affido

L’affido della bambina inglese ad una famiglia musulmana: interroghiamoci seriamente.

di Ida Giangrande

A colloquio con Marco Giordano, presidente della Federazione Progetto Famiglia: “Ci sono bambini e ragazzi bisognosi di un’accoglienza che non trovano risposta perché vi è un’insufficienza di famiglie disponibili. Dobbiamo interrogarci sul bisogno di più famiglie disposte ad accogliere”.

Nelle ultime settimane, la notizia di una bambina inglese affidata a due famiglie musulmane che l’hanno costretta a togliere il crocifisso e a non mangiare carne di maiale, ha occupato le prime pagine di molto giornali. In seguito i giudici hanno predisposto l’affidamento della piccola alle cure della nonna, ma le polemiche continuano ad infuriare. Dott. Giordano, cosa non ha funzionato in questo caso di affido?

L’episodio descritto è sicuramente un fatto increscioso. Non è possibile imporre ad una bambina, con un atto di forza, comportamenti di diverso orientamento rispetto alla sua cultura. Questo vale anche nel caso inverso, non sarebbe giusto imporre, ad esempio, ad un bambino musulmano di mangiare carne di maiale. Al centro dell’affidamento c’è la tutela dei diritti del bambino. Tant’è che si parla di preminenza dell’interesse del minore rispetto a tutti gli altri interessi in gioco. Ma starei attento prima di urlare allo scandalo. Il sistema di affidamento inglese è molto avanzato, al punto che altri Paesi europei guardano all’Inghilterra per trarre spunto. Evidentemente qui siamo di fronte a una falla, un fatto sporadico, episodico. D’altro canto in Inghilterra ci si confronta con numeri molto alti di bambini accolti in affido, ed è chiaro che in sistemi così articolati, delle disfunzioni sono possibili. Questa, ovviamente non è una giustifica e bisogna attivarsi affinché casi come quello di cui stiamo parlando non si ripetano.

Il principio di fondo è la prossimità socio-culturale…

Una buona prassi consolidata al livello internazionale, è che la famiglia nella quale un minore viene inserito in affido, deve essere il più possibile prossima alla famiglia d’origine, dal punto di vista socio-economico e culturale. Immaginiamo un bambino che viene da un contesto povero e viene poi inserito in una famiglia particolarmente facoltosa, è chiaro che la famiglia affidataria lo introdurrà in uno stile di vita eccessivamente diverso rispetto a quello a cui è abituato. Questo principio può essere esteso ad ogni altro ambito della vita, della cultura e della religione. Il criterio di fondo è la prossimità socio-culturale. Ad esempio, quando ci fosse un bambino che viene da una realtà etnica di minoranza, bisogna tentare di verificare la possibilità di un affido omo-culturale, quindi cercare qualcuno disposto ad accoglierlo tra quelli della sua etnia. Capita, tuttavia, che il bambino sia inserito in contesti diversi, spesso anche per mancanza di disponibilità. In tali casi andrà comunque scelta una famiglia affidataria capace di rispettare la cultura, le usanze e le convinzioni del bambino.

Anche perché l’affido è un passaggio temporaneo…

Esattamente! L’affido non è adozione perché ha come sue criterio la temporaneità. Quando i servizi pubblici pensano ad un affido è perché ritengono che il bambino oggi non possa stare a casa sua, ma che ci siano le condizioni perché vi possa rientrare. L’affido mira al recupero di tutta la famiglia non solo del bambino. Anche per questo si cerca di mantenere una forma di continuità culturale, religiosa e sociale con la famiglia di origine, proprio in proiezione del rientro.

Le famiglie possono fare affido solo se formate e valutate idonee da un servizio pubblico?

Sì, quando una famiglia vuole fare affido, deve partecipare a un percorso di formazione. Viene conosciuta dai servizi sociali territoriali, questo sia per aiutarla a comprendere qual è la modalità migliore per accogliere un bambino, sia perché i servizi sociali possano comprendere se la famiglia è adeguata o no a fare accoglienza.

Spesso sono stati fatti riferimenti al terrorismo. Secondo alcuni, un imam avrebbe esplicitamente chiesto alle famiglie di aprirsi all’affido…

Se un imam induce le famiglie ad accogliere bambini per un obiettivo terroristico, va sicuramente arrestato. Starei però ben attento a non mischiare due argomenti che non hanno punti di contatto reali. È pressoché delirante l’ipotesi di fare terrorismo accogliendo bambini in affido. Piuttosto possono esservi derive fondamentaliste, miranti all’indottrinamento religioso. Queste, se vi fossero, andrebbero ovviamente stoppate e le sedicenti famiglie affidatarie andrebbero dichiarate non idonee. Altro è, invece, l’auspicabile caso di un capo religioso che, a prescindere da se sia musulmano, cristiano o altro, esorti le famiglie praticanti ad aprire le porte del cuore e della casa come gesto di sana solidarietà, a fare un’opera sociale benemerita come può essere quella di accogliere dei minori in difficoltà. Questo non solo non va stigmatizzato, ma anzi va accolto ed è anche auspicabile. Quanto più numerose, infatti, sono le famiglie disponibili all’affido tanto più diventa facile e probabile abbinare ad un bambino che deve essere accolto, la famiglia più adeguata per lui.

In effetti c’è carenza di famiglie disponibili all’affido…

Sì e decisamente, direi. Ci sono bambini e ragazzi bisognosi di un’accoglienza che non trovano risposta perché vi è un’insufficienza di famiglie disponibili. È proprio questo l’appello che vorrei lanciare alle famiglie, inglesi o italiane, cristiane o musulmane, fa poca differenza: questo episodio deve interpellarci. Ogni famiglia potrebbe essere la risposta migliore per i bisogni di un bambino. Il suggerimento è: chiediamoci se proprio noi che stiamo leggendo, siamo la famiglia che può aprire le porte della propria casa.




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