Vita
Il clandestino a bordo, il bambino nel grembo materno che cerca accoglienza
di Silvio Longobardi
Non è più possibile ormai contare i migranti che chiedono accoglienza e il loro grido trova risposte nel vasto mondo della società. Ma quanti sono invece i bambini non nati a cui è stata negata ogni forma di accoglienza? Essi sono inquilini scomodi, clandestini a bordo ai quali non è concesso nemmeno il diritto della cronaca.
La cronaca delle ultime settimane ha rilanciato prepotentemente il dramma di tanti migranti, persone che cercano un luogo più sicuro rispetto a quello di origine oppure desiderano venire in Occidente perché ritengono di poter trovare da noi un futuro meno avaro di promesse. Desideri legittimi anche se non tutti realizzabili.
Se un marziano leggesse i nostri quotidiani, se ascoltasse i nostri Tiggì, potrebbe pensare che l’unico vero problema che affligge la nostra società sia quello dei migranti. Di tutti gli altri non c’è traccia. È vero, di tanto in tanto emergono ma non interessano nessuno, né la politica né la magistratura, entrambe così solerti quando c’è da occupare la scena mediatica. Un osservatore esterno potrebbe pensare che tutte le altre forme di disagio siano sostanzialmente sotto controllo.
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Noi sappiamo che non è così! Sappiamo che, nonostante le apparenze, il nostro Paese fatica a riprendere quota, la disoccupazione è ancora molto elevata, tanti nostri giovani, quelli più capaci o forse quelli più intraprendenti, vanno all’estero, in cerca di un lavoro più decente. In un quadro economico fragile il disagio sociale aumenta perché non trova alcun argine da parte delle istituzioni pubbliche. Quanti anziani devono cavarsela da soli. Quante famiglie con disabilità sono costrette a portare un peso troppo grande per le loro forze. Quanti minori vivono in situazioni complesse o addirittura incompatibili con le loro esigenze educative.
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Tra queste mille e mille situazioni permettetemi di richiamare ancora una volta l’attenzione su un piccolo migrante che nessuno vede e nessuno difende. Non abbiamo foto che possono commuovere, come quella che ritrae il corpicino del piccolo Aylan. Non abbiamo le lacrime di genitori che piangono la loro morte. Il dramme di questi piccolo migranti continua nel silenzio e nell’indifferenza generale. I bambini non ancora nati sono inquilini scomodi, clandestini a bordo ai quali non è concesso nemmeno il diritto della cronaca.
Dacia Maraini non può certo essere annoverata tra i sostenitori del diritto alla vita. Eppure ha scritto un libro dal titolo suggestivo “Un clandestino a bordo”. Parla proprio del bambino nel grembo materno. Un figlio desiderato che però non ha visto la luce. Il libro nasce da una sua personale esperienza ma s’interroga sul senso della maternità e sulle ragioni che inducono le donne a ricorrere all’aborto. Beninteso, ella resta favorevole alla legge sull’aborto ma almeno s’interroga e interroga la coscienza. Meglio di chi, con ostinazione colpevole, vuole chiudere gli occhi sulla realtà e non vuole nemmeno che se ne parli. Tanto tutto è chiaro. L’aborto è un diritto. Punto.
Lo so che non tutti possono dire e fare tutto. Ciascuno sceglie l’ambito in cui offrire la propria testimonianza e il proprio servizio. E tuttavia, resto perplesso – per non dire sconcertato – dinanzi all’indignazione di don Ciotti che chiede a tutti un sussulto di umanità, chiede allo Stato di farsi carico di una massa sempre più ampia di poveri che bussano alla porta dell’Occidente. Il suo grido ha trovato tante risposte nel vasto mondo della società, di quella che si considera à la page e che considera la solidarietà verso i migranti come un segno distintivo della nostra identità culturale, una specie di marchio di fabbrica di quell’Occidente che non abbandona nessuno. Come non dare ragione a questi signori?
E tuttavia, sono le stesse persone che chiudono gli occhi sulla realtà dei bambini non ancora nati. Scrutano il mare e sono pronti a salire sulle navi per abbracciare coloro che vengono da Paesi lontani ma non sanno riconoscere la piccola creatura che ha già iniziato il suo viaggio della vita e che attende solo di trovare una casa.
Non capisco come sia possibile tutto questo ma … capisco che la cultura può diventare una gabbia che imprigiona il cuore e la mente. Quello che non posso proprio comprendere è come sia possibile che un prete attento ai poveri – parlo di don Ciotti ma anche di tanti altri – possa guardare con indifferenza la sorte di questi bambini che ogni giorno – ogni giorno – vengono soppressi a spese dello Stato. Sono poveri anche questi, anzi sono i più poveri. Come mai don Ciotti non s’indigna per uno Stato che uccide questi bambini, li uccide attraverso le proprie istituzioni e con i propri mezzi? Come mai non vede l’angoscia di tante mamme che – Progetto Gemma docet – non hanno bisogno di 35 euro al giorno, a loro basterebbe molto meno per dire sì alla vita. Come mai non vede le coppie che per avere un figlio vanno a cercarlo nelle cliniche che lucrano sul loro legittimo desiderio. Di queste non parla mai. Chissà perché … Un prete non deve avere paura di perdere il consenso, dicendo quello che la società e la politica non vuole sentire. Anzi, deve farsi un punto di onore perché sa che il suo Maestro ha saputo andare controcorrente. Un prete è padre di tutti, anche di quei bambini che non hanno ancora voce.
Se non ripartiamo da questa verità, semplice ed essenziale, se non impariamo a fare spazio ai bambini non ancora nati, sarà davvero difficile fare della società il luogo dell’accoglienza e dell’integrazione, la casa comune dove tutti possono trovare una famiglia che apre il cuore e le braccia. Noi continuiamo a credere che questo ideale sia possibile e deve perciò essere perseguito con tutte le forze. Per il bene di tutti.
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