CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Verona: un piccolo segnale che invita ad alzare lo sguardo

15 Ottobre 2018

gravidanza

Il Consiglio comunale di Verona cerca di aiutare le donne a non abortire. Immediata la polemica. Ma perché tanto rumore se la legge 194 suggerisce la stessa cosa? Di chi e di cosa si ha paura?

Cari amici,

alcuni giorni fa il Consiglio comunale di Verona ha approvato una delibera che impegna la Giunta ad attuare una serie di misure concrete a favore delle gestanti che intendono proseguire nella gravidanza anziché abortire. Niente di eccezionale, a dire il vero. In fondo si tratta solo di dare coerente applicazione a quanto chiede la legge 194, sì proprio quella legge che autorizza l’aborto chiede anche di “assistere la donna in stato di gravidanza […] contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”. E aggiunge una frase che oggi suona come una bestemmia agli occhi di coloro che vogliono l’aborto a tutti i costi: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Tutto questo è scritto nell’articolo 2 della legge 194. Leggere per credere.

Quello che hanno fatto a Verona dovrebbe essere la consuetudine proprio perché applica una norma scritta. La legge prevede l’aborto per le donne che rifiutano di portare aventi la gravidanza ma prevede anche gli aiuti necessari per quelle mamme che invece desiderano custodire il bambino che portano in grembo. Non si capisce allora perché tanta cagnara dinanzi ad un provvedimento che si propone semplicemente di attivare forme concrete di solidarietà per rispondere ad un oggettivo disagio. Quelle stesse che vengono invocate in altri ambiti della vita sociale, qui sono negate con una plateale sfacciataggine che può nascere solo da un odio ostinato e implacabile nei confronti della vita nascente e dalla paura che il solo fatto di aprire un piccolo varco alla solidarietà possa diventare un atto di accusa nei confronti di una politica che ha fatto dell’aborto il suo totem. Non si capisce perché lo Stato debba favorire il processo che conduce all’aborto, cioè all’uccisione di un innocente e non promuovere iniziative concrete per difendere e custodire la vita. Di chi e di cosa si ha paura?

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La vicenda di Verona è davvero una piccola cosa nel mare della politica eppure ha assunto un valore emblematico perché ha costretto tutti a togliersi la maschera. Gli abortisti si presentano come quelli che difendono la libertà delle donne. In realtà essi difendono solo il diritto all’aborto. Sono così convinti che l’aborto sia un bene da guardare con sospetto chi s’impegna a custodire la vita. Sono favorevoli all’aborto senza se e senza ma e non vogliono sentire ragioni. Michele Bertucco, un consigliere comunale di Verona del PD, ha dichiarato: “Non sapevo di essere in una città favorevole alla morte”. Evidentemente per lui praticare un aborto è come cavarsi un dente. Un piccolo fastidio e nulla più. La cultura abortista ha azzerato la capacità della ragione, non sappiamo più riconoscere il valore dei gesti e non abbiamo più il coraggio di chiamare le cose con il loro vero nome.

La posizione di Verona mette in croce quella politica che non ha mai preso in seria considerazione la possibilità di applicare la legge 194 in tutte le sue parti. E smaschera tutti quei politici che parlano sempre di solidarietà e giustizia ma non hanno mai avuto il coraggio di esporsi per affermare che il valore della vita inizia fin dal concepimento. E tra questi, ahimè, ci sono anche tanti che ritengono di essere cristiani. Nessuno può misurare la fede ma tutti possono misurare i gesti della politica e verificare se sono conformi o meno alla fede che professano a parole.

La vicenda di Verona mette in luce anche il silenzio dei pavidi e degli indifferenti, di coloro che guardano sempre altrove perché ci sono altre priorità. Dove sono i campioni della solidarietà sociale, quelli che sono sempre pronti a intervenire tempestivamente per difendere i diritti dei poveri? Un provvedimento che cerca di dare un po’ di sollievo ad una povera donna sola non è degno di nota oppure temono di macchiare la loro fedina sociale prendendo le difese della vita nascente? E dove sono quei monsignori che trovano sempre il tempo per dire la propria su altri temi della politica sociale? La difesa della vita non appartiene al mandato ricevuto? Non mi pare di aver letto particolari dichiarazioni di esponenti del mondo ecclesiale su questo punto. Evidentemente in questo periodo tutti hanno altro da fare.

Quello che è accaduto a Verona offre un preciso segnale a quanti hanno a cuore la causa della vita, a quanti non intendono cedere alla cultura di regime e non hanno paura di perdere la faccia per salvare la vita anche di un solo bambino. Verona insegna che è possibile coniugare in politica il diritto alla vita. Vale la pena raccogliere questo piccolo segnale come una sfida e un invito a vincere la rassegnazione. Affidiamo a Maria, Madre della vita, questa particolare intenzione di preghiera. Un caro saluto a tutti.

don Silvio

 




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