Matrimonio

Come litigano le coppie cristiane?

Di Giovanna Abbagnara

La vita di coppia è fatta di tanti momenti di gioia e di bellezza in cui godiamo della presenza dell’altro ma è fatta anche di tante pagine buie fatte di incomprensioni, freddezza, che impediscono alla grazia del matrimonio di attecchire e portare frutto. Prima di impedire il naufragio, potremmo verificare come affrontiamo i conflitti di coppia.

Un gesto di insoddisfazione, un’espressione contrariata, una parola detta nel momento sbagliato ed ecco che parte la lite. La maggior parte delle coppie vive, prima o poi il litigio come parte integrante della vita coniugale. La conflittualità non è sempre sbagliata a patto però di essere vigilanti perché piccole crepe, atteggiamenti sbagliati, mancanza di spazi e disinvestimenti di energie, possono diventare terreno fertile dove fecondano distanze, tradimenti, delusioni che con il passar del tempo finiscono per essere assunti come stili di vita e spesso è difficile tornare indietro. 

Conflitti ricorrenti e stressanti spesso costituiscono il periodo antecedente al naufragio. Come essere dunque dei bravi custodi dell’amore coniugale, perché per usare un’immagine evangelica, il ladro non venga di notte a rubare l’amore e i sogni fino a farci esclamare: “Non so chi sia, colui o colei che mi dorme accanto?”.

Come Chiesa negli ultimi anni ci stiamo interrogando su come accompagnare gli sposi feriti, è questo il termine coniato per spiegare le situazioni di irregolarità e ci sono molte realtà come Retrovaille, o la Casa della Tenerezza che cercano di offrire una proposta di fede e di pastorale molto interessante per le coppie che hanno per così dire già varcato la soglia di una rottura e hanno già provato la delusione di un sogno andato in frantumi. Non potrebbe essere più efficace dare alle coppie la possibilità di verificarsi e di crescere insieme nella fede, rafforzando il noi e imparando magari anche a litigare alla luce della fede?  La vita di coppia è fatta di tanti momenti di gioia e di bellezza in cui godiamo della presenza dell’altro ma è fatta anche di tante pagine buie fatte di incomprensioni, freddezza, che impediscono alla grazia del matrimonio di attecchire e portare frutto. Sì, a volte siamo proprio noi sposi a impedire alla grazia del matrimonio di lievitare e far lievitare la pasta del nostro amore e della nostra famiglia. Perché siamo più concentrati a risolvere i problemi personali, a vivere la delusione che l’altro non sia quello che sognavamo, costatare di avere abitudini e modi di fare totalmente opposti. Come fare in modo che questa delusione non diventi un cancro che poco alla volta, giorno dopo giorno, se non curato, corroda l’amore fino a farlo morire?

È necessario essere e restare vigilanti. L’amore di coppia è come un bambino bisognoso di cure che deve crescere e diventare adulto senza la pretesa che si autogestisca, o viva in autonomia da noi. Per non morire la pianta deve essere curata. Prendere consapevolezza di questo impegno è una buona base di partenza. 

Una premessa a mio avviso indispensabile è la disillusione, da attuare con coraggio fin dal fidanzamento e poi nel matrimonio. Chi si sposa non può pensare che la sua vita sarà tutta rose e fiori, un cammino luminoso e senza ostacoli, senza conflitti e senza ombre e nemmeno che l’amore o la fusione di intenti sia così forte da non conoscere mai nessuna divergenza. L’idea dei due cuori e una capanna è una illusione molto pericolosa e anche molto frequente perché quando giunge l’incomprensione, la prima vera e profonda difficoltà, sembra che tutto crolli improvvisamente e irrimediabilmente. Quello in realtà viene meno, non è l’amore, l’affetto, il sentimento ma il castello, il sogno, l’illusione appunto che io mi ero costruita dentro di me e poiché la realtà non coincide con il sogno, giungo a ritenere che ho sbagliato tutto e quindi l’unico modo per non soccombere sia la separazione. 

