Eutanasia

Marco Ferraresi: “Un lieto fine per Tafida, ma non possiamo stare tranquilli”

a cura della Redazione

Tafida Raqeeb vivrà. Per il giudice dell’Alta Corte britannica i trattamenti che la tengono in vita non dovranno essere sospesi. Atteso per la prossima settimana il suo arrivo in Italia. Marco Ferraresi, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Pavia: “Bene, ma c’è molto lavoro da fare per recuperare una nuova consapevolezza del diritto alla vita”.

Partirà la prossima settimana la piccola Tafida Raqeeb per raggiungere l’Italia. Il Royal London Hospital ha rinunciato al ricorso con cui avrebbe potuto tentare di rovesciare la sentenza dell’Alta Corte britannica che ha concesso alla bambina di appena 5 anni, in stato di minima coscienza da otto mesi, di essere trasferita all’istituto “Giannina Gaslini” di Genova. 

Così la piccola Tafida Raqeeb continuerà a vivere. A stabilirlo appunto una sentenza dell’Alta Corte britannica che ieri ha respinto la richiesta del Royal London Hospital di sospendere i trattamenti che la tengono in vita. È lo stesso tribunale che ha decretato la morte di Charlie Gard e Alfie Evans, ma stavolta le cose sembrano essere andate diversamente e secondo il giudice Alistar MacDonald “Tafida deve continuare a ricevere le terapie vitali di cui necessita”, nel Regno Unito o, come chiede la famiglia, in Italia, all’Istituto Gaslini di Genova. 

Per i genitori della piccola – Shelina Begum, 39 anni, e Mohammed Raqeeb, 45 annni – è la fine di un incubo. «Tafida non sta morendo – ha dichiarato Shelina – ma migliora ogni giorno. È stata un’esperienza terribile e traumatica, ma è finita. La nostra priorità è adesso trasferire nostra figlia in Italia il prima possibile». Segue una lunga lista di ringraziamenti agli amici, ai volontari, «all’imam e ai leader delle altre religioni che ci sono stati accanto». Un particolare ringraziamento è rivolto agli italiani e subito dopo al Santo Padre a cui Shelina rivolge un invito specifico: «Chiedo che venga a trovare Tafida quando saremo in Italia». 

A determinare la sentenza dell’Alta Corte britannica un elemento importante, componente essenziale della strategia difensiva degli avvocati: il fattore religioso. Per Tafida è stato invocato non solo il diritto alla libertà di cura e di movimento in Europa, ma anche al trasferimento in un Paese che tuteli, dal punto di vista medico, i precetti della religione di appartenenza della bambina, ovvero quella musulmana. Il Consiglio islamico europeo ha emesso una fatwa ad hoc per Tafida nell’intento di ribadire che toglierle i trattamenti vitali sarebbe stato «inammissibile». Paul Conrathe, uno dei legali che hanno lavorato al caso, dosa con moderazione l’uso del fattore religioso: la fede musulmana dei Raqeeb, spiega, «è stato un elemento bilanciato» da tanti altri, compreso il quadro clinico.

Abbiamo raccolto la dichiarazione di Marco Ferraresi, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Pavia: “La decisione dell’Alta Corte del Regno Unito sul caso di Tafida, la bambina di appena 5 anni che lo scorso febbraio fu ricoverata in un ospedale britannico per una emorragia cerebrale, era attesta con grande timore. I medici avevano richiesto il distacco dei supporti vitali della piccola nel suo migliore interesse. I genitori si sono opposti strenuamente, ne è nato un conflitto e da qui la decisione del giudice. Noti casi precedenti avevano spinto l’Alta Corte ad autorizzare il distacco dei supporti vitali, lo ricordiamo sono i casi di Charlie, Isaia e Alfie. Questa sentenza era attesa con grande timore anche perché il giudice è lo stesso che ha deliberato nel caso di Isaia e che ha deciso per la morte del bambino. In questo caso però la sentenza è del segno opposto, favorevole alla vita della bambina. Anche in base alle perizie mediche il giudice ha ravvisato che la piccola non è in pericolo imminente di morte, potrebbe vivere vent’anni, non soffre e potrebbe essere accudita anche in un ambiente domestico. È notizia di questa mattina che l’amministrazione sanitaria inglese non farà ricorso contro questa decisione. Si tratta dunque di un lieto fine, i genitori trasferiranno la bambina in Italia presso l’ospedale Gaslini di Genova, ma questo non può farci stare tranquilli. In primo luogo perché il favor vitae si è trasformato in favor mortis ovvero è necessario ottenere da un giudice l’autorizzazione a determinare la vita di una persona. In secondo luogo perché questo concetto del miglior interesse è largamente demandato alle visioni soggettive dei giudici. Il caso di Tafida è andato bene, ma tre casi precedenti purtroppo no. Questo ci dice che c’è molto lavoro da fare per recuperare una nuova consapevolezza del diritto alla vita che è il primo dei diritti”.




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