Famiglia e omosessualità

Mio figlio è omosessuale… così mi ha aiutato un sacerdote

mani

di Ida Giangrande

Un sacerdote? Cosa avrebbe mai potuto dirmi un sacerdote per aiutarmi? Mio figlio mi aveva appena detto di essere omosessuale e aveva aggiunto che voleva cambiare la natura del suo corpo. Cosa poteva fare la Chiesa per darmi una risposta?

Non è passato molto tempo dal giorno in cui mio figlio mi confessò la verità.  Entrò nel mio ufficio a passo spedito, si sedette sulla poltroncina di fronte alla mia scrivania e fissandomi negli occhi disse: “Mamma io non sono quello che voglio essere”. Sulle prime non capii. Lo scrutai con la fronte aggrottata chiedendomi cosa intendesse e lui non tardò a darmi spiegazioni. “Il mio corpo è maschio. Ma io non lo voglio un corpo da maschio. Io non voglio essere un maschio. Io sono una donna”. Per un attimo mi sembrò che il mondo intorno a me si fermasse di colpo. Tutto quello che riuscii a fare fu farfugliare qualcosa di incomprensibile. Ed ora mi ritrovavo di fronte alla specchiera della mia camera da letto a guardare il mio viso riflesso come l’immagine sbiadita di una fotografia antica, mentre la mente inseguiva le parole di mio figlio all’infinito.

Era sempre stato un bambino esuberante con una sensibilità particolare che lo portava a socializzare più con le ragazze che con i ragazzi. Una delicatezza nel modo di agire o di essere che poco aveva a che vedere con la mascolinità spesso un po’ rude dei maschietti della sua età. Poi c’era stata la storia del mio divorzio da suo padre. Che senso aveva far vivere un bambino tra due genitori che hanno fatto della loro casa un campo di battaglia? In fondo suo padre avrebbe continuato ad essere suo padre anche quando avrebbe smesso di giocare a fare mio marito. In quel momento però non c’era più nulla di cui fossi veramente sicura e per la prima volta da quando lo avevo lasciato, sentivo il bisogno di mio marito, del suo sostegno, ma ancora una volta lui non si rivelò all’altezza della situazione. Disse che era solo il suo modo per attirare le nostre attenzioni, ma io sentivo che si sbagliava. Ero sempre stata lontana dal mondo degli omosessuali. Per carità nessuna discriminazione, semplicemente il problema non era mio, ed io, professionista affermata, di problemi ne avevo già abbastanza. Poi la confessione di mio figlio mi era piombata addosso all’improvviso.

Iniziai a fare ricerche e a ogni passo sentivo di perdermi risucchiata da una voragine profonda, le immagini dei gay pride, quei transessuali che mi sembravano maschere dionisiache in una fiera della vanità, mi sfilavano sotto gli occhi ed io ero terrorizzata, non riuscivo a distinguere ciò che provavo, panico, paura, delusione, profonda amarezza. Mio figlio non era semplicemente un omosessuale, lui era un transessuale. Rifiutava la natura del suo corpo, voleva cambiarlo, diventare una donna. Dopo aver assorbito questo stato di cose come la diagnosi fatale di una malattia, la mia prima preoccupazione fu che cosa ne sarebbe stato del mio buon nome. Cosa ne avrebbero pensato parenti, amici e colleghi di lavoro quando la notizia sarebbe scoppiata come una specie di scandalo? Non riuscivo nemmeno a guardarlo mio figlio o qualsiasi cosa fosse. Cercavo di restare fuori casa tutto il giorno, quando rientravo a notte inoltrata lo facevo come una ladra per non svegliarlo e, se veniva a sedersi accanto a me mentre mi sforzavo di fare colazione, gli rivolgevo qualche parolina di sussiego, per senso del dovere, quando invece tutto quello che volevo era fuggire da lì, fuggire da lui. Poi un giorno trovai finalmente il coraggio di fare il mio outing. Confessai tutto a mia madre, ben sapendo che non avrebbe accolto bene la cosa. Era già una persona anziana, con le sue idee, le sue devozioni, i suoi rosari e la statua della Vergine di Fatima nel più bell’angolo della sua casa. “Prega” mi disse ed io sorrisi. Avevo smesso di pregare da tempo e non ero più entrata in Chiesa dal giorno del mio matrimonio. Rivolgermi alla Madonna in quel momento mi sembrò davvero una cosa ridicola. Me ne andai a casa, convinta di aver fatto una cosa sbagliata a parlare con mia madre e invece fu proprio lei la mia chiave di volta. Il giorno dopo venne a trovarmi con un sacerdote. Un pretino, giovane con il nasino all’insù. Tacqui, mi sedetti sul divano accanto a lui e mi disposi ad ascoltarlo senza nessuna voglia di farlo. “È difficile lo so! Ma cercare una soluzione ora è una cosa inutile!” mi disse. “Che cosa dovrei fare allora?”. “Chiedere l’aiuto di Dio e ricordarti che lui ti ama e ama tuo figlio come nessuno al mondo!”. Mi vennero le lacrime agli occhi e qualcosa dentro di me, qualcosa cominciò a sciogliersi. Capii che mi ero persa e che avevo bisogno di quel sacerdote come un cieco che deve attraversare la strada. Gli diedi le mani e mi lasciai guidare. Era necessario compiere per prima una riconciliazione personale, un cammino doloroso di perdono per le responsabilità che sentivo per la fine del mio matrimonio, per la poca attenzione che negli anni avevo avuto per quel figlio unico cresciuto perché non gli mancasse nulla di necessario. Tutte cose materiali, senza mai sedermi per comprendere le sue paure e le sue domande. Il perdono verso tutte le ferite che mi portavo dentro però non copriva la necessità di comunicare anche a mio figlio questa verità. Ho ricevuto chiusure, porte in faccia e rispostacce ma non ho perso la speranza. Una mattina, sentivo mio figlio in camera singhiozzare. Mi raccontò un’esperienza dolorosa vissuta la notte con un uomo incontrato in discoteca, mi disse: “Mamma ti prego aiutami!”. Era giunto il momento, gli dissi di un gruppo in una chiesa vicina alla nostra casa dove persone omosessuali si aiutavano reciprocamente, trattando le problematiche relative all’omosessualità da un prospettiva cristiana. Iniziò a frequentare il gruppo e a partecipare agli incontri settimanali. Per un anno e mezzo, andò tutto alla grande! Il gruppo lo aiutò a mettere insieme molti pezzi della sua vita. Imparò una nuova parola che oggi è molto desueta: castità, e cominciò a viverla. Questo gruppo lo indirizzò anche da un bravissimo psicologo cattolico. Vedo che la sua sofferenza pian piano si dilegua. Da madre so che è un viaggio lungo, che la tentazione di ricadere è sempre in agguato ma adesso sappiamo che possiamo contare su persone che sono per noi un grande dono.




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1 risposta su “Mio figlio è omosessuale… così mi ha aiutato un sacerdote”

Buongiorno, anche io vivo , per ora, con il sospetto che mio figlio sia omosessuale.
Non sapevo di gruppi che trattano queste problematiche dal punto di vista cristiano.
E’ possibile avere , in privato, qualche nome? io vivo a Milano.
Grazie per l’aiuto che potrà darmi.
Valentina

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