Inutile ribadire che il litigio fa parte della dimensione coniugale e in un certo qual modo è una forma di comunicazione ma è chiaro che può e deve essere vissuto in modo sano. Quando è sano un litigio? Quando lo vivo non come uno scontro che vuole arrivare a distruggere l’altro per affermare le mie convinzioni, in questo caso, diventa uno spazio dove vomitare e gettare via tutte le frustrazioni del rapporto, o la mancanza di attenzione che percepisco nell’altro, ma come una sincera ricerca di una linea comune che ci aiuti a rafforzare l’intesa e a giungere anche a un compromesso di bene. I compromessi non sono sempre qualcosa di negativo. Se li intendiamo come la fatica di fare spazio all’altro con affetto e stima e soprattutto senza subirli, possono rivelarsi molto utili per la crescita della coppia. 

Quando invece il litigio diventa un campo di battaglia, un duello all’ultimo sangue per vincere ad ogni costo, utilizzando frasi che sappiamo possono ferire l’altro, del tipo “tanto tu non mi capirai mai” o “pensi solo a te stesso” oppure “è inutile continuare questa discussione”, o ancora “tu non cambierai mai” allora quel litigio non è sano. E se questi episodi si ripetono nel tempo fino a diventare un costume per la coppia, senza ricercare un sincero perdono reciproco, un desiderio di riconciliarsi, un mettersi insieme nelle mani di Dio perché ci aiuti a superare quel momento di crisi, è chiaro che la comunione si deteriora, si consuma e se non si arriva alla rottura del vincolo nuziale, si continua a vivere su due binari paralleli che non si incontrano mai. 

Ho sentito molte amiche in questi anni dirmi: “Giovanna io sono stanca, non ne vale più la pena litigare. Mi sono arresa” oppure “Giovanna mi faccio scivolare tutto addosso, resto indifferente”. Il pensare che non ne vale la pena da un lato e vivere come se l’altro non esistesse dall’altro, è anch’esso un atteggiamento molto pericoloso perché nell’amore gettare la spugna, arrendersi al male che incombe è sempre una sconfitta sia personale che di coppia. In queste crepe si intrufola il male e come il serpente nel giardino dell’Eden sussurra ai nostri orecchi: “Non ascoltare l’amore, pensa a te, pensa a chi puoi essere da solo senza l’altro” e così pensiamo che cogliere il frutto dei propri desideri sia l’unica cosa giusta da fare. E intanto come nell’Eden si ruppe l’armonia della Creazione e nel rapporto tra Adamo ed Eva, così nella relazione coniugale si interrompe la fonte della comunione.

In un libro molto bello che ho letto qualche anno fa, L’infinito nel palmo della mano di Gioconda Belli, la scrittrice nicaraguese, in un certo qual modo riscatta il gesto di Eva e certo prendiamo con le pinze la sua interpretazione perché non corrisponde alla visione cristiana né vuole sminuirla. Eva ad un certo punto esclama: “Se non avessi mangiato quel frutto, disse lei fissandolo negli occhi, non avrei mai assaggiato un fico o un’ostrica, non avrei visto l’Araba Fenice risorgere dalle sue ceneri, non avrei conosciuto la notte, né avrei saputo cosa significa sentirmi sola quando tu non ci sei; non avrei sentito il mio corpo, gelato anche in mezzo alle fiamme, che si scaldava appena pronunciavi il mio nome e avrei continuato a vederti nudo senza sussultare”. È una immagine letteraria e romanzata ma che mi aiuta a comunicarvi che la vera sfida non è quella di non discutere, di non soccombere mai al male, le coppie che durano non sono quelle che non litigano mai ma quelle che sanno gestire in modo sano i conflitti e dai conflitti sanno generare vita nuova per i loro rapporti. Il litigio può mostrare il lato peggiore di noi, è vero, ma è anche quel lato che l’altro è chiamato ad amare e a redimere attraverso il suo amore. Via dunque l’illusione ma via anche la corazza, le armature di cui ci rivestiamo per paura che l’altro ci ferisca, o per paura di mostrare all’altro un lato del nostro carattere che lo induca ad allontanarsi da noi. 

