Il Santo

Celebriamo san Paolo VI, il papa della vita

di Ida Giangrande

Oggi la Chiesa celebra per la prima volta la memoria di san Paolo VI. Noi vogliamo celebrarlo ricordando insieme a Costanza Miriano, il suo impegno per la vita nascente e la procreazione responsabile.

L’elezione di Montini avvenne il 21 giugno 1963.  Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a secolarizzarsi Paolo VI indicò le vie della fede e dell’umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune. A tal proposito, significativo fu il suo impegno in ambito umanitario: a soli venti giorni dall’elezione al Soglio pontificio diede avvio alla missione dell’Associazione Femminile Medico-Missionaria (la cui fondazione era stata da lui stesso incoraggiata) a Chirundu, in Africa.

La Chiesa era divisa tra tradizionalisti e progressisti; i primi lo accusavano di aperture eccessive, i secondi di immobilismo. Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all’uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi.

Portò a compimento il Concilio Vaticano II aperto dal suo predecessore papa Giovanni XXIII, con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici e aprendo fortemente verso i temi del Terzo mondo e della pace. Da una parte appoggiò l’aggiornamento e la modernizzazione della Chiesa, ma dall’altra, la sua azione pontificale tenne quali punti fermi la tutela della fede e la difesa della vita umana. A quest’ultimo necessità dedicò l’enciclica Humanae Vitae del 25 luglio 1968.

Ne parliamo con Costanza Miriano, giornalista della Rai, scrittrice e blogger ma soprattutto sposa e madre. A cinquant’anni dalla sua promulgazione le chiedo subito se trova che l’enciclica Humanae vitae sia ancora attuale. Mi risponde prontamente: “Sì, certo che sì. Sarà sempre attuale perché è diretta a valorizzare la persona nella sua integrità. Quindi se per attuale intendiamo valida, rispondo decisamente sì che lo è oggi, lo era ieri e lo sarà per sempre. Se invece per attuale intendiamo quanto è applicata, allora non ho gli strumenti per poter rispondere, ma so per certo che se ne parla poco, che gli stessi credenti non la conoscono”.

 

“Quindi lei pensa che ci sia un vuoto a livello pastorale per ciò che riguarda Humanae vitae?” sintetizzo. Ci pensa un po’ su, poi dopo: “Di certo posso dire che non viene proposta abbastanza. Non viene proposta ai corsi prematrimoniali ad esempio né ai gruppi di giovani. Io stessa ho sentito parlare dei metodi naturali da un’amica cattolica. Sembra quasi che la Chiesa non abbia più il coraggio di proporre un cammino che forse sì è esigente, ma sicuramente restituisce molto più di quello che chiede”.

“Perché questo vuoto secondo lei?”. Mi risponde senza pensarci quasi di impulso: “Perché proporre i metodi naturali vorrebbe dire proporre un percorso sicuramente distante e diverso dalle idee del mondo. Sappiamo bene che l’orientamento generale nei temi legati alla sessualità e più in generale, all’affettività, è regolato quasi interamente dall’immediatezza. Tutto ciò che ha a che fare con il limite, la regola ci spaventa, ci inibisce e ci costringe ad abbandonare la via maestra. Bisognerebbe ripartire da qui, dal valore delle regole. Sarebbe importante insegnare soprattutto ai giovani, ma non solo, che le regole non sono fregature, sono invece condizioni necessarie, che al mondo non si può fare tutto ciò che ci piace solo perché ci piace e che non siamo dei di noi stessi. È urgente tornare al senso e al valore delle regole. Ma soprattutto è urgente rispolverare l’idea che se Dio oggi ci chiede una rinuncia, se ci pone un limite, non è per fregarci, ma per arricchirci. È per fiducia in lui che noi obbediamo. Evidentemente non crediamo che Dio ci ama”.

Vorrei farle una domanda ma faccio un po’ di fatica, poi prendo il coraggio a due mani e le chiedo: “Tra le tante possibilità che la scienza e la medicina offrono, quanto sono validi i metodi naturali?”.

Non mi sembra sorpresa anzi: “Le femministe francesi sono sostenitrici della validità di questi metodi, – dice – e sa perché? Perché rappresentano qualcosa di umanamente valido. Insegnano a rispettare un ciclo vitale naturalmente presente nelle persone. Sono convenienti sotto ogni punto di vista anche dal punto di vista medico. Non si tratta infatti di aggiungere o togliere nulla al proprio corpo né di frapporre barriere. La relazione sessuale è piena e liberante, in più si impara a conoscere il proprio ritmo, si impara a rispettarsi e ad attendere”.

La sento schioccare con la voce, il segno di un pensiero che apre la porta ad un pensiero più grande: “Attendere, oggi come oggi, sembra essere uno di quei termini della lista nera delle parole scadute. La parola d’ordine è immediatezza. Nella relazione di coppia e soprattutto nella sessualità, il termine attesa sembra essere un’oscenità”.

