Educazione del cuore

“Mamma, papà, non ho bisogno di una tata, ma di voi!”

genitori educazione

di Giovanna Abbagnara

Orfani di maestri, di chi indica loro il bene e la luce delle cose vere, belle, che durano per sempre: i nostri figli non hanno bisogno di ottime balie ma di testimoni di vita.

Ero seduta alla scrivania, nel luogo della casa a me riservato per scrivere, leggere, pregare. Mio nipote Giuseppe di cinque anni era intentoo a giocare sulla poltrona con gli scacchi di legno acquistati su una bancarella a Cracovia, durante un pellegrinaggio in Polonia di qualche anno fa. La sua voce delicata che descriveva colloqui immaginari tra la torre e la regina, faceva da sfondo ai miei pensieri mentre correggevo un articolo per il nostro magazine, quando all’improvviso si avvicina e si ferma a guardarmi. Mi giro subito verso di lui domandandogli se avesse fame o sete, quando lui mi chiede: “Zia mi racconti una storia?”. Non è la prima volta. Credo di aver esaurito in questi anni tutte le mie conoscenze letterarie in termini di fiabe e racconti ma so che lui ama sentirsi raccontare di Gesù. E alla fine di ogni episodio della vita del Maestro, anche il più gioioso, spalanca i suoi occhioni su di me e chiede: “Perché hanno ucciso Gesù?”. Non riesce a farsene una ragione, ad ogni crocifisso in casa, si ferma e pone sempre la stessa domanda. Ed io mi ritrovo sempre spiazzata di fronte a quell’interrogativo. Una richiesta che esige una risposta, una risposta che deve contenere una verità, la verità capace di dare senso alla sua tristezza.

I figli vengono al mondo con una insopprimibile voglia di verità, di bene, di bellezza, cioè con il desiderio di essere felici. Ma quali padri, quali maestri, quali testimoni hanno di fronte? Hanno bisogno che qualcuno assicuri loro che vale la pena venire al mondo, che vale la pena amare, che vale la pena sacrificarsi perché l’altro cresca e rincorra il Bene, il vero Bene.

“Il ricordo più vivo che ho di [mio padre] era che quando entrava s’inginocchiava in mezzo alla stanza e cominciava: «Padre nostro che sei cieli … ». Lo guardavo e, rispetto a tutti gli altri, mio papà era il re dell’universo; io lo guardavo e capivo che in lui la vita era una saggezza. Aveva uno sguardo sulle cose che tutti i miei professori di università che hanno cercato d’insegnarmi che cosa fosse l’educazione non se lo sognavano neanche. Lui guardava le cose e le conosceva: lo capivi da come si muoveva, da come stava, da come cantava, da come giocava a carte, da come serviva a tavola noi figli e tutti gli amici che sono venuti dopo. Era uno che potevi scommetterci che sapeva le cose, le conosceva, che avrebbe potuto spiegarti che cos’è il bene e che cos’è il male, che cos’è la gioia, che cos’è il dolore, perché si muore, perché si fa fatica, perché bisogna vivere e che cosa ci aspetta alla fine” è Franco Nembrini, scrittore e professore di italiano, figlio di don Giussani, che racconta di suo padre e di come è stato per lui un maestro, un testimone.  

E ancora Nina, sorella di papa Giovanni Paolo I: “La mamma è sempre stata un faro per lui. A noi altri il catechismo l’aveva insegnato lei, magari quando ci lavava o ci vestiva al mattino o ci metteva a letto la sera. Ci aveva insegnato così anche tutte le preghiere. Sapeva tutto il catechismo di Pio X a memoria. Era una donna di grande fede. Quando l’Albino entrò in seminario, gli disse queste parole: «Guarda, io sono contenta che tu vai, ma non devi farti riguardo di me, ricordati che sei libero. Se non ti trovi, non star lì a pensare, torna subito a casa. Meglio un bravo ragazzo che un cattivo prete»”.

Chi si è nutrito nella sua famiglia del pane della fede, ha portato nella valigia del tempo, perle preziose per la sua vita. Immagini, parole, fatti capaci di rispondere alle domande di senso che ciascuno si porta nel cuore.




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