Gender
“Vi prego chiamatemi mamma”
di Giovanna Abbagnara
La cultura gender pretendendo di assegnare il sesso in base a una scelta personale, e non alla natura, introduce un conflitto nella persona umana, che in realtà non esiste, in quanto il maschile ha necessità del femminile per essere compreso e attuato, e viceversa per il femminile.
Partecipando ad un Convegno a Casoria sabato scorso, ho fatto un esperimento un po’ bizzarro. Mi sono alzata e mi sono presentata a tutti in questo modo: “Sono Giovanna e sono un concetto antropologico!”. La gente in sala mi ha guardata stupita. Una delle rivoluzione più grandi che la cultura gender sta cercando di introdurre è proprio un nuovo linguaggio, un nuovo modo di soppiantare parole come famiglia, papà, mamma. È quello che Pier Giorgio Liverani, noto giornalista e direttore del Sì alla Vita, ha cercato di documentare con stile giornalistico nel suo libro il Dizionario dell’antilingua, denunciando il caos verso cui sembra tendere la società postmoderna e il rischio della perdita di ogni orizzonte di fine. È per questo che alla realizzazione del progetto culturale cristianamente ispirato è preliminare e necessaria la conoscenza delle insidie della nuova antropologia in cui l’uomo si situa come creatore e signore di sé stesso.
Nelle catechesi, La via della gioia, di don Silvio Longobardi, possiamo leggere un interessante commento al primo brano che la Scrittura dedica al racconto della Creazione dell’uomo: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). “Ciò che è importante sottolineare che l’immagine di Dio qui viene esplicitamente riconosciuta non solo all’uomo in quanto tale ma all’essere umano considerato nella sua duplice forma di “maschio e femmina”. Anzi si suggerisce l’idea che l’immagine di Dio è adeguatamente rappresentata solo quando l’individualità cede il posto all’unità dei due sessi” spiega don Silvio e continua: “E difatti, ad essi, considerati nella loro unità, affida il compito di custodire la creazione: “Dio li benedisse e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gen 1,28). Il progetto originario di Dio non prevede alcuna subordinazione della donna all’uomo, ma rifiuta con la stessa forza ogni forma di chiusura individualistica: l’uomo e la donna sono chiamati ad incontrarsi e a fare della loro comunione il luogo umano in cui maggiormente risplende l’immagine di Dio. (Silvio Longobardi, La via della gioia, Catechesi 1).
L’uomo diventa immagine di Dio proprio nel momento della comunione. È stato Giovanni Paolo II a rimarcare l’importanza di questa verità con la sua personale esperienza con i giovani riversata nel suo ministero petrino. La verità sulla natura dell’uomo è essenzialmente questa: l’uomo nell’unità duale, dell’essere maschio e femmina è sponsale perché riflette la sponsalità di Dio. L’unità tra l’uomo e la donna manifesta l’unità tra le tre persone divine. L’uomo è sponsale perché Dio è sponsale. Questa natura vera dell’uomo lo porta poi a vivere da uomo sponsale e cioè a vivere e a realizzarsi nel dono di sé, nella reciprocità, nell’uscire da sé per accogliere l’altro. La vera natura dell’uomo non è dunque egoistica, non cerca il suo interesse ma lo spinge a consumarsi per l’altro perché solo a questo prezzo egli realizza pienamente se stesso.
Non basta dire dunque solo che l’uomo è un essere in relazione ma è necessario aggiungere che egli ha una natura sponsale e cioè il fondamento della sua vita non è lui stesso ma la comunione con Dio e con l’altra persona. E questa sponsalità raggiunge il suo culmine nella capacità procreativa. “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,28) proprio come la sponsalità di Dio è generativa.
La cultura gender si intrufola e mette in discussione questa natura sponsale dell’uomo verso il suo Creatore. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine “gender”, si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro la sua stessa natura che si realizza pienamente nel dono e nella complementarietà con l’Altro e con l’altro.
