Brexit

Regno Unito fuori. Europa unita: illusione o sogno?

Europa

di fra Vincenzo Ippolito

Quando impareremo a fare unità, guardandoci negli occhi, a costruire ponti di solidarietà, senza la retorica pedante che non convince più nessuno? Quando impareremo che gli ideali valgono se la vita li segue e che la collaborazione non dipende da titoli e dallo spread?

Mi ha fatto pensare e non poco l’esito del referendum dello scorso 23 giugno, nel Regno Unito. I chiamati alle urne hanno scelto la brexit, l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa – questo il significato del temine che sta per British exit – chiedendo che con un colpo di spugna si tornasse a quel prima reputato migliore del presente. E se non vogliamo scomodare i latini che insegnavano homo laudator temporis acti (l’uomo loda il tempo passato), né tantomeno Eraclito che diceva impossibile immergersi nell’acqua di un stesso fiume una seconda volta, perché “Tutto scorre”, dovremmo chiedere ai nostri ex concittadini europei “Come si può fermare la storia?”.

Era dal movimento risorgimentale che si sognavano non solo paesi liberi e sovrani, ma capaci di collaborare tra loro per costruire un futuro comune di libertà e di speranza. Il voto inglese, invece, non solo ha gelato il fiorire di una nuova storia, ma ha rappresentato la breccia di Porta Pia per l’Europa. Già le borse accusano il colpo e c’è chi come il rettore della maggiore delle Università inglesi, quella di Manchester, piange i fondi che non saranno più erogati dalla UE per le loro ricerche. Di contro l’Europa chiede che ben presto si rettifichi il provvedimento mentre il Regno Unito dovrà fronteggiare chi, come la Scozia, già annuncia battaglia per rientrare nell’unità di quell’Europa da cui i più hanno deciso di uscire.

Sono cresciuto vagheggiando il sogno europeo. I miei erano gli anni in cui a scuola si batteva sul senso civico e i professori presentavano l’ingresso in Europa come decisivo per una crescita condivisa e una fattiva collaborazione tra gli stati membri. Chissà che fine avrà fatto il mio album delle figurine Panini sui paesi europei! E che dire del programma di Rai Uno dove i telespettatori contattati, invece di rispondere “Pronto” al telefono, dovevano dire, per vincere “Europa! Europa!”. Per rendere la cosa più simpatica, nel momento delle telefonate, a casa mia si chiamava qualche parente e al suo semplice “Pronto”, uno di noi annunciava “Mi spiace, avrebbe dovuto rispondere Europa, Europa”. Un cammino in tappe il nostro, fatto di momenti significativi e belli. Come dimenticare quando, alla caduta del muro di Berlino, corsi a prendere il mio quadernone delle elementari per appuntare che la Germania era una ed indivisibile, scrissi io rendendo tedesco l’articolo quinto della nostra Costituzione. Erano tempi in cui si desiderava l’unità, la si cercava e si lavorava e pregava per essa. Nell’aria c’era un senso di solidarietà tangibile, di comunione ricercato e voluto con determinazione, in classe si scrivevano lettere in inglese a corrispondenti stranieri per legare rapporti di amicizia. Tutto era proteso alla realizzazione di questo sogno comune, senza frontiere né divisioni e si giocava di idealità belle, mentre le menti erano accese di grandi desideri di fratellanza.

Erano quelli gli anni dei sogni. Dico bene sogni oppure dovrei dire illusioni? Non è stata un errore voler fare l’Europa, ma forse lo sbaglio è stato nella modalità scelta. Un matrimonio non si regge sull’economia e l’amicizia che si fonda sull’interesse, prima o poi, finisce, così come non si può essere buoni vicini e poi, al primo problema, ciascuno si trincea nella propria casa, dicendo “Scusami, non posso far nulla!”. La collaborazione era voluta sì, ma, a ben pensarci, a dettare leggi erano titoli e banche, interessi e provvedimenti sempre di carattere economico. Ero al quinto ginnasio quando, andato in Sicilia per la gita scolastica, durante uno dei nostri spostamenti in pullman, vidi una grande distesa di arance rosse abbandonate. Chiesi alla guida il perché di quello scempio e mi fu detto: “Per gli accordi Europei queste arance non possono essere messe sul mercato e i produttori le lasciano marcire”. Quel giorno non mi valse nulla la visita della Valle dei Templi a Siracusa.

