Nomadelfia

Ho avuto 58 figli, tutti quelli che il Signore mi ha affidato

di Giovanna Abbagnara

«È partita per la vita eterna» Irene Bertoni, prima «mamma di vocazione» e assieme a don Zeno Saltini cofondatrice di Nomadelfia. «Una forma nuova e profetica di maternità» scrive Mons. Cetoloni, vescovo di Grosseto nel messaggio di cordoglio. «Donne che nella loro esistenza si sono prese cura di bambini che non avrebbero avuto alcun altro affetto, crescendoli, facendoli diventare donne e uomini cristiani».

Domenica 15 maggio, nel giorno di Pentecoste la prima mamma per vocazione, di Nomadelfia, Irene, è entrata nella casa del Padre. Domani i funerali a Nomadelfia. La notizia mi ha riportata con il cuore e la mente a otto anni fa quando con mio marito e mio figlio e Salvatore Alfano, fotoreporter, siamo partiti per Nomadelfia. Uno di quei viaggi che ti restano attaccati addosso e ti cambiano il modo di guardare il mondo e ti fanno sentire l’odore del vangelo vissuto. “Quando entrate in Nomadelfia per scrutarne il mistero andate in punta di piedi perché quello che vedete è un semplice fiore strapazzato dal mondo, che nasce da una pianta avvolta nel silenzio, le cui radici sono piantate nelle più impensate miserie della vita umana, nelle tragedie dei cuori e nello sfacelo di un mondo che rovina e che rovinerà fino alla consumazione dei secoli”. Questo l’invito scolpito su pietra che don Zeno Saltini nel 1959 rivolgeva a chi si accostava alla realtà di Nomadelfia.

Questa cittadella, situata nel cuore della Maremma toscana, è composta per la maggior parte da semplici abitazioni prefabbricate, una campagna curata e lavorata con amore nonostante le asperità del terreno, querce da sughero donano ombra nei giorni assolati. C’è anche un piccolo bosco e un lago con una diga che i Nomadelfi hanno realizzato da soli con tanta fatica. In cima alla collina una grande croce troneggia e sembra ricordare a tutti la fatica di vivere la fraternità. Nomadelfia infatti significa: la fraternità è legge, legge non consiglio, legge non indicazione, legge accolta con consapevolezza e grande fiducia in Dio. Su questa legge don Zeno Saltini ha fondato un popolo nuovo, fondato sulla libertà, sulla comunione fraterna dei beni, sulla roccia della fede. Per lo Stato italiano Nomadelfia è un’associazione civile, organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro. Per la Chiesa è una parrocchia comunitaria ed un’associazione privata tra fedeli. Per il mondo è una testimonianza viva e autentica che è possibile realizzare una civiltà fondata sul vangelo. Lo spirito infatti che anima questo popolo è quello delle prime comunità cristiane descritto negli Atti degli Apostoli: “La comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che avevano lo mettevano insieme”. Sembra un’utopia, un progetto lontano dal nostro modo di vivere, ma Nomadelfia c’è, esiste, è una realtà e pur tra le difficoltà e le persecuzioni della sua storia, resiste all’usura del tempo. È composta da circa 300 abitanti, ma i numeri non rendono giustizia a quanto Nomadelfia ha generato e continua a generare nel mondo: per i 5000 figli accolti, per i 10.000 visitatori che ogni hanno sostano, per le migliaia di persone incontrate in giro per il mondo attraverso le serate di Nomadelfia. Chi potrà mai misurare tutto questo? Resterà nelle pieghe della storia, seme nascosto nei cuori, vita nuova che genera un nuovo modo di vivere e di pensare e come diceva don Zeno “ chi viene qui, sente nell’anima il bisogno di vedere un lembo di terra sul quale l’uomo viva secondo il cuore di Dio”

Un impegno per la vita

Nomadelfi non si nasce ma si diventa per libera scelta. Coloro che lo desiderano devono presentare una domanda alla Presidenza dove chiedono di essere ammessi ad un periodo di postulandato che dura tre anni. Al termine, se accettati, firmano la Costituzione sull’altare come impegno davanti a Dio e a tutto il popolo di Nomadelfia. Ho incontrato Antonella. Quando è arrivata a Nomadelfia aveva 18 mesi ed è stata affidata proprio ad Irene, la prima mamma  per vocazione. Oltre ad Antonella, Irene ha accolto altri 57 bambini di cui sei è presa cura con amore di madre. A diciotto anni, Antonella ha chiesto e ottenuto di diventare nomadelfa: “Ho scelto di restare e di donare se era possibile il doppio di quanto io ho ricevuto” mi racconta.  A 23 anni ha sposato Francesco, anche lui nomadelfo, hanno avuto e accolto 12 figli. Essere Nomadelfi non è un impegno per un determinato tempo, è una scelta per la vita, “Non è un rifugio per vivere in pace ma la risposta ad una chiamata” aggiunge Antonella “ ed è necessario rinunciare alla proprietà dei beni, essere disponibili ad accogliere i figli in affido, vivere in comune nei gruppi familiari, svolgere qualsiasi tipo di lavoro secondo le direttive della Presidenza”. Irene è stata la sua mamma. Irene le ha insegnato e testimoniato ogni cosa.

Irene aveva appena 18 anni, non era all’epoca nemmeno maggiorenne, quando nel 1941 iniziò a seguire don Zeno e si presentò al proprio vescovo con due ragazzi abbandonati: «Non sono nati da me – spiegò –, ma è come se li avessi partoriti io». Il vescovo benedisse la giovane liceale e la sua maternità non dalla carne o dal sangue, ma dallo spirito e dalla volontà. Come Irene anche Norina, morta nel 2012 è stata una mamma per vocazione. Vi ripropongo la cronaca di quell’incontro nel luglio del 2007 con Norina. Ci fa comprendere quanta grazia Dio ha donata alla sua Chiesa attraverso Irene e le tante mamme per vocazione di Nomadelfia.