“Don Maurizio Chiodi intervenuto lo scorso 14 dicembre alla Università Gregoriana di Roma nell’ambito di un ciclo di lezioni pubbliche in occasione dei cinquant’anni dell’enciclica Humanae vitae (25 luglio 1968) ha detto che la contraccezione può essere un dovere di responsabilità…”. Pensa qualche istante, dalla cornetta non sento altro che il respiro cadenzato da mille pensieri che vorrebbero venir fuori all’unisono e rischiano di ingorgarsi. “Io credo che ci siano casi rarissimi in cui l’uso della contraccezione magari è possibile. Flora Gualdani ha detto che dei seimila casi che ha seguito circa lo 0,1% erano casi in cui era fattibile l’uso di sistemi contraccettivi. Penso a una donna che sta facendo la chemio ad esempio. Il problema è introdurre la possibilità dell’uso di sistemi contraccettivi in maniera maliziosa e per rompere la diga. Se siamo a una conferenza in cui parliamo di metodi naturali, in cui si parla della validità di Humanae vitae in relazione ad Amoris laetitia e l’unica cosa che dici è che ci può essere un obbligo di uso di contraccettivi, invece che parlare della bellezza e della validità dell’apertura alla vita, vuol dire che l’intento è mantenere formalmente la dottrina per poi svuotarla internamente. Bisognerebbe invece sottolineare che in Amoris laetitia ricorre ben tre volte il consiglio di recuperare Humanae vitae. In un tempo in cui la Chiesa non propone più i metodi naturali, in cui quasi non si fanno più figli, i divorzi e le separazioni sono alle stelle proporre ai coniugi la contraccezione è veramente senza senso. Peraltro è stato più volte chiarito che la contraccezione non aiuta la relazione di coppia, ma rappresenta una barriera invisibile dove l’unità dei coniugi si infrange. Io sto con te ma non ci sto. È una schizofrenia profonda. Sapere che io mi unisco a te e con te vado incontro ad un destino completamente affidato nelle mani di Dio, non ha paragone”.

“Parliamo dell’#Humanae vitae vissuta?”. “Poiché l’assunto da cui è partito Chiodi è che ormai nella Chiesa nessuno più utilizza i metodi naturali, io ho pensato di mettere in risalto quanti invece li usano. Conosco migliaia di persone che vivono concretamente questa esperienza. Invece di contestare il merito, proviamo a pubblicare le storie concrete, le esperienze vissute di persone comuni che hanno scelto di vivere la sessualità in pienezza. La domanda è: qual è il beneficio che la coppia ne ha avuto? Io stessa quando leggo le storie che pubblico resto affascinata dal grande apporto umano, sentimentale e passionale dei metodi naturali nella relazione di coppia”.

Il miracolo riconosciuto per cui proclamare santo Paolo VI è quello riguardante la guarigione inspiegabile di una bambina non ancora nata. Secondo i medici avrebbe avuto scarse o addirittura nessuna possibilità di nascere a causa di una grave complicanza della gestazione, pericolosa anche per la salute della madre. Il feto rischiava la rottura prematura delle membrane alla tredicesima settimana, complicata da anidramnios. L’anidramnios è in pratica la mancanza di liquido amniotico che circonda il feto. La condizione può causare una serie di gravi conseguenze, come il non adeguato sviluppo dei polmoni, che causerà dunque la mancanza di respiro alla nascita, oppure malformazioni alla testa e ai piedi. Il feto, una bambina come si è già detto, era dunque gravemente compromesso. E infatti la prognosi dei medici era infausta. 

La madre della bambina fu convinta da un’amica che era in contatto con un dottore devoto di Paolo VIa recarsi a Brescia per invocare l’intercessione del Pontefice morto a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978 e da poco proclamato beato (si era allora nel 2014 e papa Francesco aveva beatificato Giovanni Battista Montini la domenica 19 ottobre, al termine del Sinodo straordinario sulla famiglia). La signora si recò dunque nella diocesi natale di Paolo VI, pregando intensamente nel Santuario di Santa Maria delle Grazie. I successivi controlli medici attestarono la completa guarigione del feto. Oggi la piccola gode di ottima salute.




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1 risposta su “Celebriamo san Paolo VI, il papa della vita”

Grazie del bell’articolo. E’ vero che si parla poco o niente dei metodi naturali. Ricordo che San Giovanni Paolo II l’8 dicembre del 1996, il giorno dell’Immacolata, disse:” E’ giunto il momento che in ogni parrocchia ci sia un’insegnante del metodo naturale”. Purtroppo non è così. Ma molte adolescenti e giovani quando ne sentono parlare correttamente ne restano entusiasmate. Occorre cominciare con gli adolescenti e i giovani.

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