L’intervista

Sposi e presbiteri: oltre la collaborazione

di Giovanna Abbagnara

“Abbiamo centinaia di sacramenti del Matrimonio che non sanno di essere sacramento, hanno perso la memoria di essere sacramento, e nemmeno i sacerdoti hanno la fede e la sapienza per riconoscere questo dono sacramentale”. A colloquio con don Renzo Bonetti, fondatore e custode del Progetto Mistero Grande.

Don Renzo, dopo essere stato Direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana e Consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha dedicato la sua vita al Progetto Mistero Grande. Da dove nasce la necessità di elaborare una proposta teologica e pastorale per gli sposi?

Gli anni di servizio all’interno della CEI sono stati una grande scuola di vita. Ho avuto la possibilità di visitare la maggior parte delle diocesi italiane, incontrando centinaia di sacerdoti e di coppie che, con passione e fede, si spendevano nella pastorale con i fidanzati e nell’accompagnamento delle coppie sposate. Con loro ho potuto confrontarmi sull’efficacia della nostra azione pastorale, valutarne i progetti, prendendo sempre più consapevolezza di vivere un tempo in cui il tessuto ecclesiale, a dispetto dell’apparenza e del grande impegno della Chiesa Cattolica (parliamo degli anni a cavallo del grande Giubileo del 2000), andava sempre più sfaldandosi e perdendo di slancio evangelizzatore, di capacità di formare giovani fidanzati e coppie di sposi “belli”, secondo quel desiderio di Dio che sin dall’inizio, nel contemplare l’uomo-donna, esclama: “Sono una cosa molto bella!”.

A questa consapevolezza contribuiva anche il confronto con la situazione internazionale, così come mi era dato di conoscere attraverso il Pontificio Consiglio per la famiglia, che non solo confermava ma per certi versi anticipava le difficoltà e le criticità che in Italia stavano emergendo. È in questo tempo che ho intuito una “assenza di comunicazione” tra la fede, ciò che crediamo circa il sacramento del Matrimonio, e la pastorale, ciò che facciamo “per” e “con” questo dono di grazia. Da un lato un Magistero straordinario relativamente al sacramento del Matrimonio, con una ricchezza di definizioni e dichiarazioni inestimabili, a tratti commoventi per la bellezza di quanto rivelano. Basti pensare ai testi del Concilio Vaticano II, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II. E, sulla loro scia, una riflessione teologica che cercava di comprendere ed esprimere sempre meglio questa ricchezza. Dall’altro lato una pastorale che, anziché adattarsi ai tempi (principio dell’inculturazione) per incarnare questi straordinari contenuti, rimaneva “ferma”, non faceva altro, tranne che per poche e lodevoli eccezioni, che ripetere attività e proporre contenuti che potremmo definire “standard”. Badiamo bene, non parlo di contenuti sbagliati o inutili, ma che non recepivano e non proponevano il cuore di quanto Magistero e Teologia andavano affermando: riscoprire e vivere l’identità e la missione degli sposi come dono per la Chiesa e l’umanità!

È come se con il Concilio di Trento la Chiesa avesse fatto dichiarazioni solenni di ciò che è chiamato ad essere e fare il prete, ma poi nessuno avesse mai tradotto in azione pastorale il “come” e il “cosa” il prete è chiamato a fare in forza del sacramento che ha ricevuto. Questo è stato il contesto che ha acceso in me il desiderio e l’esigenza di pensare e proporre “qualcosa” che fosse in grado di rispondere alle sfide e alle esigenze della realtà italiana e, ma questo l’ho intuito solo dopo. Non essendo chiara l’identità e la missione che scaturisce dal sacramento, come può essere chiara la preparazione dei fidanzati al sacramento? A cosa li preparo, se non conosco il loro essere dono per la Chiesa e la società? E come coinvolgere gli sposi nella pastorale, cosa significa che la famiglia è “chiesa domestica”, cellula vitale della Chiesa e della società? Come tradurre pastoralmente queste altissime intuizioni teologiche? Penso ad esempio a documenti come quello dei Vescovi italiani del 1975, “Evangelizzazione e sacramento del Matrimonio”, in cui si afferma la soggettività degli sposi. Oppure alla Familiaris Consortio, una miniera di intuizioni teologiche, in cui Papa Giovanni Paolo II parla della missione “propria e originale” della famiglia, chiamata a mettere sé stessa al servizio della Chiesa e dell’umanità, con il suo intimo essere ed agire come “comunità di vita e di amore”.