La storia di Norina

«“Una mattina salii in cima ad un albero molto alto. Amavo ritirarmi lì per pregare. Volsi gli occhi al cielo e dissi al Signore: “Ora basta tormentarmi, se pensi che posso fare qualcos’altro per te, fai in modo che questo accada prima che finisca la guerra”. Era il 1943, Norina aveva 20 anni ed era fidanzata con un giovane partito per la guerra, si erano ripromessi che al suo ritorno si sarebbero sposati. Qualcuno però aveva altri progetti per lei, raccolse il suo grido quella mattina in cima all’albero, e prima che tornasse a casa il suo fidanzato, l’attirò a se e Norina divenne una mamma per vocazione, scelse di vivere una maternità virginea, di accogliere e di educare minori abbandonati come figli. Da quel giorno Norina è mamma di 74 figli.

Sarei stata ore intere ad ascoltarla, mentre mi raccontava episodi di quegli anni difficili, dello strazio della guerra, della mancanza di cibo, ma anche della felicità per quei figli abbandonati che aveva raccolto sul suo grembo e che aveva generato ogni giorno ad una pienezza di vita, amati, puliti, rispettati. “Una domenica – ricorda Norina- uno dei miei figli che amava molto giocare a calcio, era ancora a letto. Mi avvicinai e gli domandai come mai non era alla partita e lui mi rispose che si vergognava perché non aveva le scarpe adatte e così senza pensarci sopra mi recai a vendere il mio anello di consacrazione e gli comprai le scarpe”. Essere madre è stata per Norina la priorità assoluta di tutta la sua vita. Il primo bambino che le è stato affidato si chiamava Franchino. Quando arrivò Norina ricorda: “Io guardavo questo bimbo, era talmente bruttino che in cuor mio mi sono detta:  “Speriamo non tocchi a me”. Ma non avevo ancora finito di pensare che don Enzo mi chiamò e mi disse: “Questo è tuo. Curalo con amore perché è conciato molto male”. Io allora dissi: “Signore sia fatta la tua volontà”.  E da quel giorno Franchino attraverso le amorevoli cure di Norina è rinato a vita nuova. Ci sono stati anche dei momenti difficili, in cui il suo cuore di madre è stato messo a dura prova. “Era il 1952, un anno tremendo. Fummo chiamati in adunanza e ci dissero che Nomadelfia sarebbe stata sciolta e che in pochi mesi tutti i  figli accolti sarebbero stati portati via”. A questo punto un velo di tristezza scende sul viso di Norina e ricorda con chiarezza il giorno in cui partì Emilio. “La mattina che partì lo preparai bene, non volle mangiare niente, bevve solo un pochino di latte. Mi sforzai di salutarlo serenamente, anche lui si sforzò di farlo, anche se le lacrime gli scendevano silenziose. Carla, l’assistente sociale, lo prese per mano e lo portò via. Piansi tutto il giorno. Quando Carla tornò mi raccontò che arrivati a Bergamo al momento di lasciarlo, Emilio scoppiò in un pianto disperato e aggrappato alle sue ginocchia le ripeteva: Portami dalla mamma”.  Insieme ai   suoi figli, Norina ha viaggiato moltissimo, si è spostata continuamente, ha vissuto gli anni della guerra e della persecuzione ma la sua fede è rimasta salda, la sua fedeltà eroica. La sua vita è per il mondo un invito e una grande provocazione. Anche adesso che sono trascorsi tanti anni e i suoi figli sono grandi mi ripete che una madre non può stare tranquilla. Prima di morire vuole vedere i suoi ultimi tre figli sistemati con un lavoro e una famiglia, ha però tanta fiducia. Mi racconta di un sogno fatto nel 1992 e il cui ricordo dolcemente l’accompagna ogni giorno. “Fu un anno molto triste per me: troppi dispiaceri da parte dei miei figli. Ho solo voglia di piangere. La notte la passo sempre sveglia e pregando il Signore che mi dia forza di finire i miei giorni servendolo come ho sempre fatto. In una di queste notti ho fatto un sogno che mi ha dato tanta pace. Mi trovavo in chiesa a pregare, vedo avvicinarsi Gesù, bellissimo, alto con una tunica bianca. Sorridente mi si avvicina e mi dice: “Tu non sai quanto ti voglio bene” e me lo ripete tre volte. Mi svegliai di colpo provando una grande pace” Da quel giorno i problemi che aveva con i figli si sono felicemente risolti.

Si è fatto tardi, ci siamo persi nella vita di Norina, lì dove il mistero si intreccia in modo straordinario con la vita ordinaria. Si alza mentre vede arrivare uno dei suoi figli, è venuto a prenderla per portarla a messa. “Viene sempre, ogni domenica puntuale” mi dice. Si abbracciano, si guardano negli occhi,  il figlio l’aiuta a salire in macchina e salutandomi con gioia ripartono. Mentre guardo l’auto allontanarsi mi commuovo, per l’amore che genera amore, per tutti quei figli accolti e amati dalla grande mamma che è stata questa piccola donna: Norina di Nomadelfia.»




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1 risposta su “Ho avuto 58 figli, tutti quelli che il Signore mi ha affidato”

Sono un papà di tre figli.Io con mia moglie e i tre bambini facciamo parte della comunità magnificat del rinnovamento nello spirito santo.Questa realtà mi ha commosso il cuore,il Signore benedica Nomadelfia per l’amore gratuito che riesce a dare a questi piccoli.Grazie per la testimonianza di amore.

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