Il dono di un figlio

È giunto il momento del parto. Il linguaggio dell’amore e della fede con il neonato

di Giovanna Abbagnara

Giulia è spaventata. Tra poco nascerà il suo bambino. Quali parole posso consegnare al suo cuore se non i giorni della mia vita?

Giovanna è giunto il tempo di partorire. Sono spaventata. Cosa accadrà?”. Le parole della mia amica Giulia mi catapultano indietro di quasi vent’anni. Proprio in questi giorni di fine febbraio quando la mia mente e il mio cuore si preparavano al parto del mio primo figlio.  Ripesco dal cassetto dei ricordi quel tempo di attesa. Dopo quaranta giorni dal nostro matrimonio, subito era arrivata la notizia di nuova vita. La fecondazione doveva essere avvenuta nei giorni in cui eravamo, durante il viaggio di nozze, pellegrini a Lourdes per affidare il matrimonio alla Vergine Maria.

I primi mesi di gravidanza, compravo tutte le riviste specializzate per l’accudimento dei neonati. Mi sentivo impreparata e giovane e volevo affrontare al meglio il compito di mamma. A sera imparavo la lezioncina da ripetere a mio marito sulla necessità di dividersi i compiti per organizzarsi al meglio e per far fronte a qualsiasi difficoltà. Poi un giorno, ho cominciato ad avere minacce di aborto e sono dovuta rimanere per un tempo a letto. Tempo trascorso a pregare, e a leggere la vita di una santa a me già cara: Gianna Beretta Molla. La fede granitica, la fiducia in Dio Padre mi hanno fatto maturare la consapevolezza che quel dono non doveva essere sciupato e deturpato dalle preoccupazioni ma era necessario avvolgere il tempo dell’attesa con la luce della fede.

Ho pensato a Nazareth, al mistero quasi sconosciuto di quegli anni da Gesù con i suo genitori. Ho sostato con discrezione alla porta della casa di Giuseppe, il falegname, per chiedere ospitalità e domandare solo di poter contemplare la loro quotidianità e carpire gli sguardi che si rivolgevano Giuseppe e Maria quando Gesù neonato si abbandonava placido tra le braccia della madre. Quando ha iniziato a balbettare e poi ha imparato a muovere i primi passi sorretto dalla mano forte di Giuseppe o quando tornava a casa con le gote in fiamme dai giochi in cortile con gli altri bambini e Maria avrà asciugato il sudore per paura che il suo bambino potesse ammalarsi. Chiedo di poterli vedere mentre seduti a tavola ringraziano il Padre per quel cibo guadagnato con la fatica quotidiana, o a sera stringersi intorno al focolare per ascoltare Giuseppe raccontare le meraviglie del Signore per il suo popolo, Israele.  Nel suo mirabile disegno, Dio Padre nel momento in cui ci ha chiamati al matrimonio non solo ci ha ricolmati della sua benedizione ma ci ha offerto un modello a cui guardare, ci ha donato una famiglia da invocare, una famiglia da imitare. In quegli anni trascorsi tra le mura della sua casa, cosa ha vissuto Gesù? Ha imparato sicuramente il linguaggio dell’amore, della cura, dell’attenzione, della tenerezza. Ha imparato a osservare la legge, ad essere obbediente, ha imparato a chiamare Padre, il Dio celeste attraverso la fede umile e semplice di Maria e Giuseppe.

La nascita di Luca ha significato un nuovo inizio per la nostra famiglia. Lo attendevamo con gioia e in una piovosa mattina di marzo senza dare tempo a nessuno di arrivare in ospedale, è venuto al mondo. Un parto d’urgenza, la trepidazione che si intrecciava con quelle parole: “Non possiamo più attendere c’è sofferenza fetale” e il grido alla vita mentre le campane di una chiesa vicina suonavano con forza i rintocchi dell’Angelus. Maria Madre della Vita, prega per noi. Il primo gesto quando mi è stato dato tra le braccia è stato segnarlo con il segno della croce. Un gesto che è diventato familiare e che si ripete da diciassette anni. Appena è diventato più grande ho aggiunto anche una piccola benedizione che rigorosamente chiede nei momenti importanti della sua vita. “Di generazione in generazione come segno di benedizione…”.  

Uno dei momenti che cerco di custodire con amore fin da quando Luca era piccolo è quello della sera. La sera è il momento dell’intimità, dell’incontro. Le distanze della giornata si aboliscono. Abbiamo bisogno di calore, di accoglienza. La notte incombe e c’è bisogno di qualcuno che dissipi ogni paura. Non bisogna sprecare la sera. Una mamma e un papà che accompagnano il figlio a letto, siedono accanto a lui, gli parlano, pregano insieme a lui, mettono le basi per la costruzione di un dialogo fatto di fiducia. Il calore di quel momento, accompagnato dalla potenza di un abbraccio è foriero di santità. Don Bosco che di educazione sicuramente si intendeva, ha voluto la Buona notte, cioè un piccolo discorsetto che il direttore delle case salesiane rivolge a tutti per chiudere la giornata proprio perché comprendeva che l’ora della sera è importante. S. Teresa di Gesù Bambino affidata alla cura della zia dopo la morte della mamma, ricorda in un suo scritto che la sera la zia le diceva di fare le preghiere ma la sua mamma invece pregava insieme alle sue figlie. Dio è il nostro miglior alleato. Si intende di educazione, ha educato tutto un popolo! Per questo Giulia, non temere. Il tuo cuore e la tua fede suggeriranno i gesti da compiere. Il linguaggio dell’amore è scritto nel nostro cuore di genitori.




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