Gender

In Emilia Romagna via libera ai bagni neutral e al gender nelle scuole

bagno neutral

di Gabriele Soliani

Contrastare la discriminazione verso tutti gli orientamenti sessuali in Emilia Romagna vuol dire favorire l’indottrinamento gender di studenti e insegnanti. Via libera anche ai bagni neutral e all’introduzione del terzo sesso sui questionari. Ma a cosa porterà tutto questo?

Ora a Reggio Emilia in Comune arrivano i bagni “gender free”, le cosiddette toilette neutrali o del “terzo sesso” (terzo?) sul modello della Germania. Dopo la prima celebrazione legittima di un’unione civile in Italia tra due uomini (lo scrittore P. P. e il giornalista M. S.) nel 2016 e dopo il Gay Pride regionale di un anno fa, la città del Tricolore ha adottato un protocollo – il primo del genere a livello nazionale – per contrastare le discriminazioni verso tutti gli orientamenti sessuali, a tutela dei diritti Lgbti. Prerogative di cui Reggio Emilia vuole essere un modello che fa scuola in tutto il Paese, proprio mentre la legge regionale contro le discriminazioni Lgbti è ferma dopo aver spaccato il Pd dell’Emilia-Romagna per un emendamento che definisce la maternità surrogata come «forma di sfruttamento della donna» al pari di violenze, abusi e maltrattamenti in famiglia. Che sia uno sfruttamento è una verità. Oltre ai bagni neutral ci sarà l’aggiunta dell’identità di genere sui questionari grazie alla casella “altro” oltre al solito maschio/femmina, un linguaggio inclusivo e alla possibilità per i lavoratori degli enti aderenti di utilizzare l’alias in caso di fase di… transizione sessuale. Questi sono solo alcuni degli impegni più rilevanti assunti nel documento siglato nei giorni scorsi, alla presenza dell’assessore regionale dell’Emilia-Romagna alle pari opportunità Emma Petitti, da diversi enti reggiani, istituzionali e non.

Ausl e Università daranno la possibilità a dipendenti e studenti di avere sul cartellino di lavoro o sulla student card l’alias scelto per il cambio sesso. Infine le scuole promuoveranno incontri e corsi di formazione per insegnanti e genitori al fine di sensibilizzare sulla teoria gender. Quest’ultima delle scuole è particolarmente grave e c’è un motivo. Gli studi sono numerosi. L’ultimo ha rilevato che diversi bambini “diventano transgender” a causa della pressione o dell’influenza sociale, e nient’affatto perché sono nati in quel modo. Il 62% aveva inoltre una diagnosi di disturbo psicologico. La ricerca è apparsa su Plos One, firmata dalla prof.ssa Lisa Littman, e ha esaminato numerosi bambini con improvvisa comparsa della cosiddetta disforia di genere, in particolare quella “a insorgenza rapida”, cioè apparsa per la prima volta dopo la pubertà. Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, redatto dall’American Psychiatric Association (APA), è definito come il malessere percepito (solo percepito…) da chi non si riconosce nel proprio sesso biologico (i cosiddetti nati nel corpo sbagliato). O, secondo un linguaggio più ambiguo, quei soggetti che vivono una contraddizione tra l’identità di genere vissuta e il sesso osservato alla nascita (come se davvero potesse esistere un genere separato dal sesso). Dallo studio è emerso che tale disforia appariva appartenendo ad un gruppo di pari, dove uno, più o anche tutti gli amici hanno iniziato a soffrire di tale disturbo e/o si sono identificati come transgender durante lo stesso periodo di tempo. In altre parole, questi bambini si sono identificati come transgender perché i loro amici lo hanno fatto. «I genitori riferiscono anche che i loro figli hanno mostrato un aumento dell’utilizzo dei social network e di internet poco prima della manifestazione di un’identità transgender», ha scritto la ricercatrice.

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Il campione non è enorme, ma si parla del 21% dei bambini che aveva uno o più amici identificati come transgender più o meno nello stesso periodo; il 20% di essi che ha riportato un aumento nell’uso dei social media nello stesso periodo in cui hanno avuto i primi sintomi di disforia di genere; e il 45% che ha riferito entrambi i casi. L’enorme pressione dell’influenza sociale spiegherebbe perché fino a poco tempo fa era raro che un adolescente riferisse sensazioni di appartenenza al sesso opposto, al di là di ben noti periodi transitori di assestamento. Lo psichiatra americano Paul R. McHugh, Emerito di Psicologia presso la prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine, dove è stato presidente del Dipartimento di Psichiatria, ha spiegato che «i trattamenti devono iniziare con la rimozione del giovane dall’ambiente suggestivo che lo confonde, offrendo a lui un contro-messaggio in terapia familiare». La scuola non può sostituirsi all’educazione della famiglia, le istituzioni non devono imporre “teorie gender” (teorie già ampiamente smontate). I ragazzi non devono essere confusi o suggestionati. Le Associazioni famigliari si faranno sentire.

 




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