Forze dell’ordine

Divise infedeli? Nessuno sconto, ma onore ai martiri della legalità

carabinieri

di Michela Giordano

Sull’esempio di Emanuele Basile e Mario D’Aleo, esponenti delle Forze dell’ordine uccisi dai killer della mafia, impariamo a portare rispetto a quanti indossano l’uniforme con onore.

Chi non ha vissuto una delusione d’amore? Di quelle toste, che ti fanno sentire a terra, niente più voglia di mangiare e che, solennemente, ti fanno promettere a te stessa “non mi innamorerò mai più”. Poi interviene quel gran dottore del tempo, che cura la ferita e un giorno, all’improvviso, torna a splendere il sole. Capita, qualche volta, di rimanere delusi dalle persone. Amici, parenti, conoscenti. E rappresentanti delle Istituzioni. Basta che uno sbagli e tutti diventano “disonesti, corrotti, infedeli”. Nel calderone finisce l’intera categoria. In queste settimane è un gran discutere dell’Arma dei Carabinieri: commenti sgradevolissimi rivolti non ai singoli soggetti che si sarebbero resi autori di abominevoli gesti (penso al pestaggio in caserma di Stefano Cucchi), ma, indiscriminatamente, a tutti i Carabinieri, dimenticando le migliaia di uomini e donne della Benemerita che, ogni giorno, ci difendono e tutelano, anche a rischio della propria vita.

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Nomi e volti che restano sconosciuti al grande pubblico. Oggi voglio ricordare il sacrificio estremo di Emanuele Basile e Mario D’Aleo. Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri, è stato ucciso a Monreale, Palermo, la sera tra il 2 e il 3 maggio 1980. Stava rientrando, a piedi, insieme alla moglie, dalla processione del paese. Portava in braccio la figlia Barbara di 4 anni, quando un killer mafioso gli ha sparato. Oggi donna, quella bambina ancora si colpevolizza per non aver avvisato il suo papà dell’arrivo, alle spalle, di “quell’uomo cattivo”.

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Tre anni più tardi, il 13 giugno 1983, anche il suo successore alla guida della compagnia carabinieri di Monreale, il capitano Mario D’Aleo, ha trovato la morte in un agguato al piombo di matrice mafiosa. In via Scobar, a Palermo, sotto casa della fidanzata, il giovane ufficiale è stato crivellato di colpi. Con lui sono morti anche due suoi collaboratori, i carabinieri Pietro Morici e Giuseppe Bommarito. Pochi conoscono storie e volti di questi 4 martiri della legalità. Ancora meno persone, per quell’impegno profuso a nostra tutela, hanno ringraziato le famiglie di Emanuele, Mario, Giuseppe e Pietro, segnate per sempre: mogli rimaste vedove, figli diventati orfani e genitori che scoprono che non è stato coniato aggettivo per chi, come loro, sperimenta l’innaturale e inaccettabile condizione di sopravvivere al proprio figlio. Esistono le divise infedeli, poche, pochissime e non chiediamo sconti per esse. Poi esiste chi, nel silenzio, compie ogni giorno il proprio dovere. Qualcuno ci rimette anche la vita, per questo, ma non meno eroe è chi, pur senza morire, è degno dell’uniforme che indossa, nella quotidianità di un servizio non necessariamente cruento, a volte perfino banale. Dovremmo essere grati, ogni giorno, invece di gettare fango, offendere gratuitamente. Dire grazie. Lo facciamo oggi, dopo aver letto queste poche righe?

 




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