Giovani

Hikikomori: quando solo internet intercetta la solitudine dei nostri figli

di Ida Giangrande

Dopo Neet e Blue Whale, c’è un’altra inquietante etichetta che evidenzia disturbi di comportamento nei nostri giovani è il fenomeno Hikikomori, dal giapponese ‘isolamento’. Di cosa si tratta? Quali i rimedi? Ne parliamo con Tonino Cantelmi, psicologo e psicoterapeuta.

Una realtà preoccupante quella degli Hikikomori che in Giappone ha già visto più di 500.000 casi accertati, e che sta dilagando anche in Italia. Un fenomeno a cui anche il Papa ha fatto riferimento nella sua lettera ai vescovi della Chiesa giapponese. Dott. Cantelmi chi sono gli ‘Hikikomori’?

Sono adolescenti giapponesi che decidono di vivere nelle loro stanze ipertecnologiche. Smettono di studiare, di uscire, di relazionarsi con la società e vivono di connessioni, tecnologia, videogiochi e computer. Il problema è che anche in Italia abbiamo adolescenti così, rintanati nelle loro stanze magari meno tecnologici dei loro coetanei giapponesi.

Quali sono le cause di questo isolamento?

La società giapponese è davvero competitiva, veloce e selettiva. Si tratta di giovani che abbandonano la competizione: si affacciano sulla soglia e tornano indietro. Non ce la fanno ad uscire, affrontare le sfide. E fatalmente precipitano nel vortice della tecno mediazione: la loro vita è mediata dalla tecnologia, scudo protettivo e rifugio rassicurante. Ma pagano un prezzo altissimo: l’isolamento dal reale.

 

Che ruolo giocano la famiglia e la scuola?

In Giappone anche la scuola è selettiva già nei primissimi anni. Questo si salda su attese di eccellenza da parte di alcune famiglie. In questo modo nell’adolescenza la tenaglia tra paura del fallimento, attese di eccellenza e competitività diviene per alcuni giovani schiacciante. È un fenomeno molto legato alla paura del fallimento e al senso di vergogna. In Italia gli adolescenti che si rinchiudono tra schermi, videogiochi e smartphone e che smettono di uscire, di andare a scuola e di relazionarsi forse hanno dinamiche diverse, più legate al fallimento e alla desertificazione delle famiglie che all’insignificanza della scuola e degli adulti in genere. Ma il risultato è lo stesso.

 

Che ruolo ha invece internet in questo disagio?

La tecnologia digitale offre un mondo da abitare che alcuni ragazzi sentono più rassicurante e dove sperimentano una maggiore abilità. Alcuni internet-dipendenti sono dei veri leader nelle virtual community e nei giochi. Hanno successo in rete e sono abilissimi, tanto quanto sono fallimentari nella vita reale. 

Quali sono i primi sintomi?

C’è un solo sintomo: la rinuncia alle sfide che la vita reale propone agli adolescenti e il progressivo rinchiudersi nel tecno-mondo.

Cosa possiamo fare per prevenire questo disagio?

Occorre partire dagli adulti e dalla loro capacità di affascinare i ragazzi. Il problema è che gli adulti sono deludenti, incoerenti, inaffidabili e troppo preoccupati per se stessi. Verso gli 11 anni, secondo una ricerca (http://www.moige.it/la-dieta-mediatica-dei-nostri-figli-7279146), i ragazzini trovano nel web le risposte che non danno più gli adulti. A 14 anni l’adulto è insignificante per la quasi totalità dei ragazzini e il web è il punto di riferimento. Per alcuni ragazzi lo diventa troppo.




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