povertà

Tante forme di povertà, un solo comune denominatore: la solitudine

Nuovi cortili

di Marco Giordano

Dalla penna di Marco Giordano, presidente della Federazione Progetto Famiglia, un libro per affrontare il problema della povertà colpendola alla radice. “Nuovi Cortili”, non solo una pubblicazione, ma una filosofia di vita.

Ludovico è un 70enne di Torino. In seguito alla morte della moglie e alla partenza del suo unico figlio per gli Stati Uniti, è rimasto praticamente da solo. Ludovico, è una di quelle che in Italia si definiscono, famiglie unipersonali, cioè formate da una sola persona.

Poi ci sono Luigi e Stefania, una coppia giovane, con un solo figlio. Lui carpentiere, lei impiegata presso una scuola privata. Lavori saltuari, spesso a nero, che tuttavia permettono di sbarcare il lunario, ma non prefigurano un futuro con altri figli, almeno non in queste condizioni. Da alcuni mesi si sono trasferiti a Salerno, per cercare maggiori opportunità lavorative, ma per ora non emerge nulla di significativo. I loro familiari sono “al paese”, cioè nel loro comune di provenienza, in una zona interna dell’Appennino campano.

Le due storie sembrano essere apparentemente lontane e invece hanno un minimo comune denominatore, che non risiede nella crisi economica e nella povertà di mezzi, ma nella solitudine sociale ed emotiva. Una condizione di disagio che diventa sempre più imperante nel nostro Paese e che può avere una sola risposta: il rilancio delle reti di solidarietà primaria.

La pubblicazione “Nuovi Cortili”, edita da Editrice Punto Famiglia, raccoglie le riflessioni e i risultati di un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base dell’art. 12, comma 2, della “Legge quadro sul volontariato” 11 agosto 1991, n. 266. Questo progetto, realizzato con la partecipazione di organizzazioni campane, laziali e pugliesi, “Wel(l)fare. Famiglie solidali e servizi sociali in rete”, si inserisce in un percorso di innovazione del volontariato finalizzato a favorire la prevenzione e il contrasto del disagio sociale mediante il rafforzamento delle reti di prossimità.

 

L’idea di fondo è che il benessere delle persone non sia ripristinabile in condizione di solitudine o di isolamento. Non sarebbe disagiato colui che pur avendo molti problemi potesse contare su una rete di protezione fatta di parenti, familiari, amici. La cosiddetta rete primaria costituita da relazioni dirette. Ma c’è un’altra rete di solidarietà che potrebbe rappresentare una valida risposta al disagio sociale ed è quella inter-istituzionale che comprende servizi sociali, di sicurezza, scolastici, sanitari e che, se sapientemente integrati, possono offrire risposte importanti per molte forme di bisogno e di disagio.

 

È interessante cogliere come la stessa etimologia del termine disagio venga dal latino “dis-agere” dove agere indica la capacità di giacere presso, quindi di star vicino, di stare accanto. È disagiato colui che è messo in una condizione di solitudine, di isolamento, di distanza emotiva e materiale dal resto della società.

 

Quando affrontiamo il tema del disagio occorre dunque rappresentarlo non più soltanto in termini di povertà economica, ma in termini di solitudine sociale, di povertà di relazioni, come il sociologo Pierpaolo Donati ci invita a cogliere.

 

In questa cornice si inseriscono alcuni dati preoccupanti diffusi dall’Istat che indicano come si vadano sempre più rarefacendo le reti di solidarietà primaria. Dal 1983 ad oggi emerge, ad esempio, che le reti di solidarietà spontanea sono arretrate di quasi un terzo, mentre il numero dei nuclei familiari italiani bisognosi di risposte solidali è aumentato. Questo per due motivi: da un lato perché le reti di parentela si vanno assottigliando, con un aumento esponenziale dei bisogni di cura che non trovano risposta nei familiari. Dall’altro lato perché molti dei cosiddetti anziani (una volta in prima fila nel sostegno ai propri congiunti e, soprattutto, ai nipotini), stanno oggi fronteggiando le cure dei loro genitori super-anziani.

 

In questo scenario si inserisce questo dato dell’Istat che quindi si presenta come un elemento più che preoccupante: oltre due milioni sarebbero infatti i nuclei familiari bisognosi di cure, che versano in uno stato di solitudine, abbandonati a se stessi dagli altri e da un welfare pubblico sempre più debole.

 

Il progetto “Wel(l)fare. Famiglie solidali e servizi sociali in rete” e il report-pubblicazione finale, vogliono proporre nuove soluzioni. Dare indicazioni, definire cornici teoriche e metodologiche, fino a formulare delle proposte di ordine operativo, articolate intorno a quattro grandi percorsi, convergenti fra di loro e volti a suggerire agli operatori sociali gli ingredienti da mettere in campo per stimolare la solidarietà. Questi percorsi sono:

 

Lavorare ad un’ampia ritessitura relazionale, promuovendo nuove possibilità di incontro tra persone che abitano lo stesso territorio. Non si tratta di diffondere una conoscenza superficiale, di natura amicale, ma di favorire la connessione emotiva condivisa. Far sì che le persone si percepiscano come collegate le une alle altre in modo che le sorti degli uni stiano a cuore agli altri. Un antidoto potente questo contro l’indifferenza. A tal proposito sarà buono promuovere varie esperienze di aggregazione come ad esempio i gruppi di mutuo aiuto dove le persone condividono i propri bisogni o di volontariato attivo.

 

Lo stimolo alla partecipazione attiva delle persone, pensare cioè a un appropriato modus proponendi, per stimolare il coinvolgimento fattivo delle persone del territorio. Qui occorre interrogarsi su come fare per coinvolgere e stimolare la partecipazione e renderla effettivamente praticabile, in base alle effettive concrete disponibilità delle persone coinvolte.

 

Il lavoro sul senso di comunità, che più in generale è un’attenzione a veicolare consapevolezza condivisa delle persone sui bisogni e sulle risorse nel contesto locale. Questo è possibile se ci si darà tempo per spazi di confronto collettivo.

 

Prestare attenzione alle concrete forme di organizzazione messe in atto, ponendo in essere stili di leadership che siano democratici e partecipativi e capaci di promuovere un adeguato clima organizzativo.




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