Pastorale familiare

I verbi di Papa Francesco: comprendere, perdonare, accompagnare e sperare

di don Silvio Longobardi

Oggi proponiamo ai nostri lettori una riflessione contenuta in "Come far nascere un gruppo famiglia in parrocchia" del nostro direttore editoriale, don Silvio Longobardi, che in questi giorni è stato pubblicato dall’Editrice Punto Famiglia. Una prospettiva interessante che pone in luce i pilastri della nuova proposta pastorale auspicata da papa Francesco.

La pastorale che propone Papa Francesco ha come suo centro vitale l’integrazione dei divorziati. egli infatti chiede di attuare “un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare” (n. 312). Troviamo qui alcuni verbi che possiamo considerare come i pilastri di una nuova pedagogia pastorale.

  • Il primo verbo invita a comprendere: il Papa chiede ai credenti di allargare il cuore per mostrare il volto di una Chiesa che non punta il dito con severità ma guarda tutti con benevolenza, anche quelli che hanno sbagliato, una Chiesa sempre pronta ad accogliere.
  • Il secondo verbo è perdonare: “Nessuno può essere condannato per sempre” (n. 297), afferma Papa Bergoglio e spiega: “La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!” (Omelia durante l’Eucaristia celebrata con i nuovi cardinali, 15 febbraio 2015).
  • Il terzo verbo è accompagnare: l’amore non allontana nessuno, anzi invita ad accostarsi con fraterna amicizia, come fa Gesù sulla strada di Emmaus (Lc 24, 13-16).
  • Il quarto verbo è sperare: l’amore non resta confinato nel passato e guarda al futuro, chi ama sa che nulla è perduto e crede fermamente che sia possibile e doveroso ricominciare.
  • L’ultimo verbo è integrare: è posto alla fine perché è il frutto maturo di un cammino. L’amore fraterno non resta una pia intenzione ma si traduce in una serie di azioni che, in modo concreto, cercano di evitare ogni forma di esclusione e di riportare tutti alla comunione.

Questi verbi disegnano un cammino progressivo, sono l’espressione di una comunità ecclesiale che non si rassegna e non si stanca di chiamare tutti alla conversione. “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale” (Amoris laetitia, n. 312), scrive Papa Francesco. È questa dunque la regola suprema che deve ispirare l’azione pastorale, una regola che nasce dalla carità. Integrare tutti, evidentemente, non significa sminuire il peccato ma vuol dire insistere sulla misericordia e sulla riconciliazione. La Chiesa non rinchiude i peccatori nella gabbia del passato ma li invita a ricominciare perché la grazia di Dio è capace di far passare dalla morte alla vita.

Il principio dell’integrazione è fondato sulla regola della comunione. La Chiesa non sopporta alcuna separazione e si adopera per riportare tutti nella casa. mi sembra molto eloquente l’immagine del pastore che va in cerca della pecora perduta (Lc 15, 4-7). Il Vangelo non dice perché si è perduta né si sofferma a considerare quale sia la sua parte di colpa. Tutto questo non importa. Il pastore che cerca è l’immagine di un Dio che ama e non vuol perdere nessuno dei suoi figli. Ancora più bella l’immagine del pastore che porta sulle spalle la pecora ritrovata. Sono spalle così forti da portare pesi molto grandi. La Chiesa, icona visibile di questa misericordia senza limiti, riceve tanta forza da Dio da poter portare il peso di tutti.

In questa prospettiva la questione dei divorziati non è un capitolo della morale coniugale ma un tassello di quella comunione ecclesiale che siamo chiamati a costruire. È questa la sfida. E riguarda tutti. Non si tratta solo di rispondere alla domanda se possiamo dare o no la comunione eucaristica ai divorziati. Dobbiamo chiederci se veramente crediamo nella comunione e quali passi siamo disposti a fare per costruire o consolidare l’unità ecclesiale. Se la Chiesa è chiamata ad essere nel mondo “come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1), se è chiamata ad essere ponte tra in mezzo ai popoli, come possiamo non sentire il desiderio di far sentire accolti coloro che in forza del Battesimo sono nostri fratelli?

Non voglio con questo sminuire il valore della questione né trascurare le numerose implicazioni teologiche e pastorali ch’essa contiene. Chiedo semplicemente di rileggere la complessa problematica nella luce della comunione ecclesiale. In questa prospettiva anche le persone che chiedono di accedere ai sacramenti, devono domandarsi se davvero accettano la sfida della comunione, se e quali passi sono disposti a fare per entrare più pienamente nella vita ecclesiale.

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1 risposta su “I verbi di Papa Francesco: comprendere, perdonare, accompagnare e sperare”

Vorrei tanto imparare a coniugare questi verbi ma sono “irregolari” e non sono in armonia con il vivere quotidiano.

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