Linguaggio e media

Limonare o baciare: nella differenza la bellezza delle parole perdute

coppia

di Ida Giangrande

Mentre sui social spopolano le parole d’odio, in televisione sono sempre più comuni volgarità, insulti e frasi sessiste. Le parole veicolano dei contenuti ben chiari che spesso definiscono idee e valori. Dal modo in cui ci esprimiamo, spesso e non sempre, facciamo capire chi siamo.

Sempre più spesso riceviamo lettere e commenti da parte di nostri lettori che esprimono una certa preoccupazione legata all’uso di un linguaggio scorretto sui social da parte dei figli adolescenti o poco più. Una cosa non di certo nuova, abbiamo avuto modo di affrontare il problema delle hate speech in svariate occasioni, ma negli ultimi tempi ho notato anch’io che il linguaggio dei giovani, social o no, è molto peggiorato e non parlo solo di parolacce in senso stretto. Il modo di esprimersi oggi è diventato genericamente duro, vuoto, frivolo, slegato dall’affettività soprattutto per ciò che riguarda la sessualità. A mio parere, il problema non è il linguaggio dei ragazzi ma quello degli adulti.

I figli, si sa, sono lo specchio di ciò che vedono, imitano le nostre azioni, e quale esempio offriamo loro da questo punto di vista? Non ho di certo la capacità di entrare in ogni casa per osservare le abitudini linguistiche che si adoperano in famiglia, ma se solo guardo il modus operandi dei media mi accorgo che il quadro della situazione è piuttosto drammatico. Liti, insulti, linciaggi mediatici sono ormai all’ordine del giorno. La televisione di oggi fa sfoggio di frasi al vetriolo, si diverte a schierare fronti opposti perché il bisticcio servirà ad alzare lo share con la tendenza generalizzata ad imbruttire le parole, svuotandole delle loro connotazioni virtuose.

Come giornalista sono iscritta all’Ordine e questo mi impone di seguire dei corsi di deontologia professionale. In uno di questi si parlava di femminicidi. La relatrice ci fece notare che, nel descrivere l’ennesimo caso di cronaca, si utilizzava spesso il termine delitto d’onore. Sbagliato e scorretto secondo lei perché evoca un retaggio culturale che in qualche modo riporta indietro di anni, a quando cioè l’uomo, se offeso nel suo onore, aveva quasi il diritto non riconosciuto, ma nemmeno totalmente vietato, di usare violenza sulla donna o su chi aveva arrecato l’offesa.

Lì per lì, lo confesso, la trovai una esagerazione ma in seguito approfondendo il concetto ho compreso quanto sia importante che i giornalisti usino un linguaggio corretto, perché spesso una penna può ferire più di uno stiletto, mette in circolo idee che poi possono diventare facilmente costume, modello di comportamento sociale. Per questo ogni volta che scrivo un articolo o un post, sto sempre molto attenta alle parole che scelgo. Se provo a guardarmi intorno, però, non trovo altrettanta delicatezza da parte di chi tutti i giorni e a tutte le ore, si trova in televisione. Inutile discutere sui format stupidi. Stupidi o no, stanno a contatto con noi e con i nostri figli tutti i giorni, generano cultura o controcultura a seconda dei punti di vista e questo inevitabilmente si riflette sul modo di esprimersi. Tanto per fare qualche esempio, gli ultimi dati disponibili ci dicono che le tre giornate conclusive di Uomini e donne, il noto dating show dell’altrettanto nota Maria de Filippi, hanno raggiunto i 2,9 milioni di spettatori, per uno share del 22,87% il calcolo è relativo ad una sola puntata. Tra i boom di ascolti delle ultime settimane, spicca il Grande Fratello condotto da Barbara D’Urso. La semifinale del reality show, in onda su Canale 5, è stata seguita da 3.366.000 telespettatori pari al 21% di share. Secondo un’idea molto diffusa questi due format sono tra i più banali, ma intanto risultano anche i più seguiti e spesso è proprio da qui che parte la moda di un linguaggio adulterato, confuso, spesso violento, spesso fuorviante, utile cioè a veicolare l’aspetto più trash dell’animo umano, l’istintività più che l’affettività soprattutto come dicevo sopra, in campo sentimentale e sessuale.

Facciamo qualche esempio? Negli ultimi tempi sta diventano virale il termine “limonare” al posto di “baciare”. Sia chiaro, la parola era in circolo già ai tempi di mia madre, ma era confinata all’ambito della volgarità, perché rimanda un’idea funzionale del bacio alla francese che nulla ha a che vedere con la relazione tra gli amanti, implicita invece nel termine “baciare”. Ora se a Uomini e donne questo termine viene ripetuto un centinaio di volte da corteggiatori e tronisti cosa ne penseranno i ragazzini e le ragazzine che li seguono come idoli? C’è tanto da sorprendersi se questo termine viene utilizzato a raffica sui social o se il bacio in sé, come gesto, è diventato una specie di gioco di società del tutto sganciato dai sentimenti? Dopotutto “tirare un limone” oggi è come stringersi la mano. Vogliamo parlare invece dell’espressione consueta con cui Barbara D’Urso nel suo salottino pomeridiano, usa definire le belle ragazze chiamandole “gran gnocche”, vi pare un linguaggio delicato, attento al messaggio?

Eppure a guardarle da vicino ci si innamora delle parole. Sono piccoli microcosmi che contengono la storia, le tradizioni, il senso stesso dell’umanità. È per questo che nel solco dei secoli sono stati coniati termini gergali e altri no, parole nobili e altre meno, perché l’umanità contiene in sé entrambe le facce della medaglia e a ciascun ambito corrisponde una parola di riferimento. Mescolare i due stili, genera confusione e disorientamento. Un bacio e un “limone” sono due cose diverse anche se hanno in comune lo stesso gesto. Questa è la ricchezza del linguaggio: descrivere ogni aspetto dell’anima con tutte le sfumature possibili di significato. Un’abilità solo umana che altre creature non possono sviluppare. Le parole veicolano dei contenuti ben chiari che spesso definiscono idee e valori. Dal modo in cui ci esprimiamo, spesso e non sempre, facciamo capire chi siamo. Ma la domanda sorge spontanea: questa umanità ha un’identità chiara da esprimere oppure il linguaggio moderno, soprattutto quello televisivo, non fa altro che riflettere l’assenza di un volto?




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