CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Jerôme Lejeune, l’apostolo della vita che amava la verità

1 Aprile 2019

A 25 anni dalla morte, oggi ricordiamo Jerôme Lejeune, il genetista francese che scoprì la verità sulla sindrome di Down. Per lui non c’era ombra di dubbio: quello che si agita nel grembo della madre non è un ammasso cellulare ma un bambino che si va formando.

Non so quanti ricorderanno Jerôme Lejeune a 25 anni dalla morte. Il mondo cattolico purtroppo non è bravo a custodire la memoria dei suoi profeti, specie di un uomo come lui che ha dato la sua splendida testimonianza in un ambito oggi oscurato dall’ideologia abortista ed emarginato nella vita ecclesiale. Paolo VI invece lo aveva conosciuto e stimato e, nel 1974, lo aveva inserito tra i membri della Pontificia Accademia delle Scienze. Giovanni Paolo II aveva un’altissima considerazione di quest’uomo che, rinunciando agli onori, scelse di stare dalla parte della verità, fino al punto da diventare “segno di contraddizione”, accettando le ingiurie e l’ostracismo di quel Potere che non perdona gli uomini veramente liberi.

Jérôme Lejeune (1926-1994) è un genetista di fama mondiale, nel 1958, poco più che trentenne, ha scoperto che la sindrome di Down è causata da una patologia cromosomica, questi soggetti hanno un cromosoma in più. Una scoperta fondamentale che ha liberato le mamme dei bambini Down dallo stigma sociale perché fino a quel momento la scienza – con sicumera degna di miglior causa – riteneva che la malattia veniva trasmessa dai genitori alcolisti e sifilitici. Lejeune divenne uno scienziato di fama internazionale.

Prima di tutto Jerôme era un cattolico ben radicato nella fede, un umile credente che non si è mai lasciato sedurre dal successo, ben sapendo che si tratta spesso di una luce artificiale che imprigiona la mente e soffoca la verità. Lejeune è stato uno dei grandi testimoni della vita, ha difeso con intelligenza e passione il bambino non ancora nato. Lo ha fatto nei grandi consessi internazionali e nei colloqui personali. Per lui non c’era ombra di dubbio: quello che si agita nel grembo della madre non è un ammasso cellulare ma un bambino che si va formando. Era solito dire: “A man is a man”. Sapeva come parlare alle mamme che erano tentate di abortire. Non sceglieva al loro posto e non sminuiva i problemi ma… riusciva a mostrare il mistero di quel bambino e la grande responsabilità dei genitori.

In un’agile biografia, scritta con commozione e devozione dalla figlia Clara (Le vie est un bonheur), emerge non solo la figura di un grande scienziato e la testimonianza di un credente a tutto tondo ma anche l’uomo che sapeva custodire la sua vocazione coniugale e il suo ministero genitoriale. È stato uno sposo attento e un padre scrupoloso.

Il libro rivela la sua straordinaria personalità attraverso lo sguardo di una figlia che conosce tanti dettagli di quella vita privata in cui si esprime la santità. Nonostante il suo lavoro, che svolgeva con passione, e malgrado le conferenze in ogni parte del mondo, Jerome è stato prima di tutto un papà premuroso e sempre disponibile. Non rinunciava alla tavola domestica per condividere e coltivare l’amore familiare. Non si spazientiva quando i figli disturbavano con le loro domande, anche quelle più strane. “Aveva sempre una risposta”, scrive la figlia. Era lui che salutava i figli e pregava con loro prima della buonanotte. In questi dettagli mi pare di vedere la coerente applicazione di quello che leggiamo nel Vangelo: “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti” (Lc 16,9). È una regola che i santi conoscono e applicano con scrupolo. Ed è proprio questa la linea di confine tra la vera santità e quella artificiosa, la santità che veste i giorni di quella fede che appare solo negli avvenimenti più importanti.

