Bioetica

Quando la diagnosi prenatale si trasforma in uno strumento di morte…

ecografia

di Lucia Odierna, biologa

Come deve comportarsi un medico di fronte ad una diagnosi prenatale infausta? Le diagnosi prenatali, soprattutto quando evidenziano qualche patologia sono utili per determinare se quella vita è degna di essere vissuta oppure no?

Agosto 2017, la stampa di tutto il mondo batte una notizia: in Islanda non nascono più bambini con sindrome di Down grazie all’introduzione dello screening fetale all’inizio degli anni 2000. La più importante scoperta genetica del secolo, quella della Trisomia 21 su cui si fonda l’eziopatogenesi della sindrome di Down realizzata dal genetista, pediatra, medico-scienziato Jérome Lejeune, è di fatto divenuta la condanna a morte per tutti i nati con diagnosi prenatale infausta. Tanto per aprire una piccola parentesi: quando Lejeune si rese conto che la sua scoperta oltre a fornire la possibilità di fare una diagnosi prenatale, apriva di fatto anche una strada che avrebbe condotto ad aborti di massa, reagì immediatamente e si schierò pubblicamente a difesa della vita. Da quel momento incontrò ogni tipo di ostacolo: avanzamento di carriera negato, finanziamenti bloccati, scritte ingiuriose sul muro della facoltà di Medicina in cui insegnava. 

La diagnosi prenatale, oggi, non si limita solo allo screening per la ricerca della Trisomia 21, va ben oltre e punta a evidenziare un elenco vastissimo di disordini ed anomalie genetiche. Il feto umano, grazie al progresso scientifico legato all’utilizzo delle tecniche di diagnostica prenatale, può essere osservato, seguito nel suo sviluppo attraverso le moderne indagini ecografiche, difeso a mezzo di farmaci, curato attraverso raffinate tecniche di chirurgia fetale. E più gli strumenti di diagnosi prenatale si affinano, più emerge una profonda ambivalenza: nel vedere accresciuto il suo potere sulla vita, l’uomo vede moltiplicato anche il potere sulla morte. Diagnosi infauste tempestive, infatti, portano, quasi sempre, all’aborto selettivo. È assolutamente necessario ribadire il valore intrinseco della vita umana ricordando che nei casi di diagnosi prenatale infausta l’aborto non è una scelta obbligata, si può decidere di accogliere il proprio bambino in tutta la sua fragilità perché è possibile dargli una chance di vita sfruttando al massimo tutte le possibilità offerte dalla scienza o decidere di accompagnarlo con tutto la cura e l’amore possibili per il tempo che gli verrà concesso di vivere. La storia di Chiara Corbella ed Enrico Petrillo quanto può insegnare ai genitori oggi? Qual è, o dovrebbe essere, il ruolo del medico? 

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Il modo di presentare la diagnosi durante la consulenza è fondamentale per il futuro di quel bambino. Come dimenticare le parole di Paolo VI ai partecipanti al 50° Congresso internazionale di ostetricia e ginecologia psicosomatica: “Non dovete mai dimenticare che la vostra professione è a servizio della vita umana, di ogni vita umana dall’istante del suo concepimento. Le malformazioni organiche non possono privare nessun essere umano della sua dignità e del suo inalienabile diritto all’esistenza: vedere le cose diversamente sarebbe avere una visione materialistica della vita. E soprattutto non può (un medico cattolico) dopo aver formulato una diagnosi fetale, cedere a pressioni, sia pure apparentemente le più rispettabili, come quelle dei genitori che vorrebbero ricorrere alla sua scienza per sfuggire alla prova di mettere al mondo un bambino gravemente handicappato. Profonda responsabilità la vostra!”. E anche san Giovanni Paolo II, nell’omelia della Messa per i lavoratori a Saint-Denis, il 31 maggio 1980 sembrò voler confermare l’assunto di cui sopra nel dire: “La vita, infatti, è un bene troppo fondamentale perché possa essere posta a confronto con certi inconvenienti, benché gravissimi”.




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