Manifesto pro-life

La verità non offende

Manifesto ProVita

di don Silvio Longobardi

Una gigantografia di un bambino di 11 settimane che campeggia a Roma, in via Gregorio VII, a due passi dal Vaticano fatto affiggere dall'Associazione ProVita, sta suscitando accese polemiche tra gli abortisti. Ma perché?

“Manifesto choc”, lo definisce un’associazione dichiaratamente abortista e chiede alla sindaca Raggi di provvedere all’immediata rimozione di quell’immagine che, a loro dire, offende le donne. Eppure, il maxi manifesto posto in bella vista nella centralissima via Gregorio VII, non offre nessuna immagine truculenta di un feto abortito, non fa vedere i resti di quello che avrebbe potuto diventare un bambino e che invece vengono gettati insieme al materiale sanitario. Non presenta volti di donne angosciate a causa dell’aborto. Niente di tutto questo. Sul manifesto campeggia semplicemente la gigantografia reale (senza alcuna modificazione) di un feto di tre mesi, una di quelle immagini che i ginecologi fanno vedere alle mamme durante la gravidanza.

Come può l’immagine di un innocente bambino offendere le mamme? La verità non è mai offensiva. È la menzogna che insulta l’intelligenza e il buon senso. La menzogna di chi si ostina a negare che si tratta di un bambino, un essere umano esattamente uguale a tutti gli altri 500mila che ogni anno nascono nel nostro Paese. Qualcuno ci spieghi se e quale differenza esiste tra quel feto che viene deliberatamente soppresso e quello che invece viene accudito con tutte le cure necessarie.

La reazione scomposta dei gruppi abortisti è indice che hanno paura della verità. Invece di invocare interventi censori della politica perché non fanno un manifesto in cui spiegano le loro ragioni? Perché non aprire un confronto serio a partire dalla sempre scomoda domanda sull’identità del feto? L’articolo del Corriere, che ieri riportava la notizia del manifesto, ovviamente non dava voce all’associazione ProVita che ha lanciato la campagna. Saranno pure integralisti ma avranno almeno qualche ragione. Perché non ascoltare quello che hanno da dire? No, loro non hanno alcun diritto al microfono. È un metodo che conosciamo bene. Se non sbaglio è stato – ed è – usato efficacemente nei regimi in cui il Potere non ammette repliche.

Si può essere o no d’accordo sul contenuto e sulle modalità dell’iniziativa ma nessuno può negare che quel manifesto esprime un’idea, invita a riflettere, sollecita un dibattito. Ed è quello che speriamo possa avvenire anche se le prime avvisaglie non sembrano andare in quella direzione. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

 




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