Unità e diversità

“Noi siamo in crisi coniugale e tu ci chiedi del presepe?”

Sposi cristiani

di fra Vincenzo Ippolito, ofm

Solo guardando al Verbo che si fa carne, gli sposi cristiani imparano a tradurre la parola della promessa nuziale in fedeltà quotidiana al progetto di Dio e scoprono il segreto per vivere la sfida dell’unità.

I giorni che precedono il Natale fervono di attività. Neppure in convento si riesce a non incappare nei lacci del “diavolo festivo”. “Fratelli – iniziava così, con tono grave, dopo essersi rischiarato la voce con alcuni colpi di tosse, il guardiano del mio noviziato – figli miei, attenti! Arrivano le feste, mi raccomando! Sono giorni nei quali grande e smisurata è la grazia, ma Satana manda i figli della sua tenebra, con il volto arrossato dal calore delle fiamme eterne. Essi vengono a toglierci la pace, a farci perdere facilmente la pazienza, a spingerci alla lite e alla dissipazione. Attenti al diavolo festivo”. C’era quasi da tremare a quelle vivide immagini, nel sermone incalzante di chi, saggio per età, indicava gli ostacoli da superare nel cammino spirituale a chi, per giovinezza, prende tutto alla leggera. Non credo, però, che tutte quelle che chiamiamo distrazioni vengano sempre dal Nemico.

Ero in chiesa. Sotto le feste, c’è sempre qualcosa da fare ed immancabilmente c’è qualcuno che ti distrae. Un fedele o un amico viene sempre a trovarti quando non sarebbe il caso e magari, credendo di farti piacere, diventa la tua ombra nel lavoro che stai compiendo, ignaro di vestire i panni dell’amico importuno. Così è capitato anche oggi. Allestivo il presepe e stavo collocando la greppia, quando sento lo scricchiolio della porta d’ingresso. “Chi l’avrà lasciata aperta?” mi dico. Non certo entusiasta, abbandono il mio lavoro e guardo verso il tabernacolo per chiedere al Signore, vivo e silenzioso compagno nell’Eucaristia, la forza del sorriso e la gioia sincera dell’accoglienza. Girandomi chi mi trovo? Daniele e Valeria, una coppia di amici che, in piena crisi sono venuti a sfogarsi con me – parole loro – perché alla fine la colpa è mia che li ho sposati! Fingo un mezzo sorriso alla battuta che non reputo delle più felici – avranno dimenticato che i ministri del matrimonio sono gli stessi sposi! – e con il mio sguardo ritorno al tabernacolo, sbottando, in silenzio “Proprio ora me li mandi? C’è così tanto da fare!” E mentre rivolgo gli occhi alla Madonna – la complicità di una Madre è l’unico farmaco in situazioni non calcolate – li saluto e li accolgo, ricordando che l’amico importuno – è Gesù a dirlo – è sempre esaudito.

Pur senza vestire la stola, mi preparo all’ascolto, mentre fingo – Dio mi perdoni! – di accomodarmi con interesse su uno dei banchi della chiesa, dove anch’essi prendono posto. Mentre si beccano, cercando di non essere visto, io guardo il mio presepe incompleto e, per trarre forza in quell’ascolto non scelto, volgo i miei occhi supplici ora verso il Tabernacolo, ora all’icona della Vergine. Finisce Valeria ed attacca Daniele. “Signore, fino a quando starai a guardare?” mi dico, mentre impongo a me stesso un ascolto attento. Scaramucce nella vita insieme sono quelle di cui parlano, incomprensioni all’ordine del giorno per chi imbocca la via del matrimonio e, messo mano all’aratro, decide di non volgersi indietro. Quando essi finiscono è mezzogiorno – mio Dio sono arrivati dopo le dieci! – la campana fa sentire i suoi rintocchi. Senza scompormi, mi alzo, recito con loro l’Angelus e dopo ricomincio il mio lavoro, come se nulla fosse accaduto. Riprendo la greppia, vi aggiusto la paglia e vi adagio il Bambinello. Daniele a Valeria si guardano basiti. “Non ci dici nulla?” domandano, mentre io mi siedo a terra per lavorare meglio. “Cosa volete che vi dica? – ribatto io – Avete allestito il presepe con i bambini?”. Valeria, indispettita, subito esplode: “Noi siamo in crisi e tu ci chiedi del presepe?” Sorrido, mentre prendo il Bambinello e quasi lo cullo tra le mani. Un ultimo sguardo al tabernacolo mi dona la forza di parlare con pacatezza, quasi riprendendo le fila di un discorso fatto insieme, anni prima, alla vigilia delle nozze.