Da qui è nato il desiderio di tornare in parrocchia, per verificare “sul campo” se fossero solo mie fantasie o veramente una chiamata del Signore per riscoprire il tesoro di grazia che è il sacramento del Matrimonio. Dopo pochissimo tempo, con un gruppo di sposi con i quali condividevo queste intuizioni, abbiamo compreso che il Signore ci chiamava a farle divenire un servizio ecclesiale, in favore di coppie, famiglie, consacrati, persone. Da questo intenso e provocatorio percorso è nato il Progetto Mistero Grande, che da un lato cerca di approfondire teologicamente il tema della grazia del sacramento del Matrimonio, con percorsi come il Convegno annuale di Sacrofano e varie Scuole di formazione offerte durante l’anno, dall’altro cerca di tradurre queste riflessioni in strumenti pastorali, in attività che aiutino a “mettere in atto” nella vita delle famiglie e delle comunità “qualcosa” di questo Mistero Grande (cfr. Ef 5,32). 

Nel cammino del Progetto Mistero Grande, qual è il rapporto tra presbiteri e sposi? 

Per comprendere questa relazione è indispensabile partire da una affermazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, quando al n. 1534 afferma che Ordine e Matrimonio sono sacramenti “istituiti per la salvezza altrui” e per “l’edificazione della Chiesa”. Qui si comprende che non ci troviamo di fronte ad una “alternativa”, o i preti o gli sposi, e nemmeno ad una “lotta di potere”, su chi sia più importante tra preti e sposi. Qui si afferma il principio della complementarietà, per cui solo insieme, in modo nuziale, cioè con identità e missione chiaramente distinte ma in profonda comunione, possiamo veramente essere preti e sposi secondo il progetto di Dio. Questo cerca di promuovere il Progetto Mistero Grande, sia nello studio, coinvolgendo e formando sposi, preti, religiosi, sia nelle attività, che sono sempre pensate ed offerte o insieme, nelle parrocchie, o in comunione, quando l’attività si svolge nelle case degli sposi.

In questo cammino di reciprocità e complementarietà partiamo da una evidente disparità di comprensione circa la grazia sacramentale. Faccio un esempio: quando parlo agli sposi dell’identità e della missione che nasce dal sacramento del Matrimonio, per aiutarli a capire faccio il paragone con l’identità e la missione del prete. Facendo vedere “cosa è” e “cosa fa” la grazia del sacramento dell’Ordine in quell’uomo, per gli sposi si apre un mondo sconosciuto e scoprono cosa e come la grazia di Dio opera in loro e con loro. È evidente che gli sposi conoscono di più del sacramento dell’Ordine che del sacramento del Matrimonio; potremmo dire che, rispetto al dono di grazia che hanno ricevuto, sono ancora alla periferia, molto lontani dal centro e questo vale anche per i sacerdoti, per i parroci, che spesso non sanno di avere centinaia e centinaia di chiese domestiche nel loro territorio e le lasciano dormire, quiescenti, anziché risvegliarle, formarle, coinvolgerle con i loro doni specifici nella costruzione della comunità cristiana e nell’evangelizzazione. Il Progetto Mistero Grande cerca quindi di recuperare questa dimensione di complementarietà sacramentale tra sposi e preti che appartiene all’essere e all’agire della Chiesa sin dall’inizio, così come la vediamo rivelata negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di Paolo. 

Oggi siamo per lo più fermi ad una modalità di collaborazione pastorale che si basa sulla “necessità” (in parrocchia c’è bisogno di…), che spesso nemmeno tiene conto del dono che è la coppia/famiglia ma chiama la persona considerandola come un singolo laico, senza comprendere e mettere in azione la specificità, l’originalità della grazia del Matrimonio, o nella migliore delle situazioni sulla stima reciproca, sull’amicizia personale. Occorre invece promuovere un rapporto di comunione spirituale e azione pastorale che è tutto da scoprire, in una sfida che siamo certi farà crescere insieme sposi e preti, li farà divenire migliori, più pienamente sé stessi, più “belli”, per rimanere nell’immagine di Genesi che citavo prima.




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