Vita

Sola, davanti a un ospedale per decidere della vita di mia figlia

donna

di Roberta De Rosa

Soli in una terra straniera, con lavori mal retribuiti e un figlio da sfamare. Possibile accettare una nuova gravidanza in queste condizioni? La testimonianza di una coppia rumena e della loro stupenda famiglia.

È giugno ed un volontario dell’Associazione Progetto Famiglia incontra Malika davanti ad un bar di Aversa. Il giorno prima la donna si era recata in un consultorio della zona, ed aveva fatto un’ecografia che aveva confermato l’esito positivo del test di gravidanza. Malika conosceva già il ginecologo del consultorio aveva seguito la gravidanza di suo figlio Mario ormai di tre anni. Quando si era trovata dinanzi al monitor dell’apparecchio ecografico ed aveva compreso di essere incinta di nuovo, era scoppiata a piangere, dicendo al dottore che non avrebbe potuto tenere il bambino. Gli aveva subito chiesto l’iter da seguire per interrompere la gravidanza ed inutili erano stati gli argomenti addotti dal medico per farla riflettere sulla decisione: Malika ormai era irremovibile.

La Provvidenza non le aveva fatto rifiutare però l’incontro con il volontario per la vita a cui il ginecologo, obiettore, l’aveva infine indirizzata. Puntuale all’appuntamento, la donna affronta il colloquio ma la sua decisione è irremovibile: non può tenere quel bambino. Lei e suo marito sono in Italia da otto anni. Sono rumeni e fin dal loro arrivo, hanno sempre cercato un lavoro onesto per dare una svolta al loro destino. Nei loro progetti tutto è pianificato e vivono con responsabilità la loro unione. Stare in Italia non è una passeggiata: imparare la lingua, cercare un lavoro. Arriva la prima piccola casa poi ecco la prima gravidanza e subito dopo la perdita del lavoro. La nascita del piccolo Mario era stata una grande gioia, ma il primo anno era stato molto difficile da superare: il marito portava a casa solo 150 euro a settimana, con cui sopperire a tutte le spese del nascituro, oltre al fitto e il resto. Compiuto un anno e iscritto il piccolo ad una scuola gestita da suore nei pressi di casa, Malika riprendere a lavorare come colf.

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La paga è misera, ma aiuta, in compenso trova alcune signore che la prendono a ben volere, permettendole di coniugare il lavoro con i suoi doveri di mamma. In Italia, non hanno nessuno, le loro famiglie sono in Romania dove anche loro desiderano fare ritorno appena racimolato quanto basta per aprire lì un’attività. Si sentono malgrado tutto, soli e Malika è molto diffidente, così quando il volontario prova a parlare non si fida dell’aiuto che le viene promesso e il colloquio si risolve in un nulla di fatto. Dopo qualche giorno si incontrano nuovamente. Questa volta c’è anche il marito, ma la scena è la stessa. Anche quell’incontro sembra non portare nessun frutto. Malika ringrazia per la disponibilità, ma è decisa: andrà a prenotare l’aborto! Passano due settimane quando il numero di Malika compare sul cellulare del volontario. È davanti all’ospedale. È il giorno in cui è fissato l’intervento e le manca “il coraggio” di varcare quella soglia per uccidere suo figlio, ma non riesce neppure a tornare indietro. È sola, neanche il marito ha potuto accompagnarla per non perdere il giorno di lavoro, ma basta quella telefonata per consentire al volontario di raggiungerla immediatamente. Questa volta Malika non oppone nessuna resistenza.

Sale in macchina ed insieme ritornano al consultorio. Una nuova ecografia, il battito del cuore di suo figlio: Malika piange e ha preso la sua decisione. I suoi problemi sono tutti lì, ma quella vita vedrà la luce. 

Malika e suo marito non hanno risolto i loro problemi economici ed hanno dovuto distanziare il loro progetto di ritornare in Romania. Mario continua ad andare a scuola dalle suore, ma l’intervento dell’Associazione Progetto Famiglia ha fatto sì che le consacrate, messe al corrente della situazione, tenessero gratuitamente il bambino per sostenere la causa della vita. Malika ha lavorato fino al sesto mese e le signore, presso cui faceva le pulizie, hanno comunque cercato di aiutarla.

Il contribuito economico, che le verrà versato per 18 mesi dall’Associazione, grazie all’adozione prenatale a distanza, consentirà a Malika di avere un piccolo aiuto, in attesa di ritornare a lavorare. È la vigilia di Natale e questa volta è Malika che con il piccolo Mario ed il marito raggiunge il volontario per ritirare il corredino che le è stato preparato. Guarda lo scatolo con tutti i vestitini rosa, il carrozzino, la culla. Sorride. È felice. Ha portato un panettone e la cioccolata per i bimbi del volontario, segno di quell’amicizia gratuita e feconda che ormai è nata.

 




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