La vita degli sposi è una continua tensione tra unità e differenza. Da un lato, Adamo cerca un essere che gli sia simile, desidera vivere, pur senza saperlo, la bellezza della complementarietà nel corpo e nel cuore, nel desiderare e nell’agire, nel pensare e nel volere. Dall’altro, a minare l’unità che Dio ha creato come possibilità e attuato come dono, affiancandogli Eva, è la voce suadente del serpente che semina la divisione, facendo leva sulla diversità e sulla volontà, facilmente ammaliabile, di essere dio di se stessi. L’armonia tra uomo e donna non è però una chimera, perché il Verbo ha posto la tenda tra noi per fare unità, ad ogni costo, tra Cielo e terra, tra uomo e donna, e tra loro e l’intera creazione. Solo guardando a Lui – scandisco le parole perché penetrino in profondità nella mente e nel cuore dei miei amici –  solo guardando al Verbo che si fa carne, gli sposi cristiani imparano a tradurre la parola della promessa nuziale in fedeltà quotidiana al progetto di Dio su di loro e scoprono il segreto per vivere la sfida dell’unità che nasce non dalla pretesa di volere l’uniformità dell’altro o di concederla, cedendo al suo egoismo, ma nell’accogliere le differenze e vederle come possibilità nel vivere la bellezza della complementarietà. Mentre parlo, la mano di Daniele ricerca quella di Valeria e, pian piano scivolano sul banco e si avvicinano fino a stringersi forte, mentre vado avanti con il mio dire.

Il Figlio di Dio, prendendo la nostra umanità, entra in una storia che, in quanto Dio, non gli appartiene e assume la nostra natura che unisce alla sua. Gesù, il Figlio di Dio resosi per noi figlio dell’uomo, è in tutto uguale al Padre – è Dio, il suo unigenito Figlio – ma è anche simile a noi in tutto, eccetto nel peccato. In Gesù c’è la perfetta ed armonica unità nella diversità: due nature, divina ed umana, nell’unica Persona del Verbo e noi più entriamo nel mistero di quel Bimbo nato da Maria, più scopriamo la bellezza delle mistiche nozze che nell’incarnazione Dio ha vissuto con l’umanità, assumendola. L’uomo si unisce alla donna, assumendo la sua diversità, senza pretendere di annetterla a sé come uno stato sovrano fa con una nazione vinta e assoggettata con forza. Neppure la donna può plasmare l’uomo alla sua immagine mentale e ai suoi sogni, ma deve con lui tendere verso l’unità con determinazione e coraggio, amore e desiderio.

La professione di fede della Chiesa dà ragione a tale armonia in Cristo e motiva anche l’unità coniugale. “Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate”. (CCC 467). E ancora: “Cristo ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti” (CCC 475). Possono queste sembrare delle formule di secoli passati – si tratti di pronunciamenti rispettivamente del Concilio di Calcedonia (451) e di Costantinopoli II (681) – ma, in realtà, suonano attualissime per noi. Se in Genesi il progetto di Dio è l’unità tra l’uomo e la donna, perché tra essi la differenza è complementarietà, la tensione tra il desiderio di unità e la spinta alla divisione, causata dal peso della diversità, è armonizzato negli sposi cristiani dalla capacità di tenere fisso lo sguardo sul Signore Gesù Cristo. Se nel Figlio di Maria le due nature, l’umana e la divina, coesistono senza confusione né divisione, senza mutamenti, né separazione, anche nell’essere marito e moglie, per analogia, deve avvenire lo stesso. È questo il mistero grande di cui parla Paolo (cf. Ef 5,32), vivere nell’unità di una sola carne, non divisi, nel cuore e nel corpo, né separati nei pensieri e nei desideri. L’unità, principio di indissolubilità, sta nel non assecondare mai le forze egoistiche della disgregazione che separano l’uomo dalla donna, senza credere, al tempo stesso, che uno dei due debba mutarsi nell’altro perché ciascuno ha la propria identità che sempre conserverà, pur chiamato a costruire quella nuova ed indissolubile del noi. Essere una sola carne vuol dire, infatti, guardare verso la stessa direzione, non credere che l’altro è orizzonte e meta della mia conversione. Così è anche per la volontà. In che modo essere educatori se le volontà dei genitori sono opposte e mai cooperanti – per analogia a ciò che avviene in Cristo – nella ricerca dell’autentico bene proprio e dei figli? Anche qui, solo guardando al mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo e la bellezza dell’essere in Cristo una carne sola.

Porgo ai miei amici il Bambinello che stringo tra le mani. Lo guardano senza dire nulla. Sanno bene che dopo la semina, è il tempo di far germinare le parole ascoltate. Mentre li accompagno aggiungo: “Dimenticavo, non crediate che l’armonia sia frutto del vostro sforzo. Come in Gesù la forza dell’unità è lo Spirito Santo che rese carne il Verbo, così tra voi solo il Paraclito può raccogliere le vostre diversità, senza mortificarle, ma orientandole alla realizzazione del disegno di Dio. Chiedete con insistenza che lo Spirito abiti in voi. Il Padre non sarà sordo alla vostra richiesta”. Mentre la porta scricchiola, dietro di loro, dopo esserci dati appuntamento per la Notte santa, corro al mio presepe, contento di poter continuare. Mentre sistemo una pecorella dormiente accanto alla greppia, una nuova campana richiama la mia attenzione. È l’ora del pranzo. Io recalcitro, vorrei tanto continuare. Uno sguardo al tabernacolo e subito colgo l’ammonimento del mio Compagno: alla fine anch’io sono chiamato a morire a me stesso per creare l’unità della mia fraternità. Senza indugio, mi dirigo in refettorio. Il diavolo festivo oggi ha cercato di farmi cadere più volte, ma è stato sconfitto e messo in fuga. Lo sguardo a Gesù può mutare in bene ogni situazione, anche quelle sulle prime giudicate avverse.




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