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La figlia si sofferma non poco sulla questione dell’aborto che, a partire dalla fine degli anni ’60, vede il papà impegnato in prima fila per difendere il concepito (La vie est un bonheur, 55-74). All’epoca l’aborto veniva presentato esclusivamente in relazione alla disabilità: perché permettere la nascita di un soggetto che dovrà soffrire e far soffrire? La posizione di Lejeune è netta e senza alcuna ambiguità: “Una società che uccide i suoi figli ha perduto la sua anima e la sua speranza”. La sua convinzione si basava unicamente sulle conoscenze scientifiche. Se la prendeva con quelli che chiamava “scienziati di fortuna” che hanno propagandato l’ipotesi che non si tratta di persone, hanno fatto credere che “un piccolo uomo di due mesi, un piccolo uomo di sei settimane, non è né umano né vivo”. Invece di negare la realtà, aggiungeva non senza amarezza, perché non dire che questo piccolo uomo vi disturba e che voi preferite ucciderlo.

Inutile dire che la sua netta riprovazione dell’aborto lo esponeva ad ogni forma di ingiuria e anche alle più violenti minacce. La figlia Clara ricorda che, andando a scuola, all’età di 12-13 anni, ella poteva leggere sui muri espressioni come queste: “Lejeune assassino, Lejeune va ucciso”; o ancora: “Uccidere Lejeune e i suoi piccoli mostri” (i bambini Down, ndr). Altri, con un linguaggio più raffinato, lo accusavano di colpevolizzare la donna che ricorreva all’aborto, lo presentavano come un rappresentante della “dittatura dell’ordine morale”. Come vedete, sono gli stessi argomenti che usano anche oggi non appena qualcuno si azzarda a difendere il concepito. Niente di nuovo sotto il sole, dicevano gli antichi. E come oggi accade, in non poche occasioni gli impedivano di prendere la parola. La figlia racconta uno di questi episodi in cui un gruppo di persone presenti in sala inizia a gridare. Senza perdersi d’animo, Lejeune urla più forte: “Chi è con me esca dalla sala”. Tutti risposero all’appello, rimasero una quindicina di persone guidate da un padre dominicano inviperito. Anche in questo caso, ahimè, niente di nuovo sotto il sole.

Jerôme Lejeune non appartiene a quei cristiani adulti, per usare un’espressione di Romano Prodi, egli sapeva e voleva essere un buon figlio della Chiesa. In questo ambito, non era la fede che lo guidava ma unicamente la competenza scientifica. Al tempo stesso egli ha saputo essere un cristiano adulto perché ha vissuto con piena coscienza la propria responsabilità dinanzi al mondo, non ha svenduto né sminuito la verità per paura di perdere la stima sociale o altri eventuali vantaggi. Lejeune non amava i compromessi e non cercava scuse. In un messaggio molto bello che potete trovare su YouTube, con voce rassicurante e con il suo seducente sorriso, egli consegna queste parole che hanno il valore di un vero e proprio testamento:

«Voi che siete per la famiglia, ci si prenderà beffe di voi, diranno che siete fuori moda, che impedite il progresso della scienza, si leverà contro di voi la bandiera della tirannia tecnico-scientifica, diranno che cercate di imbavagliare la scienza in forza di una morale superata. Ebbene, ciò che voglio dirvi è: non abbiate paura. Siete voi che trasmettete le parole della vita. Ci resta la saggezza, la sapienza eterna, quella che gli uomini non hanno inventato. Questa saggezza si riassume in una frase che spiega tutto e risponde a tutto, che vi dirò in ogni momento ciò che dovrete fare o non fare, questa frase è semplicissima, è il Maestro di tutti che ce l’ha insegnata: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”».

Una limpida testimonianza come questa non poteva restare nascosta. Nel 2007 la diocesi di Parigi ha aperto il processo di beatificazione. Tutti i documenti sono stati consegnati alla competente Congregazione. Sono certo che tra non molti anni potremo annoverarlo come uno dei santi di questa nostra difficile epoca.

Per vedere il filmato di Jerôme Lejeune clicca qui: https://www.youtube.com/watch?v=tiheM_0rKWY




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