Educazione
“Mamma non aiutarmi a portare lo zaino, insegnami ad affrontare le difficoltà e le mie paure!”
di fra Vincenzo Ippolito
All’uso di accompagnare i figli a scuola si è aggiunto oggi quello di portare, al loro posto, zaini e cartelle. Colpa forse dei troppi libri richiesti o della preoccupazione dei genitori nell’impedire di imparare con gradualità a portare il peso della vita?
È uno spettacolo vedere i bambini andare a scuola al mattino. Alcuni sono già arzilli, sorridono e scappano diretti verso i loro compagni; altri, invece, ancora tra le braccia di Morfeo, camminano per inerzia, condotti per mano, talvolta trascinati con forza, da chi li accompagna. Chissà, al suono della campanella diventeranno forse ben svegli. È così che inganno il tempo al mattino quando rientro in convento, dopo la Messa. In quel frangente, tutti sono più nervosi al volante, cercano di evitare la fila e di far presto, eludendo il proprio turno. Io, invece, assecondando la paletta dei vigili, rallento con l’auto o mi fermo ad osservare fanciulli e genitori, in quel flusso di innocenza multicolore che mi porta a ritornare, ahimè solo con il ricordo, bambino. La cosa che più mi colpisce, nel mio osservare, è che oggi a portare zaini e cartelle non sono quasi più gli alunni, ma papà e mamme, talvolta nonni, preoccupati di far presto e di preservare dai pesi i loro piccoli.
Non sono Matusalemme, ma nessuno dei miei si è mai sognato di portare il mio zaino, né tantomeno qualcuno degli miei amici ha mai chiesto un aiuto simile ai suoi genitori. In tal caso, oltre ad essere aspramente rimproverato, sarebbe stato canzonato dai suoi compagni, perché neppure i bambini dell’asilo allora erano esenti dal portare la panierina per il pranzo.
La parola d’ordine dell’educazione oggi non è “Ascolta!” come capitava un tempo, quando l’obbedienza era legge da rispettare senza tentennamenti perché, alla pur minima ribellione, le mani non davano più carezze e le voci salivano di tono in quella scala che poteva, a seconda del grado di disobbedienza, toccare il do maggiore. L’imperativo “Ascolta!” risuona nelle nostre famiglie, ma a pronunciarlo oggi sono i figli, perché l’obbedienza è dei genitori che spesso, quasi passivamente, assecondano di buon grado capricci, se non dei più dannosi, almeno dei meno consigliabili per la pedagogia di un tempo. In tal modo, sembra tramontata la paideia che dai greci e dai romani veicolava l’educazione attraverso la passività dei fanciulli, tabulae rasae, tavolette incerate su cui l’intervento ora dolce ora più determinato, se non violento dei grandi imprimeva i precetti da tenere non solo a mente, ma nel cuore ben fissi. E cosa direbbe l’autore del Deuteronomio e la maestosa figura del suo Mosè che indirizza al popolo i giusti precetti, norme e leggi, introdotte dal primo di ogni vero comandamento “Ascolta, Israele!” (Dt 6,1)? Sorriderebbe anche sant’Agostino della nostra pedagogia, lui che, da fanciullo, non avvezzo al greco e neppure intenzionato a divenirlo, era redarguito dal dolce legno del bastone del suo maestro per apprendere l’obbedienza che rende liberi dall’ignoranza! E Benedetto da Norcia poi, se tornasse redivivo, dovrebbe riscrivere la sua Regola, mutando il suo “Ascolta, figlio, i precetti del maestro” (Asculta, fili, precepta magistri) in “Ascolta, maestro, i precetti del figlio” (Asculta, magister, precepta filii). Si troverebbe spaesato nel vedere che l’educazione oggi è tutta basata sull’assecondare i discendi, più che nell’accogliere le parole dei docenti.
Il problema oggi non è aiutare o meno un fanciullo a portare il suo zaino pesante. Piuttosto dovremmo chiederci: è un valore educare gradualmente i figli nell’assumere le proprie responsabilità? È un valore, oggi che la bandiera della libertà è sventolata in ogni dove, tagliare il cordone ombelicale e permettere ai figli di crescere con quella moderazione e prudenza necessaria in ogni età? Come vincere il tarlo della precarietà che, nella relazione educativa, genera paure, ansie e preoccupazioni? Come sconfiggere l’onnipresenza dei genitori preoccupati più del dove un figlio sia che del con chi possa essere? Non difendo l’educazione di un tempo, anzi, ben vengano le rivisitazioni di modelli pedagogici, ma forse – il forse lo aggiungo per delicatezza nei riguardi di chi legge! – oggi siamo passati all’eccesso opposto. Non dovremmo cercare, invece, la misura, il giusto mezzo, l’armonia nel dialogo educativo? Ascoltare i figli è necessario, ma non devono anche loro ascoltare e lasciare che la parola dei grandi richieda, se non l’obbedienza cieca, almeno la messa in discussione, aprendo un confronto ed un dialogo pacato nella ricerca del vero bene? Nella dinamica educativa, non si tratta di separare nettamente chi ha torto e chi ha ragione, ma di costruire relazioni di fiducia che permettano la crescita. I genitori, insegnando, imparano che i tempi cambiamo ed i figli, imparando, talvolta insegnano perché spingono a non fossilizzarsi su ciò che i genitori hanno vissuto, ma ad affrontare la sfida della modernità con coraggio. Educare non significa ripetere il prontuario dei valori e dei precetti, ma far vedere come la vita è veramente vissuta solo se orientata al vero, al bene e al bello.
La difficoltà nell’educazione oggi ha come radice l’altra, meno palese, ma più profonda, dell’istituto matrimoniale. Per sanare il rapporto educativo è necessario ancor prima vivere la bellezza e l’armonia nella coppia perché se il rapporto tra marito e moglie si nutre di reciprocità e di complementarietà, di rimando anche nell’educazione si cercherà di costruire un dialogo sereno, franco e costruttivo per giungere al vero bene. Creati ad immagine e somiglianza di un Dio che è trinità di Persone ed unità di natura, in famiglia si cercherà allora di armonizzare l’individualità di ciascuno con la bellezza dell’unità e della comunione. In gioco, nella relazione sponsale come nell’educazione, è l’equilibrio tra individuo e coppia, persona e comunione, unità e diversità. L’educazione dei figli nasce dalla capacità degli sposi, prima ancora di essere genitori, di crescere gradualmente nel dialogo e nel confronto, perché ai figli non si dona nulla di ciò che non si è sperimentato nel rapporto di coppia.
La questione dello zaino probabilmente ha come radice la capacità dei genitori non di risolvere i problemi dell’altro, ma di aiutarsi a vivere e risolvere i propri, sapendo che l’altro è accanto a noi. Forse un bambino non ha bisogno di chi gli porti la cartella, ma di sapere che, se ne ha bisogno, c’è chi lo può aiutarlo nel portare, non tanto il peso dei libri, ma le difficoltà della vita.
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