Società

Cara prof, dietro le forze dell’ordine il volto delle loro famiglie

di Michela Giordano

Un’insegnante insulta i poliziotti nel corso di una manifestazione a Torino. “Guardi prof, le lancio uno spunto didattico: conduca, insieme ai suoi studenti, una ricerca su Emanuela Loi, Mario D’Aleo, Emanuele Basile, Marco Pittoni, Filippo Raciti, Vito Schifani. Scoprirebbe che sono eroi per lo Stato, ma soprattutto figli, mariti, padri, fratelli, fidanzati, amici”.

Lisa ha 21 anni, studia relazioni internazionali e diritti umani, a Padova. Michele non è ancora maggiorenne, di anni ne ha 12 e vive in Umbria. Non si conoscono, ma hanno una cosa che li unisce: il loro papà è un carabiniere.

È in servizio, quello di Lisa, e viene spesso impiegato in attività di “ordine pubblico”. Non lavora più quello di Michele, esattamente dal 2006, quando è stato ucciso mentre tentava di sventare una rapina nel corso del suo turno di servizio. La scorsa settimana, Lisa e Michele hanno scoperto la storia l’uno dell’altra, quando hanno deciso di scrivere, attraverso la rete, a Lavinia Flavia Cassaro. L’avevano vista in tv durante una manifestazione antifascista che inveiva contro i poliziotti augurandogli la morte.

Un augurio inaccettabile da chiunque fosse giunto, ma ancor di più censurabile in considerazione del ruolo sociale di chi lo pronunciava: un’insegnante. Lisa, che suo padre lo vede ogni giorno, è andata su Facebook e ha scritto un lungo post, diventato virale: “Cara professoressa, ti parla la figlia di un appartenente alle forze dell’ordine. Tu che gli urli dovete morire, vedi ogni volta che mio padre si allaccia gli anfibi e si chiude il cinturone ho davvero paura che qualcuno lo faccia morire. Forse tu non sai cosa vuol dire. Tu non sai cosa vuol dire vivere di turni, vivere di imprevisti, di compleanni in cui nelle foto ci sono tutti, tranne lui. Del pranzo di Natale che diventava freddo a forza di aspettarlo. Cara professoressa, tu sai che mentre auguravi a quei ragazzi la morte, a casa c’erano i loro bambini che si erano appena addormentati, che si aspettavano di vedere i loro papà il giorno dopo come tutti i giorni? Lo sai che c’erano madri, fidanzate e mogli che in quel preciso momento stavano pensando a loro? E stavano pensando se magari potevano avere troppo freddo là fuori?”.

Da brividi anche le parole di Michele Fezzuoglio, rimasto orfano del padre quando aveva pochi giorni di vita: “In questa casa – è uno dei passaggi della lettera più toccanti – ci abito con la mamma. Sopra quel mobile c’è un berretto, lo stesso che era sopra la bara avvolta nel tricolore il giorno del funerale di mio padre. Guardi quante foto, attestati ed encomi, sono tutti di mio padre, li ha ricevuti sia in vita che dopo. Senta anche che silenzio, se ci fosse stato papà sarebbe stata una casa rumorosa, avrei avuto un fratello o una sorella o entrambi”.

Quante famiglie di uomini e donne in divisa piangono, ogni giorno, il ricordo del proprio congiunto morto nell’adempimento del proprio dovere. Tante, troppe. Guardi prof, le lancio uno spunto didattico: conduca, insieme ai suoi studenti, una ricerca su qualcuno di questi nomi Emanuela Loi, Mario D’Aleo, Emanuele Basile, Marco Pittoni, Filippo Raciti, Vito Schifani (potrei continuare, purtroppo, all’infinito). Scoprirebbe che sono eroi per lo Stato, ma soprattutto figli, mariti, padri, fratelli, fidanzati, amici. E forse dovrebbe vergognarsi dei suoi insulti.




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