Abbiamo sbagliato candeggio? A conti fatti, sembra proprio di sì. Non è il sogno europeo che è fallito, ma la nostra capacità di realizzarlo sulla base dell’interesse di parte, delle alleanze nascoste, degli accordi stilati sulla sabbia di fragili e passeggere promesse. Non è l’esito delle urne inglesi a mostrarci la fragilità della nostra unità sovranazionale, ma la strage dei profughi che bussano alle porte senza che l’Europa, quella che si dice civile e solidale, se ne prende pensiero, è questa la prova provata di un sogno svanito o peggio ancora di un progetto che non è mai decollato. Pensare ad un terzo polo economico, alternativo all’America ad occidente e ai poteri economici emergenti asiatici – emergenti o già emersi? – anche questo sembra un sogno svanito. La volontà dell’Inghilterra di uscire dalla UE fa più rumore del grido di chi in Europa vuol entrare per trovare speranze nuove per i propri figli, per chi scappa dalla guerra, per chi è perseguitato ed oppresso e non ha più nulla se non un sogno – almeno quelli nessuno può impedirli, ma infrangerli sì – un progetto vagheggiato per un domani diverso. Tra chi esce e chi vuol entrare siamo noi, ignavi e incapaci di qualsiasi decisone perché chiusi in una indifferenza che raggela l’anima e rende privo di compassione il cuore. “È tutto un complesso di cose” diceva il mio professore di latino al liceo, facendosi schermo della difficile analisi per non prendere posizioni in merito a nulla o, forse, per non esacerbare il suo animo nel vedere che tra dire ed il fare imperversa la tempesta di un invincibile mare.

Quando impareremo a fare unità, guardandoci negli occhi, a costruire ponti di solidarietà, senza la retorica pedante che non convince più nessuno? Quando impareremo che gli ideali valgono se la vita li segue e che la collaborazione non dipende da titoli e dallo spread? Quando l’homo sapiens soppianterà l’homo economicus e riscopriremo la bellezza della pacifica convivenza che, per istigazione del Nemico, è svanita per Adamo ed Eva e anche per noi? Quando nelle nostre famiglie il principio che sta facendo scricchiolare l’unità ad ogni livello – relazionale, familiare, politico, nazionale e sovranazionale – ovvero l’egoismo esasperato, l’interesse ad ogni costo, il profitto ad oltranza sarà combattuto, imparando dalla storia che il bene è frutto dell’altruismo che l’amore genera e della compassione che nel cuore nasce alla vista dell’altrui sciagura.

Il nostro è tempo di rinnovamento e forse non ce ne siamo accorti abbastanza, un rinnovamento che stenta a decollare perché mancano i padri di questo “mondo nuovo”, mancano uomini e donne che facciano rinascere la speranza, il coraggio, l’impegno per l’integrazione e l’unità, per la gioia della fraternità e la bellezza della pace tra i popoli, che guardino l’uomo, ogni uomo come un fratello in umanità. Sia lodato il Cielo che ci ha donato Francesco, un uomo d’altro mondo – diceva fra Tommaso da Celano del Santo di Assisi, ma queste parole sono calzanti anche per papa Bergoglio – un uomo nuovo dentro, libero nel cuore, ricco di quella umanità che è richiesta sempre ai discepoli di Cristo per vivere di compassione e di misericordia, nel costruire quel mondo che è possibile a chi opera nel nome di Cristo e con la forza del suo Spirito.




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