Commentando il brano della Creazione in entrambi le formulazioni, papa Francesco ha affermato che: “L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale. L’immagine di Dio con noi è lì, è rappresentata da quest’alleanza tra l’uomo e la donna. L’immagine di Dio è la coppia di sposi. Non soltanto il maschio, non soltanto l’uomo, ma tutt’e due. E nell’unione coniugale l’uomo e la donna realizzano questa vocazione nel segno della reciprocità e della comunione di vita piena e definitiva” (Catechesi del mercoledì, 2 aprile 2014).
Benedetto XVI parlando alla curia romana qualche anno fa sempre sull’argomento ha sottolineato che: “Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura, nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela” (Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2012).
La cultura gender pretendendo di assegnare il sesso in base a una scelta personale, e non alla natura, introduce un conflitto nella persona umana, che in realtà non esiste, in quanto il maschile ha necessità del femminile per essere compreso e attuato, e viceversa per il femminile. Annullando la diversità, l’unità, la complementarietà, la collaborazione tra l’uomo e la donna, la cultura gender spezza il rapporto tra uguaglianza e differenza perché considera gerarchia la ‘differenza’, che invece è complementarietà, reciprocità e dunque ricchezza di apporto e di relazione. In nome del rispetto delle diversità, ha come scopo quello di annullare qualsiasi tipo di differenza esistente tra un maschio e una femmina biologicamente concepiti, cancellandone anche le evidenze.
Ancora Papa Francesco a tale proposito afferma: “Quando parliamo di complementarietà tra uomo e donna in questo contesto, non dobbiamo confondere tale termine con l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico. La complementarietà assume molte forme, poiché ogni uomo e ogni donna apporta il proprio contributo personale al matrimonio e all’educazione dei figli. La propria ricchezza personale, il proprio carisma personale, e la complementarietà diviene così di una grande ricchezza. E non solo è un bene, ma è anche bellezza” (Discorso ai partecipanti al Colloquio internazionale interreligioso sulla complementarità tra uomo e donna, 17 nov 2014).
La negazione delle differenze e la rottura dell’unità
La cultura gender invece nega questa bellezza di cui parla papa Francesco. Scrive Mons. Tony Anatrella, sacerdote e psicanalista francese: “la teoria del genere rappresenta la negazione di tutte le differenze. Si sostiene così che la differenza sessuale non ha alcuna importanza nella coppia e nella famiglia, e perfino per l’educazione dei bambini, mentre invece tale differenza è essenziale”. Nota lo stesso studioso che “Questa ideologia ci spinge a ridefinire la coppia, il matrimonio, la famiglia, il concepimento e l’adozione dei bambini a partire dagli orientamenti sessuali. La società non dovrebbe quindi più organizzarsi in funzione della differenza sessuale, bensì della differenza delle sessualità. […così]”.
Tutto questo certamente non è nato all’improvviso ci troviamo a raccogliere i frutti di un tentativo attuato già da molti anni che non tiene presente proprio la natura sponsale dell’uomo: la procreazione è stata dissociata dalla sessualità (contraccezione e aborto), la coniugalità è stata dissociata dal matrimonio (convivenza), la genitorialità è stata dissociata dalla coniugalità (divorzio), la fecondità è stata dissociata dall’atto sessuale (procreazione medicalmente assistita). Si tratta di situazioni tutte generate dall’individualismo, dal soggettivismo e dal relativismo etico attuali, che lasciano credere che tutto sia possibile.
“Sono Giovanna e sono una mamma” ho concluso al Convegno. Ho visto i loro volti illuminarsi. È il linguaggio antico e sempre nuovo. Sono le parole tra le più dolci e vere che ci sia mai dato di poter pronunciare: “padre”, “madre”, “marito”, “moglie”, “famiglia” fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Bisogna rigettare ogni tentativo ideologico che porterebbe ad omologare tutto e tutti in una sorta di deviante e mortificante “pensiero unico”.
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