Solennità di Tutti i Santi
È Gesù, solo Lui, il vero Beato, il modello cui conformarsi
di fra Vincenzo Ippolito
È Lui il vero beato, nell’insulto e nella persecuzione, il felice nel maltorto ricevuto senza motivo, Lui e Lui solo ad operare la pace tra le angosce di una morte segnata dall’intrigo e dall’interesse di parte, Lui, Lui solo che sorride alla morte accogliendola come sorella, sapendo che in quell’abbraccio, Egli morente ha inflitto la morte al peccato.
Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12a)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di
voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
La solennità di Tutti i Santi ci propone una delle pagine più belle e conosciute del Vangelo, le beatitudini. Matteo le pone al principio del cosiddetto “discorso della montagna” (cf. Mt 5-7), l’insegnamento che Gesù dona ai suoi e alle folle, annunciando la nuova logica del Regno. Sul finire dell’anno della misericordia esse acquistano un significato particolare perché, considerate la magna charta della vita cristiana, sono la sintesi del Vangelo, un vademecum per il discepolo che vuole con tutto se stesso seguire il Cristo ed essere testimone della sua vita nel mondo. mettiamoci anche noi in ascolto del Maestro e accogliamo nel cuore il suo insegnamento di gioia.
Al cuore delle parole di Gesù
La parola che si ripete come un ritornello nel brano evangelico odierno è “beati”, ma cosa significa essere e chiamarsi beati? L’Antico Testamento, così come il Nuovo, è ricco di promesse di beatitudine, continuamente canta la vita del credente che ha riposto in Dio la sua speranza – Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti – che vive la carità verso il prossimo – felice l’uomo pietoso che dà in prestito, amministra i sui beni con giustizia – che si nutre della Scrittura sempre – “beato l’uomo [che] nella legge del Signore trova la sua gioia, giorno e notte la medita” (Sal 1,2) – riconoscendo in essa la sorgente della sua vita.
La gioia per l’uomo biblico sta nella partecipazione alla vita di Dio, alla salvezza che Egli dona a coloro che entrano nel suo Regno. La beatitudine però non è uno stato che si conquista con l’ascesi, né si persegue per una volontaria applicazione che contiene l’istintività propria delle umane passioni. La gioia evangelica non è una dimensione meramente morale, dove il comportamento oggettivamente giusto ed ineccepibile, attuato con scrupolo ed impegno, rende felici. Con le beatitudini siamo su un piano ontologico, ovvero riguardano la struttura della persona, le profondità del suo essere, non l’apparenza delle sue azioni, quanto, invece, le sue intenzioni recondite. Gesù è beato ed i suoi discepoli sono chiamati ad essere beati, ad avere in pienezza la gioia di Cristo e quindi a vivere da beati, nella testimonianza della bellezza della santità di Dio. Altro discorso è comportarsi da beati, dove l’elemento morale, pur se importante, è secondario le azioni sono la conseguenza dell’essere. Ed è sull’essere che Gesù punta la sua battaglia nella sua predicazione. Egli, infatti, con il discorso delle beatitudini, desidera che il discepolo riconquisti il suo essere immagine e somiglianza di Dio, che cresca in spessore di autentica umanità. L’essere dell’uomo richiama per essenza, per natura sua propria, la relazione con Dio creatore e Padre e Gesù vuole aprire la strada dell’abbraccio con Dio perché solo in quella presa – ci può essere mai un abbraccio più vivo e vivificante di quello del Padre misericordioso, capace di accoglie ogni peccatore, rinnovare nella figliolanza sua ogni uomo, dimenticare il male fatto, rivestire dell’abito della letizia chi ritorna a Lui con tutto il cuore? – sperimentiamo la gioia. La beatitudine è la partecipazione alla gioia del Cuore di Cristo e la gioia del Redentore è pienezza di essere. Le nostre gioie, fatue e passeggere, dopo un po’ intristiscono perché sono prive di vita vera, sono fuochi di paglia, riscaldano per un momento il cuore, ma non penetrano in profondità e lasciano nel buio l’animo. La gioia della fede in Gesù, invece, apre strada non battute prima e mostra che solo dove il Signore regna con la potenza del suo amore l’uomo può realizzarsi ed essere felice. La beatitudine per il discepolo è sperimentare che Dio Padre è la sua ricchezza, che fuori dalla relazione con Lui non è pienamente se stesso, che senza lasciarsi inondare dallo Spirito, immergersi nel lavacro rigenerante del battesimo del suo Signore, non sarà mai felice.
