Vita

Accogliete la vita, anche se malata…

Vita

di don Silvio Longobardi

Quanto è difficile accogliere un bambino afflitto dalla malattia? Creature innocenti che portano nella propria carne i segni della passione di Cristo. Don Silvio ricorda: “Sono proprio quei segni che ci permettono di riconoscere in lui la presenza del Signore Gesù, crocifisso per amore nostro”.

Cari amici,

ieri Chiara ha compiuto 14 anni, è arrivata in una delle nostre case di accoglienza quando aveva 40 giorni, la diagnosi medica parlava di anencefalia e non lasciava molte speranze, anzi presagiva una fine piuttosto precoce. E invece… Chiara è ancora in mezzo a noi, una presenza silenziosa ed eloquente, una continua provocazione per chi misura la vita con le opere.

Qualcuno ha scritto che l’uomo è un angelo con un’ala soltanto, per volare ha bisogno di stare abbracciato a qualcun altro. La piccola Chiara è un angelo senz’ali. Non potrà mai imparare a volare. Ma non per questo smette di essere un angelo, una creatura che porta nel cuore l’immagine di Dio. “Facciamo l’uomo a nostra immagine”, leggiamo nella Genesi. Queste parole, che svelano l’eterna volontà di Dio su ogni uomo, valgono per tutti. Anche per Chiara che pure porta nella carne i segni della passione. L’immagine di Dio è stampata nel cuore di ogni uomo, nessuno perde questa dignità, neppure chi la infanga con la malvagità delle sue azioni. Figuriamoci questa creatura innocente. Dinanzi a questa bambina avvertiamo tutta la forza e la provocazione racchiusa nelle parole di Gesù: “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Mt 18,5).

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L’accoglienza di un bimbo è certamente la prima e la più importante opera che Dio compie nella vita degli sposi. Accogliere la vita significa in qualche modo fare alleanza con Colui che dona la vita. Quel bambino è segno di un’alleanza che abbraccia i secoli e che per volontà di Dio accompagna tutto lo spazio della storia umana. Un figlio porta in sé qualcosa di grande, di straordinario che nessuno strumento potrà misurare. Ogni mamma può dire: questo bambino prima non c’era o era solo nei miei pensieri, adesso c’è, è qui, lo posso abbracciare. Anche chi non crede percepisce il mistero racchiuso in ogni figlio. Ma per il credente tutto assume un significa ancora più pregnante. Ogni figlio è un dono di Dio, non solo perché viene da Lui ma perché porta Dio nella casa domestica.

Avere un figlio per molti è una gioia ma anche una gravosa responsabilità. Per i credenti, invece, il figlio non è un onere ma un onore, un dono inestimabile. Alcuni anni fa, in uno dei messaggi inviati in preparazione alla Giornata per la Vita, i vescovi italiani invitavano a vedere nel “bambino non ancora nato un’icona e una speranza di futuro”. E aggiungevano: “Entrare in relazione con lui, considerandolo da subito ciò che egli è, una persona, è la più straordinaria avventura di due genitori” (Messaggio in occasione della XXVII Giornata per la Vita, 6 febbraio 2005). Beati quei genitori che dinanzi ad una nuova gravidanza sanno pronunciare subito e con gioia il loro eccomi.

Questa parola non perde valore quando il figlio porta nella sua carne i segni della passione. Sono proprio quei segni che ci permettono di riconoscere in lui la presenza del Signore Gesù, crocifisso per amore nostro. Nelle nostre oasi di accoglienza abbiamo accolto tanti bambini ammalati. Alcuni di loro, come Chiara, gravemente ammalati. Ogni volta abbiamo fatto l’esperienza che chi è pronto a dare tutto, riceve molto di più. Chi accoglie in nome di Dio, fa della sua casa la dimora di Dio. Questi bambini sono come un’antenna che capta e mette in rete le voci degli angeli, attirano la carità. Per custodire la loro fragile salute dobbiamo lottare molto, soprattutto contro la cieca burocrazia e la superficialità degli operatori sanitari, ma la ricompensa non ha prezzo perché ha il profumo dell’eternità.

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Emmanuel Mounier, un filosofo francese, vissuto nella prima metà del secolo ventesimo (1905-1950), ha vissuto in prima persona l’esperienza della disabilità. In una lettera racconta di sua figlia, colpita da encefalite acuta. Egli rilegge nella fede questo evento e intuisce che si trova dinanzi al mistero di Dio:

“Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante, e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e d’amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia? Non dobbiamo pensare al dolore come a qualcosa che ci viene strappato, ma come a qualcosa che noi doniamo, per non demeritare del piccolo Cristo che si trova in mezzo a noi. […] Ho avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce, di avvicinarmi ad un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un segno. Avevamo augurato a Françoise di morire. Non è sentimentalismo borghese? Che significa per lei essere disgraziata? Chi sa se non ci è domandato di custodire e adorare un’ostia in mezzo a noi. Mia piccola Françoise, tu sei per me l’immagine della fede”.

Raccontandovi queste storie, nascoste alla cronaca, consegno a tutti voi un compito: permettete al buon Dio di continuare a scrivere pagine di carità che profumano di Cielo.

don Silvio




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