Un buon metodo per litigare è quello di stare l’uno di fronte all’altro senza filtri e senza schermi vincendo la tendenza a parlarsi di spalle o mentre facciamo altro o addirittura per telefono. Penso che la maggior parte dei litigi che si affrontano per telefono o a suoni di messaggi vocali su WhatsApp, di persona sarebbero spazzati via in pochi minuti. Perché la gestualità come è importante quando ci si scambiamo tenerezze, è importante anche quando si litiga. Sto parlando chiaramente di guardarsi negli occhi e di tenersi la mano anche quando si discute. Un atteggiamento innaturale quasi perché quando si litiga ci si allontana dall’altro, si cerca di mettere distanza, si alza il tono di voce perché abbiamo bisogno da un lato di fuggire via da colui o da colei che causa il mio male, dall’altro e di alzare la voce in modo che l’altro comprenda perfettamente quello che sto dicendo. Se invece ci mettiamo l’uno di fronte all’altro e magari facciamo anche lo sforzo di litigare tenendoci la mano, questa fatica dice già desiderio di cercare la comunione, dice attraverso i gesti: “tu per me sei importante nonostante stai dicendo qualcosa che mi ferisce”, “tu per me resti il dono di Dio per la mia vita, nonostante ti vuoi allontanare in questo momento”. 

Capita spesso che dopo il litigio ognuno si chiude nelle proprie convinzioni in un silenzio in cui amplifichiamo ciò che l’altro ci ha detto. Spesso in maniera spropositata. Quel silenzio lo possiamo vivere in due modi o come lo spazio per autoconvincerci sempre di più di avere ragione o come spazio di preghiera, fecondo, in cui chiediamo al Signore la luce e la disponibilità a fare il primo passo verso la riconciliazione. Il silenzio dopo un litigio è una grande opportunità. L’importante è non farlo durare troppo ma soprattutto essere disponibili a fare il primo passo. Spesso basta poco: un abbraccio, un dolce preparato per cena, un bigliettino, uscire per una passeggiata insieme… ricucire subito e poi magari rimandare ad un confronto più pacato quando gli animi sono sbollentati. 

Il silenzio è anche il segno del desiderio di non ferire l’altro, di difenderlo dalla propria violenza, da parole che dette con rabbia possono essere macigni che mettiamo sulle spalle dell’altro senza prevederne le conseguenze che potrebbero essere catastrofiche. Ci viene in aiuto il libro dei Proverbi quando dice: “Dare il via a una disputa è come aprire una diga; vattene prima che scoppi la lite”. Anche se è giusto appianare subito i contrasti con l’altro, a volte è meglio prima calmarsi e poi affrontare la questione a mente fredda. Controllata la rabbia, può essere opportuno mettersi subito a pregare per chiedere a Dio di aiutarci a provare “la pace di Dio che è al di là di ogni comprensione” (Fil 4,7). Pregare per chiedere lo Spirito Santo, è Lui che può donarci la pace, la pazienza e l’autocontrollo perché “chi è paziente [o “lento all’ira”, nt.] è migliore di un uomo potente” (Prv 16,3).

È necessario poi interrogare la Scrittura meglio insieme per cercare quella luce che spesso in un accesso dibattito viene offuscata dall’egoismo e dal ricercare ognuno le proprie ragioni. Scrive san Jose Maria Escrivà: “Dalle discussioni di solito non viene la luce, perché la passione la spegne”. La rabbia impedisce di cercare il Bene. La Parola invece suggerisce la strada da intraprendere. C’è un libro molto bello di don Silvio Longobardi che vi invito a leggere, In ascolto dell’Altro per l’Editrice Punto Famiglia, sulla necessità di imparare l’arte di dialogare nella coppia che benissimo può essere applicato al modo in cui litighiamo nella coppia. Come metodo egli suggerisce di mettersi prima in ascolto di Dio. È questa la premessa indispensabile per dialogare in modo fruttuoso poi nella coppia. 

Io mi rendo conto che questo processo è molto faticoso. Quando uno litiga fa prima a buttare dalla finestra tutto piuttosto che cercare faticosamente un’armonia. Ma sono passaggi necessari se vogliamo con sincerità ricercare quella santità coniugale e familiare che è alla base della vocazione al matrimonio. 

