Eutanasia
Vincent Lambert non era in fin di vita. Allora perché è stato ucciso?
di Ida Giangrande
Vincent non è morto a causa della sua disabilità, ma perché lasciato senza cibo né acqua. Oggi è giorno di lutto e di silenzio, ma anche di bilanci. Nel cordoglio generale abbiamo il dovere domandarci se la vita può essere una questione da dibattere in tribunale.
Chiunque abbia sperato fino all’ultimo in un cambio di rotta, oggi è costretto a fare i conti con l’amara realtà. Vincent Lambert è morto. C’è poco da fare ormai, poco da dire. Per lui e per i suoi genitori la speranza si è volatilizzata con il suo ultimo respiro.
La storia di Vincent la conosciamo tutti: infermiere 43enne, sposato con Rachel e padre di una bambina. Nel 2008 un grave incidente stradale lo incatena ad un letto. Il trauma gli provoca una lesione cerebrale che lo rende tetraplegico. Nel 2011 i medici escludono qualsiasi possibilità di miglioramento e nel 2014 la sua condizione viene classificata come vegetativa. I medici del Reims, l’ospedale in cui è ricoverato, ritengono che non ci sia nulla da fare e che sia opportuno sospendere i trattamenti che lo tengono in vita. Inizia così una battaglia che vedrà divisa in due la sua stessa famiglia. Da un lato la moglie, Rachel, convita di procedere con l’eutanasia, dall’altro gli anziani genitori di Vincent che invece non condividono la scelta.
Il 24 giugno del 2014 il Consiglio di Stato, la più alta giurisdizione amministrativa in Francia, in una sentenza afferma che ritiene legale l’interruzione del trattamento da parte dei medici dell’ospedale di Reims. Passa un giorno e la Corte europea dei diritti dell’uomo decide di sospendere la sentenza del Consiglio di Stato per esaminare il ricorso presentato dalla famiglia. Un anno dopo, il 5 giugno 2015, la Corte di Strasburgo dà il via libera all’eutanasia. Contrariamente alle attese, però, l’equipe medica dell’ospedale di Reims sceglie di non prendere alcuna decisione in merito allo stop dei trattamenti e chiede alla procura della Repubblica di designare un “rappresentante legale” del paziente. Non ci sono “le condizioni di serenità e sicurezza necessarie per continuare la procedura” di interruzione dei trattamenti, scrivono i medici in una nota. Tra le cause, le “pressioni” e “insicurezze” legate al disaccordo in seno alla famiglia.
Nell’ottobre 2015 il Tribunale amministrativo della cittadina di Chalons-en-Champagne respinge la richiesta di un nipote di Lambert di obbligare i medici a “staccare la spina”, in linea con la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il tribunale sentenzia che i medici possono, in virtù della loro “indipendenza professionale e morale”, decidere se sospendere o meno la procedura di interruzione delle cure.
Il 30 aprile 2019 la Corte di Strasburgo respinge nuovamente un ricorso dei genitori di Lambert, stabilendo che la questione era già stata analizzata con la sentenza del 2015. Il 20 maggio 2019, Vincent Sanchez, il capo del reparto per le cure palliative dell’ospedale di Reims, annuncia che interromperà i trattamenti. Polemiche, disperazione dei genitori, poi la sera stessa il colpo di scena: la Corte d’appello di Parigi ordina di riattaccare immediatamente la spina almeno fino a quando un comitato dell’Onu per i diritti dei disabili, al quale i genitori avevano inviato uno dei tanti ricorsi, non si fosse espresso. “È una grande vittoria”, esulta l’avvocato Jean Paillot, in piazza a Parigi in mezzo a un gruppo di manifestanti ostili allo stop.
Il 28 giugno, però, un nuovo colpo di scena: la Corte di Cassazione accoglie il ricorso contro la sentenza dei giudici di appello presentato dal governo francese e sostenuto dalla moglie di Lambert. Dichiarando i giudici di appello “non competenti” per esprimersi sul caso, la Corte riapre quindi la possibilità di sospendere le cure.
Il 3 luglio 2019 ha inizio la procedura di interruzione dei trattamenti. Due giorni dopo i genitori annunciano di essersi arresi, definendo ormai “inevitabile” la morte di Vincent. Alle 8.24 dell’11 luglio Lambert muore.
Dieci in tutto i giorni di agonia. Vincent resiste. Si spegne in maniera lenta e alla fine se ne va nel clamore di un’opinione pubblica divisa in due, torti e ragioni, pro e contro, una bufera mediatica di tutti contro tutti, una guerra che all’alba del primo giorno dopo Vincent continua senza sosta. In Francia c’è già chi chiede una legge che normalizzi l’eutanasia in casi come questo, il fronte opposto tenta di difendere i diritti di tutti gli altri Lambert, tetraplegici quindi disabili non malati terminali.
Dall’altro lato il Papa, che in un tweet scrive: “Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert. Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre”. Gli fa eco la Pontificia accademia per la Vita che parla di una “sconfitta per la nostra umanità”. Subito dopo Régis Aubry, ex presidente dell’Osservatorio nazionale sul fine vita, che in un’intervista a le Figaro specifica: “È scioccante aver sentito qualcuno dire che Vincent Lambert era un vegetale. Non possiamo considerare come morte le persone delle quali non possiamo conoscere la vita psichica. Ci vuole rispetto. Spero che in Francia non si arriverà mai a considerare che alle persone in stato di grande dipendenza si debba sistematicamente interrompere i trattamenti. Nel caso di Vincent Lambert, non si è trattato di interrompere trattamenti che apparivano irragionevoli per una persona affetta da malattia grave ed evolutiva. Lambert infatti non era in fin di vita”.
Lambert non era in fin di vita, allora perché è stato ucciso? Qualcuno è in grado di spiegarlo? Forse no, e nel caos delle idee tutto ciò che resta è un letto il vuoto, il lutto di una madre che piange il figlio morto, il senso di insicurezza generale che ci fa sentire tutti un po’ più in pericolo. Esposti alla mentalità eutanasica che fa della vita umana una questione da dibattere nelle aule di tribunale a colpi di sentenze, ricorsi, comunicati stampa. Tutti soggetti a una società che sembra aver dimenticato che cos’è un uomo, che ha fatto della disabilità una condizione esistenziale incompatibile con la vita.
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