Edicazione

Mio figlio sa distinguere il bene dal male? Come posso aiutarlo?

genitore

di Giovanna Pauciulo

Che cosa significa per un genitore far crescere la coscienza morale ed etica del figlio? Che significa orientarla, accompagnarla fino alla maturazione cioè fino a quando avrà acquisito una sufficiente capacità in modo da poter agire autonomamente e rettamente?

Circa l’autonomia è tutto chiaro, il figlio non desidera che gli si imponga nessuna scelta o decisione, egli fin da subito, anche quando il genitore non ne riconosce ancora la maturità, scalpita per attuare un’autonomia decisionale, perché la rivendicazione dell’autonomia è funzionale alla crescita, alla necessità di autodeterminarsi. Ma accanto all’autonomia decisionale è necessario aggiungere la rettitudine decisionale. È qui che si inserisce l’impegno educativo genitoriale. La rettitudine è un elemento fondamentale nello sviluppo della capacità decisionale. È un atteggiamento del cuore e della mente che non è istintivo, non cresce fisiologicamente. Essa è garanzia dell’agire secondo coscienza. Direi perciò che non basta preoccuparsi che i figli agiscano secondo coscienza, per  strapparli al plagio o al conformismo e all’omologazione quanto ci deve preoccupare che la loro coscienza sia sufficientemente formata e direi rettamente.

Alcuni pomeriggi fa la mia quintogenita Maria Lucia di quattro anni mi ha molto commossa. Al pisolino pomeridiano ho scelto di non raccontarle le solite favole, che lei mi richiede con insistenza e ripetizione. Ho deciso di raccontarle le parabole evangeliche. Mi sono limitata ad attualizzarle secondo il suo vocabolario e stimolando la sua immaginazione a partire da episodi di vita familiare e così le ho raccontato moltissime parabole per le quali ogni volta le chiedevo di dare una interpretazione. E lei volentieri mi ha detto la sua. Questa esperienza non ha occupato solo quel pomeriggio perché poi in quelli seguenti ed ora anche qualche sera mi chiede: “Mamma mi racconti di Gesù?”. Non immaginate la mia commozione quando ho dovuto constatare che tutte le volte che le chiedevo di interpretare una parabola, lei mi dava la risposta che corrispondeva all’insegnamento di Gesù, all’agire di Gesù e perciò mi indicava la risposta eticamente retta. Per esempio nel caso della parabola di Matteo in cui Gesù racconta: Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” (Mt 21, 28-31). I personaggi del mio racconto evangelico per mia figlia sono stati il fratello pigrone che spesso risponde mentre sta chattando quindi neppure comprende a che cosa dice sì e perciò non fa quello che gli viene chiesto e la sorella ribelle che poi però fa quello che le è chiesto anche se poco prima aveva dichiarato con fermezza che non lo avrebbe mai fatto. La piccolina non ha avuto esitazione a riconoscere che la sorella fa bene rispetto al fratello. E così anche in altre parabole mi ha indicato senza esitazione il bene e ai miei tentativi di depistaggio, ha sempre mantenuto la sua linea di bene. Ma come fa una bambina innocente ad orientarsi verso il bene? Da dove le deriva questa coscienza?

Mi sono ricordata allora dell’insegnamento della Gaudium et Spes che dice: Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro” (GS 16). Potremmo allora dire che ogni persona percepisce immediatamente, cioè prima di ogni influenza culturale, che il bene lo arricchisce e il male lo impoverisce. E cerca naturalmente il bene, per sé e per gli altri. È qui che si inserisce la nostra responsabilità educativa per offrire motivazioni, categorie interpretative che permettono di riconoscere il bene e rifiutare il male e così decidersi per azioni rette volte a realizzare il bene.

Con i nostri figli vorremmo tante volte sostituirci ad essi, fare al posto loro le scelte perché li reputiamo fragili, incapaci, provocati da una società in cui il male è dilagante e coinvolgente, soffoca il bene. Ma dobbiamo imparare a fare nostro l’invito del Papa che nell’Esortazione post sinodale Amoris Laetitia ci chiede di formare le coscienze e di non sostituirle. Il nostro compito è creare le condizioni perché la coscienza  dei nostri figli sia educata, formata.

