegno del grande incanto divino. È dunque prima di tutto una scoperta estetica quella da cui matura in Schindler una piena consapevolezza etica: che ogni uomo, come dirà santa Madre Teresa di Calcutta, “è nato per un grande scopo: amare ed essere amato”.
Si tratta dunque della storia di un uomo che finisce per “innamorarsi” dei suoi nuovi amici: gli Schindlerjuden, i giudei di Schindler. Con la grande ricompensa di sapere che, come recita il Talmud, “chi salva una vita salva il mondo intero” (frase non a caso posta in esergo del film). Questa la consolazione che accompagnerà Schindler negli anni del dopoguerra, quando andrà incontro a tante vicissitudini, conoscendo persino la povertà. Saranno proprio i suoi amici ebrei ad aiutarlo, sino alla morte sopraggiunta nel 1974, a soli 66 anni.
Mi fa pensare a lui un personaggio che operava in un ambito completamente diverso, il professor Giorgio Pardi, docente universitario e direttore del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia della Clinica Mangiagalli di Milano. Pardi è stato il primo in Italia a praticare aborti legali ai tempi dei fatti di Seveso quando, il 10 luglio 1976, una nube di diossina si sprigionò dagli impianti dell’ICMESA e il Governo – considerato il potenziale pericolo per i nascituri – ammise una deroga al divieto di aborto cosiddetto “terapeutico” (ma più propriamente “eugenetico”, per il rischio di feti malati o malformati: in realtà, nessuno dei bambini nati allora nell’area di Seveso riportò malformazioni di alcun genere; e non fu questo il più piccolo scandalo dell’abortismo italiano!).
Pardi aveva un’indubbia competenza professionale e si faceva apprezzare per un carattere aperto che ispirava naturale simpatia: “L’uomo che amava le donne”, fu il titolo di Repubblica quando morì nel 2007. Proprio perché amava le donne, Pardi cominciò a seguire da vicino, in Mangiagalli, il lavoro intelligente e instancabile di Paola Bonzi e dei suoi collaboratori nel CAV (Centro di Aiuto alla Vita) interno alla clinica. Così, proprio come Schindler con i suoi Ebrei, anche il suo sguardo si aprì sempre di più e sempre meglio sull’umanità profonda di quelle donne e quei bambini aiutati dal CAV.
Pur favorevole alla legge 194, il suo giudizio sull’aborto era drastico. A un convegno nazionale dei CAV pronunciò queste testuali parole: “Io non sono credente ma amo la vita e per me un aborto – l’ho detto centomila volte – è un omicidio fatto per legittima difesa della donna nei confronti della società. Per cui se riesco ad evitarne anche solo uno sono felicissimo”. E ancora: “Non è soltanto consigliando a queste donne di non abortire che si può riuscire a convincerle: bisogna intervenire in maniera sostanziale, attraverso un sostegno economico e sociale adeguato”.
Ed ecco che cosa disse in un’altra occasione, contro ogni chiusura ideologica: “Che la legge 194 non vada ritoccata a priori mi pare assurdo. Perché non si può ritoccare la legge? Ma chi l’ha detto? Perché la legge 194 deve essere diversa dalle altre? Si ritocca se deve essere ritoccata. Perché a priori dire no? Io rifiuto gli apriorismi”. E non mancò di individuare con lucidità una delle radici dell’abortismo: “La cultura di oggi ha fatto sì che la donna quando si sente dire: tu sei fatta per procreare, che è la pura verità biologica, anziché esserne gratificata si sente quasi offesa. L’emancipazione femminile è arrivata all’adozione di un modello totalmente maschile”.
La “Lista di Pardi” è più lunga di quella di Schindler, consistendo in decine di migliaia di vite salvate grazie alla collaborazione con la sua Paola Bonzi, la quale lo ha ora raggiunto in Cielo e continua a lavorare con lui in perfetta armonia con il Signore della vita.
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