Migranti

“Caro direttore Feltri, su una di quelle navi avrebbe potuto esserci lei”

di Ida Giangrande

Di migranti si parla ormai ogni giorno e con sempre meno rispetto. Toni alti, immagini forti, soluzioni inquietanti sono all’ordine del giorno. Unico assente, il valore della vita. Dov’è finito il lato umano della politica e cosa concretamente siamo disposti a fare?

“Ho visto un filmato in cui si vede cosa succede a coloro che sono mandati indietro e che sono ripresi dai trafficanti. È doloroso: le donne e i bambini sono venduti, ma gli uomini ricevono torture, le più sofisticate. Per questo prima di rimandarli indietro, si deve pensare bene, bene, bene”. Con queste parole papa Francesco, sul volo di ritorno da Dublino, ha commentato il video in cui si documentano le sevizie a cui sono sottoposti i profughi in Libia.

Credo sia controproducente, in questa sede, descrivere l’orrore di quelle immagini perpetrate ai danni di uomini inermi, che non hanno alcuna colpa se non quella di essere nati dalla parte sbagliata del cosmo. Ma la cosa peggiore è che all’indomani della diffusione di questo filmato, in televisione, i nostri benpensanti commentano questa drammatica emorragia umana con parole altrettanto inquietanti.

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Nei giorni scorsi durante uno dei tanti talk show preserali ho ascoltato un dibattito conturbante. In particolare ricordo, con una certa inquietudine, le parole di Vittorio Feltri, direttore del quotidiano Libero, il quale oltre ad aver accusato i profughi di venire qua a farsi mantenere da noi, ha detto che basterebbe lasciar affondare una nave con tutto il suo carico perché altri gommoni non partissero. Caro direttore, lei più di me, sa bene quanto l’uso delle parole in un contesto difficile come quello che stiamo vivendo, può diffondere idee sbagliate e innescare la diffusione di fenomeni non proprio edificanti. La storia ci è maestra in questo e le sue parole non fanno altro che fomentare risentimento verso i migranti.

Mi permetto una domanda e la rivolgo direttamente a lei direttore: dire che l’Italia non riesce e non riuscirà mai a sostenere da sola il flusso di migranti è la stessa cosa che suggerire di lasciar morire centinaia di uomini, donne e bambini in mare per scoraggiare la partenza di altri barconi? A ciascuno la propria coscienza.

Certo è vero che l’Italia non può accogliere tutti. È vero che il problema deve essere affrontato in Europa, tutti insieme, nessuno escluso, ma è anche vero che parlare di lasciar morire delle persone, farlo in televisione e in prima serata, mi sembra una cosa tanto disumana quanto l’efferatezza con cui molti profughi vengono torturati in Libia.

La questione migranti è diventata sempre di più un fatto politico e, ahimè, in Italia la politica sembra aver perduto il suo volto umano. Siamo ormai sempre più abituati ad usare toni alti, soprattutto in televisione. Gli insulti mediatici, le liti in diretta, si sa, fanno audience e a molti, tanto basta. Ma questo ci servirà sul serio ad affrontare l’emergenza? Oppure è perfettamente inutile sfruttare la questione per infangare l’opposizione, scendere in piazza per urlare parole d’odio contro chi è al governo. Forse non ci siamo accorti che a prescindere dalla propria idea politica, siamo tutti sullo stesso piano. Se non ci diamo una mano e proviamo a collaborare nel rispetto di tutte le parti in gioco questa ondata migratoria finirà con l’inghiottire tutti e saremo vittime noi stessi degli schiavisti, dei trafficanti e di fondamentalisti islamici. 

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Detto questo è anche vero, caro Feltri, che è solo per un gioco di fortuna o pseudo-tale che lei si trova dall’altro lato del fronte, comodamente seduto in una poltrona a farsi intervistare in un ufficio dotato di ogni confort. Sarebbe potuto nascere lì dove la speranza è solo un ricordo lontano, nel mattatoio dell’umanità, dove fuggire dai colpi di un machete è un obbligo perché meglio morire in mare che per mano di un aguzzino. In una situazione come questa forse anche lei sarebbe saltato sul primo barcone in partenza per un posto lontano e avrebbe benedetto quel mare in tormenta che poteva inghiottirla in qualsiasi momento, in attesa di avvistare finalmente il punto dove le acque si fermano e inizia la terra ferma. Nessuno lascia le proprie radici se non è obbligato a farlo. Nessuno mette a rischio la propria vita e quella del propri cari se non ha un pericolo serio da cui scappare. Forse mi sbaglio ma quello che vorrei vedere quando si affrontano argomenti così delicati è la sensibilità, il rispetto per chi non c’è più, per la sofferenza altrui, per i corpi senza vita sepolti tra i flutti e che, di tanto in tanto, il mare restituisce al mondo. Ricorda il piccolo Aylan? Il bambino siriano di tre anni ritrovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Indosso una magliettina rossa, la faccia riversa sulla riva. La sua famiglia si era imbarcata su uno di quei gommoni che lei lascerebbe affondare. L’immagine del suo corpicino è diventata l’icona della crisi migratoria che stiamo vivendo e che siamo chiamati ad affrontare in un modo o nell’altro ma senza dimenticare la dignità e il rispetto per Aylan e per quanti hanno avuto e avranno lo stesso destino.




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