Eutanasia

Tafida Raqeeb: l’ospedale vuole staccarle il respiratore, i genitori dicono no… ora sarà un giudice a decidere

Tafida Raqeeb

di Ida Giangrande

A circa un anno di distanza dalla morte di Alfie Evans, a Londra si torna a parlare di staccare il respiratore. A rischiare di morire, questa volta, è la piccola Tafida Raqeeb, 5 anni appena, in stato di semi-coscienza e non di morte cerebrale. L’ospedale vuole sospendere la respirazione artificiale, i genitori si oppongono, la questione entra nelle aule di tribunale. Quale sarà la sentenza stavolta?

“Avanti un altro” non è il titolo di una trasmissione divertente, ma il nome del triste sequel della questione sul “fine vita” nel mondo. Come prevedibile, ci risiamo, a circa un anno di distanza dalla morte di Alfie Evans, si torna a parlare di staccare il respiratore. A rischiare di morire per sentenza di Stato, questa volta, è la piccola Tafida Raqeeb, 5 anni appena, figlia di una coppia di inglesi di origini bengalesi a cui il Royal London Hospital vorrebbe sospendere la respirazione artificiale che la mantiene in vita, nel suo “migliore interesse” ovviamente.

Erano le 5.15 del mattino quando, lo scorso 9 febbraio, Tafida ha accusato un forte mal di testa. Di lì a poco, ha smesso di respirare. Portata di urgenza al Newham University Hospital di Londra, dopo tre lunghe ore, viene trasferita al Kings College Hospital, sempre nella capitale, e qui operata per fermare l’emorragia cerebrale in corso. A provocarla sembra sia stata una malformazione arterio-venosa. I danni subiti a livello cerebrale erano allora già molto gravi.

La bambina viene dunque ricoverata al Royal London Hospital in stato di minima coscienza. Il 19 giugno i genitori, Shelima Begum, avvocato di 39 anni, e Mohammed Raqeeb, 45enne, vengono informati che l’ospedale intende sospendere la ventilazione artificiale. Loro non si arrendono ed entrano in contatto con il Gaslini di Genova, in Italia, a cui chiedono un secondo parere. I medici dell’Istituto ligure confermano che le condizioni di Tafida sono estremamente gravi.

Il suo stato, però, è di semi-coscienza, non di morte cerebrale. La famiglia, quindi, chiede e ottiene dalla direzione la disponibilità ad accogliere la piccola trasferendola, a proprie spese, da Londra a Genova. Il Royal London Hospital dice no.

Ogni tentativo di mediazione fallisce. Neppure una lettera di «intimazione ad adempiere» smuove la rigida posizione della struttura che, a sua volta, deposita un’istanza alla sezione per il diritto di famiglia dell’Alta Corte inglese nell’intento di far valere le sue ragioni. L’esito della controversia potrebbe arrivare a breve. La prossima udienza è rimandata a lunedì.

Una sentenza, nel caso di Tafida, non c’è ancora, ma il procedimento legale è stato avviato. Ieri, la famiglia della bambina, ha depositato un ricorso al tribunale amministrativo della capitale inglese per trasferire la loro piccola in Italia.

Come andrà a finire questa storia? Sarà la stessa sequenza già vista scandita da sentenze, ricorsi, giudici e avvocati? Ci auguriamo di no per il bene di Tafida e per quello della sua famiglia. Il mondo è ancora scosso dalla fine traumatica della vita di Vincent Lambert, morto di fame e di sete perché un incidente gli aveva provocato una disabilità grave e lo aveva messo in condizione di dipendere dalla sanità pubblica e quindi dai fondi pubblici. Se un malato terminale non ha alcuna speranza, è un costo morto, meglio tagliarlo. È forse questo il filo logico che lega tutti i casi di eutanasia nel mondo?




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