Un’altra caratteristica fondamentale del confronto, l’ho accennata prima è la scelta delle parole. Ogni parola ha in sé la capacità di distruggere e di costruire. Scegliere le parole giuste non significa mancare di lealtà o di sincerità ma essere attento all’altro. Evitare quelle espressioni che certamente sappiamo possono ferire profondamente il coniuge. O peggio ancora conservarle nella bisaccia dei rancori che portiamo sempre con noi per lanciarle come pietre al momento giusto. È un atteggiamento che va certamente corretto. Usare delicatezza, rispondere gentilmente, parlare con umiltà delle proprie convinzioni non può che favorire il dialogo e la ricerca della pace.  

Vorrei aggiungere anche un altro elemento nella riflessione e cioè la capacità di essere tolleranti e di sdrammatizzare le situazioni magari ridendoci un po’ su. Che non significa superficialità ma la capacità di planare sulle difficoltà, magari di riderci insieme, di non appesantire il momento difficile con musi lunghi o sguardi fulminanti. È anche questa una dote da sviluppare. 

C’è anche un lato positivo del litigare bene e cioè quello di affrontare situazioni di disagio che magari ci portiamo dentro da tempo senza più soccombere alla tentazione di fuggire o aspettando secondo il motto per cui il tempo aggiusta tutto. Questa è una tentazione molto insidiosa, evitare di esporre il proprio disagio, aspettando che il tempo risolva tutto è un’illusione perché il rischio è quello di scavare distanze sempre più grandi nella coppia e il disagio diventa insostenibile. 

Dobbiamo partire dalla consapevolezza che la colpa non è mai da una sola parte, che è necessario ricercare insieme la propria parte di responsabilità, assumerla e addivenire ad una soluzione facendo spazio alla nostalgia della comunione. Una leva potrebbe essere proprio questa quando si litiga: lasciare spazio al desiderio di comunione che c’è dentro di noi, sentire la nostalgia di quell’abbraccio che appiana ogni ostacolo e ridona la bellezza di camminare insieme. Chiedendovi di ricordare i modi in cui litigate, vi chiedo anche di fare memoria dei momenti in cui avete fatto pace. Dell’armonia e della sensazione di benessere che ha invaso il vostro cuore. 

Riconciliarsi è un momento fondamentale nella dimensione di coppia, rappresenta il momento di recupero del rapporto, è una rinascita all’esistenza coniugale con la possibilità di ricominciare di nuovo, di ridare vita nuova al matrimonio.

È chiaro che questa fase deve essere attuata in maniera reale. Non è raro infatti che essa si configuri come un «pro forma», un salvare le apparenze, ma con dubbi che rimangono in lui o in lei, o addirittura con il timore che il vissuto coniugale sia entrato in una crisi irreversibile. In tal caso, è possibile che il conflitto si ripresenti in una fase ancora più acuta e diventi ricorrente. Questo capita anche quando le crisi ci sorprendono impreparati, senza quell’humus di fede che garantisce la possibilità di attingere agli strumenti adatti per vivere la coniugalità. 

Ci sono degli aspetti nella vita di coppia che se non vengono affrontati e non si arriva ad una decisione condivisa, valutata alla luce della fede e con una guida spirituale si rischia di naufragare. Parlo ad esempio: del modo in cui si vive il lavoro, o dell’indisponibilità di uno di vivere una sessualità soddisfacente, o dell’educazione dei figli, o del rapporto con le famiglie di origine. Questi aspetti vanno affrontati con cura, senza paura e arrivando ad una decisione comune. Questo significa avere una progettualità nella coppia, questo significa non vivere solo sull’onda dell’emotività, vivere l’amore di coppia come un comandamento e non solo come un sentimento. Questo significa vivere un rapporto intimo con Gesù, il Maestro, prevedendo di andarsi a confessare insieme dopo un litigio per esempio. Il Signore i suoi amici li ama, li serve e li salva. Non li lascia in balia delle onde. Sale sulla barca insieme a loro e dona la bonaccia, la pace.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.