Ma perché mai la beatitudine che Gesù vive e propone sembra la negazione di tutto ciò che è umano? Perché il nostro io dinanzi alla povertà si ribella, freme al pianto, la mitezza la considera vigliaccheria, mentre la misericordia debolezza? Perché il perseguitato è inviso e l’insulto lo sgomenta? “L’uomo naturale – scrive san Paolo – non comprende le cose dello Spirito di Dio; sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. […] Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,14-16). Sì, le beatitudini sono un dono. È un dono concesso dall’Altro non fermarsi alla scorza e vedere che l’amore, quello vero che discende da Dio, è capace di vivificare l’umano e renderlo pienamente se stesso. È un dono accogliere il pianto e dargli un senso, vivere da miti sapendo che la verità non ha bisogno di difensori, spargere misericordia perché è questa che tocca le corde del cuore altrui, senza ferirlo nel suo amor proprio, ma scuotendolo nella sua superbia. È un dono, lo stesso che ha vissuto Gesù, non dividere il mondo tra buoni e cattivi, ma operare per la pace e la riconciliazione tra gli uomini. È un regalo che discende dal Padre della luce accogliere l’insulto e la persecuzione, sapendo che non si è soli, il bastone del buon Pastore, il suo vincastro ci danno sicurezza. La beatitudine è scoprire che in ogni situazione della vita, anche la più disparata, non si è soli, Dio è il nostro Dio, il nostro Signore e che il suo amore dall’interno trasforma noi, prima ancora delle situazioni, in discepoli capaci di non mettere in dubbio mai la sua presenza e la sua silenziosa azione in noi e, attraverso di noi, nella storia. Questa è la sorgente della gioia del cristiano, sapere che Cristo infonde in noi la potenza dello Spirito che ci rende uomini veri, nuovi, capace di assumere, come Lui, la responsabilità di essere creature di Dio e di condividere con i fratelli la cura ed il rispetto dell’intero creato.
Seguire Gesù Cristo, il nostro unico Maestro
Più entriamo nel brano evangelico odierno e più sembra di inabissarci nel mare profondo del mistero di Dio e dell’uomo, nel segreto della vita di Gesù, Dio e uomo insieme. È vero il Maestro parla in terza persona ed elenca coloro che, dimenticati nel mondo degli uomini, sono i prediletti di Dio. Ma a bene vedere il modo migliore per comprendere ciò che Gesù dice è tenere lo sguardo fisso su di Lui, perché le beatitudini riportate da Matteo sono la traduzione verbale della vita stessa del Maestro. Non si tratta di strade ideali di felicità, insegnamenti frutto di un ragionamento umano che un maestro propone come panacea per raggiungere una gioia che, per se umana, è sempre fugace. Cristo sta parlando si sé, della vita che Egli ha scelto da sempre, da quando ha pronunciato il suo “Ecco, io vengo o Signore, a fare la tua volontà”, confermato poi nel deserto delle tentazioni fin sulla croce. Le beatitudini sono gli otto rivoli che discendono dal cuore di Cristo, canali di grazia che effondono la Vita divina nel cuore dei credenti. Attraverso queste vie – Cristo è, infatti, la via nuova e definitiva– il discepolo è innestato nella Pasqua del suo Signore e lo Spirito, scorrendo nelle sue vene, lo attira nell’abbraccio beato del Padre.
