Immacolata Concezione
“La Vergine Immacolata ha guarito mio figlio che per tutti era: un feto non compatibile con la vita…”
storia di Annalisa scritta da Ida Giangrande
I miracoli esistono? Sì, ne è pieno il mondo perché Dio è sempre all’opera soprattutto attraverso la Vergine Maria. La storia che sto per raccontarvi è il segno tangibile dell’azione dello Spirito Santo. Il segno tangibile di un Padre amorevole che ci raggiunge soprattutto nell’ora del dolore.
Quando ho scoperto di essere incinta è stata una sorpresa. Non me l’aspettavo, erano trascorsi circa otto anni dalla nascita del mio secondo figlio, eppure una parte di me era già profondamente legata a quella creatura appena appena accennata nel mio grembo.
A dieci settimane di gestazione ebbi improvvisamente una colica renale. Mi portarono in ospedale e i medici fecero una ecografia per verificare l’andamento della gravidanza. Non dimenticherò mai quel momento: cominciarono a guardarsi tra di loro. Uno sguardo cupo, presagio di cattive notizie. “Signora, la facciamo parlare col primario” dissero e si allontanarono da me come se avessi la peste. Solo dopo, a mente fredda, ho compreso che quell’allontanarsi così di corsa era un modo per proteggersi emotivamente: non è facile nemmeno per loro dare brutte notizie. Il primario mi spiegò che mio figlio aveva un’ascite addominale fetale non compatibile con la vita. Non capii di cosa si trattava, le uniche parole che risuonavano nella mia mente erano: “Non compatibile con la vita”. Avrei dovuto fare un aborto e, senza nemmeno chiedermi se intendevo farlo oppure no, prenotarono l’intervento per il lunedì successivo. Un’ascite fetale, infatti, mette a rischio non solo la vita del bambino, ma anche quella della madre. Il piccolo aveva la pancia piena di liquido infetto, una infezione incurabile durante la gravidanza e che poteva essere trasmessa anche a me.
Mi sarei dovuta recare in quell’ospedale il lunedì per risolvere il problema con un aborto che forse avrebbero definito “terapeutico” anche se non capisco che cosa ci sia di “terapeutico” in interventi come questo. Eppure uscita da lì, andai in un altro ospedale per farmi visitare. Una parte di me non si rassegnava all’idea di dover sopprimere quel figlio. Anche nel secondo nosocomio mi confermarono la presenza dell’ascite addominale, prima di procedere all’aborto, però, mi diedero del tempo, mi dissero di pensarci e di farlo quando mi sentivo pronta. Intanto mi ricoverarono per la colica.
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Io non prendevo una decisione. Non dissi mai di sì all’aborto, speravo che succedesse qualcosa che mi dicessero che il bambino era guarito. Un giorno il medico mi chiamò nella stanza e mi disse che l’ascite aveva infettato tutti gli organi e che restava solo il cuoricino di mio figlio, poi la sentenza impietosa: nessuno voleva mettermi fretta ma era necessario procedere all’aborto. Tornai in stanza come un salice piangente, gli occhi bruciavano per le lacrime versate, non sentivo più nemmeno la pelle del viso irritata, mentre ero lì seduta su quel letto e sospesa tra la vita e la morte, vidi entrare un monaco. Era venuto per le benedizioni degli ammalati, quando mi vide così sconvolta si avvicinò e mi chiese che cosa non andava. Gli spiegai tutto. Lui mi prese il viso tra le mani e mi disse: «Sai che all’annuncio dell’Angelo, la Vergine Maria rispose: “Come è possibile non conosco uomo” e l’Angelo rispose: “Nulla è impossibile a Dio”. Non temere, tuo figlio nascerà e sarà sano». E su quel viso increspato e sorridente con gli occhi antichi, ebbi la percezione disarmante di vedere il volto di Padre Pio. Lui se ne andò mentre in me una voce metteva a tacere il caos. Solo in quel momento realizzai che era l’otto dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione.
Dissi che non sarei rimasta lì nemmeno un giorno in più, che non avevo nessuna intenzione di interrompere quella gravidanza e che volevo tornare a casa. I miei genitori e finanche mio marito mi diedero per pazza, ma io avevo una certezza interiore inspiegabile: quel figlio sarebbe nato contro tutto e tutti, anche contro me stessa. Disperato il primario dell’ospedale decise di mandarmi da uno specialista a Napoli. Un medico di quelli importanti, specializzato nelle malformazioni fetali. Andammo da lui, io mi sentivo portata in palmo di mano, come camminare sulle nuvole senza la consapevolezza del vuoto che si nasconde sotto. Il medico fece l’ecografia e disse: «Signora non c’è nessun’ascite!». Io per prima rimasi inchiodata sul lettino. C’erano analisi e diagnosi di due ospedali a confermare quella patologia, ma il medico disse che vedeva solo una grande vescica segno forse della sindrome di Down, ma nessun’ascite. I ginecologi hanno studiato quel caso all’infinito sugli incartamenti che avevo portato. Ancora ora nessuno riesce a darsi una spiegazione. Una sola è la certezza: il feto non guarisce da un’ascite addominale almeno non per quello che l’uomo può spiegarsi.
La gravidanza è andata avanti con tranquillità e dopo i canonici nove mesi, è nato mio figlio, Pio Giovanni: perfettamente sano. Non ha nulla, né ascite né sindrome di Down. Nulla. Appena nato lo portarono in terapia intensiva. Pensai al peggio, e invece era solo perché volevano vedere con i loro occhi la nascita di un miracolo. Ho sempre ascritto questo miracolo all’intervento di Padre Pio, e per anni ho evitato di parlarne apertamente. Solo oggi ripercorrendo mi rendo conto che certamente Padre Pio è stato uno strumento, ma è stata Maria a muovere tutto. L’otto dicembre nella nostra famiglia, è il giorno in cui mio figlio è nato per la prima volta e insieme a lui è nata anche una nuova maternità in me. Guardo la tenerezza di Maria, quel suo dolce abbandonarsi alla volontà del Padre, lo sguardo docile di una donna che ha detto sì contro tutto e tutti e ritrovo in me la forza di un amore plasmato dallo spirito che ha la consapevolezza di dover insegnare ad amare Dio prima di tutto.
Sono passati sette anni da allora. Mio figlio è cresciuto, sta bene, gli piace pregare e una volta mentre eravamo seduti di fronte al Santissimo in adorazione, gli chiesi come mai gli piacesse così tanto pregare e lui mi rispose esattamente così: “Non puoi capire. È un onore stare con Gesù”.
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