Come aiutare i figli a distinguere il bene e il male? E prima ancora, come insegnare che esiste il bene e il male? In realtà, i figli sanno che esiste il bene e il male, e tante volte sanno di sbagliare, per questo si nascondono. La ricerca del bene è parte di noi stessi ma spesso ci fermiamo al bene soggettivo, misuriamo le scelte con quello che ci piace, per questo cadiamo nell’egoismo. Gli adolescenti e i giovani che vengono accusati di incoscienza sono in realtà alle prese con la definizione della loro identità morale. Purtroppo ricevono continuamente messaggi e respirano una cultura che determina un vuoto morale, non solo un’assenza di reali contenuti ma una proposta di vita in cui non c’è spazio per i valori morali, come se ogni cosa avesse lo stesso valore o, peggio ancora, come se fosse il soggetto a dare valore alle scelte. In questo contesto assai problematico l’assenza genitoriale e l’invadenza dei condizionamenti esterni, a cui i nostri ragazzi sono molto sensibili, determina un vuoto morale nel quale precipitano. Cosicchè agire in coscienza oggi può significare perseguire il proprio bene soggettivo. In altre parole quello cioè che una persona riconosce come bene secondo un criterio tutto autocentrato su di sé quello è il bene che deve perseguire. È come dire cioè che se una cosa è bene per me questo basta per dire che è un bene e dunque è la scelta da fare…

Cari genitori ma non vi appaiono chiaramente i limiti di questo modo di intendere l’agire in coscienza? Vi sembra una coscienza ben formata questa di un giovane che decide in base a ciò che pensa? O gli piace? Questa visione soggettiva del bene non corrisponde al vero bene. Una coscienza che fa agire così non realizza la persona, né costruisce la società. Questo modo di intendere la coscienza è falso e lesivo per la persona. La coscienza scrive San Giovanni Poalo II “è lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo, è il luogo in cui ascolta la voce di Dio e scopre una legge che non è stato lui a darsi” (VS 58).

Cari genitori non siamo noi a stabilire la verità, anche se a volte con i nostri figli assumiamo l’atteggiamento dei detentori della verità e della conoscenza del bene. La possibilità di scegliere è alla base dell’agire secondo coscienza e quindi occorre offrire punti di riferimento, un criterio interpretativo dell’esigenze del cuore: in questo consiste il nostro compito genitoriale.

La verità vi farà liberi” (Gv8,32) dice il vangelo. Mi pare che sia questo uno dei criteri fondamentali.  Agire secondo coscienza significa cercare ciò che corrisponde alla verità delle cose e delle persone. In apparenza sembra difficile, in realtà se ci mettiamo in ascolto di noi stessi e degli altri, possiamo scoprire alcuni frammenti di verità. Non basta, abbiamo bisogno perciò di quella Parola che Dio ha rivelato e che dona attraverso la Scrittura e la Chiesa.

Un piccolo esempio: “non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te”, leggiamo nel Vangelo. Una regola semplicissima ma così poco praticata. Prima di fare o non fare, prima di dire o non dire, basterebbe chiedersi: se fosse fatto a me, se fosse detto a me … come mi sentirei? E rispondere con onestà e senza cercare scuse. Ai nostri figli dobbiamo dare piccole ma sostanziose regole che li rendono capaci di scegliere e di riconoscere che in alcuni casi hanno sbagliato.  

Occorre educare i figli a riconoscere che la coscienza scopre la verità non la crea, la accoglie come un dono non la cambia a seconda dei gusti e delle necessità. Ecco allora che educare la coscienza significa evitare che i figli siano ripiegati su se stessi in ascolto dei propri bisogni, la coscienza retta conduce oltre la persona che non può mai essere la misura di se stesso, del suo essere e del suo agire.

Educare la coscienza di un figlio non significa concentrarsi sul suo comportamento per correggere o premiarlo, non è il suo agire ma la ragione per cui agisce. È come dire che non ci importa il singolo atto che compie un figlio quanto cercare di dargli le ragioni per compiere un atto. Dobbiamo aiutare i figli a riconoscere che l’agire non è automatico e preordinato ma segue sempre un criterio. Perciò educare la coscienza significa aiutare il figlio a riconoscere  il criterio di agire; la molla che muove il suo agire, la ragione per cui decide non può essere soggettivo ma deve FONDARSI su un quadro di valori. Rispetto al quadro di valori, la coscienza allora è una bussola.

Così agire in coscienza significa muoversi e liberamente decidere di agire all’interno di questo quadro di valori, ammettendo certo, che c’è una progressione e una crescita nell’acquisizione e realizzazione di un valore, e questo è il cammino da fare. Ciò che è importante è che il figlio pur se in maniera embrionale si muova e decida indipendentemente dall’età, all’interno di questo quadro che è garanzia di bene. Il quadro di valori da offrire ai figli è il progetto educativo su cui i genitori sono chiamati a lavorare.




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