È bello considerare le otto beatitudini come aspetti diversi, pur se tra loro complementari, della vita del Maestro, otto comportamenti esemplari di cui la vita di Gesù, e di rimando le pagine evangeliche, ci danno ampia testimonianza. Quando Cristo parla di povertà di spirito, chi altri pone come modello di abnegazione e di umiliazione se non se stesso, Egli, Figlio di Dio, che per la nostra salvezza, non solo prese la natura di schiavo, ma accolse la più ignominiosa tra le morti, quella di croce? E chi è il piangente se non Lui, che alla vista di Gerusalemme, chiusa ai tempi di Dio, gemette per la durezza del cuore dell’uomo o che, a Betania, proruppe in un dirotto pianto per la morte dell’amico Lazzaro, dimostrando, in tal modo tutto il suo affetto (cf. Gv 11,35)? Chi è mite se non Lui che si offre ai suoi dicendo di imparare da Lui “mite ed umile di cuore” (Mt 11,28-30), Egli, dal giogo soave, capace di donare pace a chi va a Lui, stanco e sfinito? Cerchi un esempio della fame e della sete di giustizia che il Cristo addita come meritevole di essere saziata? Guarda a Gesù, è Lui che nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti, si cibò delle dolcezze del Padre, della sua giustizia che sta nel compiere la volontà sua ad ogni costo. Chi più di Lui è stato misericordioso ed ha vissuto l’amore per i suoi fino al dono della vita? Beati i puri di cuore, afferma il Maestro, ma pur se scorressi ogni pagina della Scrittura, non troveri uomo, fuori del Cristo, seguito dalla sua santa Madre, capace di guardare il mondo e gli uomini senza malizia, riconoscendoli figli di Dio e fratelli tra loro. Se guardo la croce, castigo ingiustamente inflitto al mio Signore, riconosco in Lui il perseguitato per la causa del Vangelo. Avrebbe potuto rifiutarsi di dirsi Messia e Figlio di Dio, ma ciò sarebbe stata una bugia, un’ingiustizia maggiore della stessa croce ed ecco la sua persecuzione accolta con amore, accettata come offerta del cuore. È Lui il vero beato, nell’insulto e nella persecuzione, il felice nel maltorto ricevuto senza motivo, Lui e Lui solo ad operare la pace tra le angosce di una morte segnata dall’intrigo e dall’interesse di parte, Lui, Lui solo che sorride alla morte accogliendola come sorella, sapendo che in quell’abbraccio, Egli morente ha inflitto la morte al peccato.
Gesù è il modello a cui conformarsi, Lui l’esempio da seguire, lo specchio in cui riflettersi, il Maestro a cui obbedire. Non c’è gioia vera senza di Lui, non esiste beatitudine lontano dal suo Regno, tutto è apparenza se la sua croce non toglie il velo ad ogni realtà, mostrandone tutta la sua precarietà e caducità. Cristo è tutto per il cristiano e la sua croce è la cattedra dove parla la sua obbedienza, risplende la sua gloria, ammaestra la sua umiltà, ammonisce il suo silenzio, stupisce la sua offerta, rallegra il suo fidarsi incondizionatamente del Padre. È la croce, anzi il Dio crocifisso la chiave per aprire la porta delle beatitudini ed entrare nel Regno della vita. Afferrala senza esitare e apri la porta della gioia per te e la tua famiglia. Tieni sempre la croce, il Cristo crocifisso come tuo modello e non temerai nulla, perché forte come la morte è l’amore. Stringiti alla croce, come il marinaio al suo timone e la tempesta non ti farà paura. Abbraccia la croce come il contadino la sua zappa per liberare il terreno da ciò che impedisce al seme di far frutto. Sì, afferra la croce e lascia che faccia nel tuo cuore lunghi solchi perché l’amore fiorisca dal granello di senape che il divino Agricoltore vi sparge. Pianta la mitezza di Cristo nel tuo animo e troverai la pace in ogni tribolazione. Strappa dal Crocifisso il grappolo d’uva del suo Cuore e sarai inebriato dal vino nuovo della misericordia. Guarda chi sta accanto con la purezza d’animo del Redentore ed il male, pur se notato, non ti farà paura. Opera la pace morendo a te stesso, rinnegando le tue idee, i tuoi disegni, perfino considerando la tua vita spazzatura al confronto di Cristo e dal tuo cuore trafitto, come quello di Gesù, nascerà l’unità. Accogli la persecuzione ed il non essere accolto, così attenderai con pazienza che ti si apra la porta del Regno eterno. È nella croce, infatti, nel crocifisso Signore che le beatitudini sono eloquentemente spiegate dal silenzio, disegnate con il calamo del duro legno intriso nel Sangue, annunciate da Cristo con la sua vita che non ha bisogno di didascalie.
La santità come realizzazione della propria vita
Tutti siamo chiamati a santità, ovvero a realizzare il progetto che Dio ha pensato per ciascuno di Dio. Ecco perché esiste una sola tristezza nella vita, quella di non essere santi, perché solo realizzando la volontà di Dio saremo eternamente felice. Quanti esempi di famiglia santa la Chiesa ci offre! È un esercizio continuo quello di guardare a loro, emulandone l’eroismo nascosto, vivendo la santa invidia di ripercorrerne le orme, facendosi infiammare dal medesimo divino ardore. Dinanzi a Gesù, il povero di spirito, il piangente ed il mite, il misericordioso siamo chiamati a seguirlo. “Voglio seguirlo” scriveva san Giovanni Paolo II nel suo testamento spirituale. È questo che siamo chiamati a fare anche noi, semplicemente seguirlo, senza ma, senza però, senza perché!
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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