Martirio

Suore in Yemen: consegnate per amore

di fra Vincenzo Ippolito

Sono a terra come il giorno della loro consacrazione, quando, nella gioia di appartenere a Dio solo ed in Lui ai poveri, si distesero dinanzi all’altare, per unire il sacrificio della loro vita a quella di Gesù.

Nelle cronache e sulle copertine dei giornali non ha fatto scalpore la notizia delle quattro missionarie della Carità, barbaramente trucidate nello Yemen lo scorso venerdì. La nostra società bolla come troppo forte il colore del sangue innocente versato in odio alla fede, pur se pronta poi a sciupare fiumi di inchiostro per quell’insostenibile leggerezza dell’essere che cela l’essenza recondita delle cose. Annselna, Judith, Margarita, Reginette – questi i nomi delle religiose – sono state uccise perché pietre di inciampo come il Maestro, scomode seguaci di Cristo in un paese dove il volto di Dio richiede – così credono forse gli assassini – la soppressione dello straniero. La morte, implacabile quando si allea con la violenza e sposa l’ingiustizia, ha colto le consacrate insieme con dodici collaboratori, sulla breccia, mentre servivano la colazione agli ottanti, tra anziani e disabili, della Mother Theresa’s house ad Aden.

Il sacrificio di quelle donne, alla vigilia dell’otto marzo, mi ha fatto tornare al settembre di diciannove anni fa, quando la morte abbracciò Madre Teresa di Calcutta a ridosso dell’altra, violenta ed inaspettata, a Parigi, della principessa Diana di Inghilterra. Anche oggi, come allora, vite che si intrecciano, storia di donne che si consumano su campi diversi. Mentre si esalta il genio e la bellezza femminile, si cantano le conquiste civili e sociali del gentil sesso, altre donne trasmettono, con la consegna della loro vita, una storia non appariscente, ma non per questo meno vera, nelle periferie di un mondo dove la vita, diversamente da quanto insegna Gesù (cf. Lc 12,7), non vale più di quella di molti passeri.

Ho dinanzi agli occhi le foto di queste nuove martiri, donne vere come vero fu Gesù che, prossimo alla croce venne da Pilato definito semplicemente come l’uomo (cf. Gv 19,5). Gli assassini, gettando a terra i loro corpi, non avranno pensato, ignari del simbolismo dei nostri gesti, che invece di dileggiarle, le davano onore. Le religiose – così le foto le ritraggono – sono a terra, con il volto verso il suolo dal quale Adamo fu tratto e plasmato, inermi come chi si lascia difendere solo dal Dio dell’amore, abbandonate ad amare i fratelli fino alla fine come il Maestro, consegnate come Lui, l’Agnello che ancora oggi sull’altare si offre al Padre per la vita del mondo. A terra come il seme che cade e muore per far frutto, a terra come i covoni che attendono di essere raccolti, a terra come il bambino che, caduto, aspetta una mano amica che lo risollevi. Sono a terra come il giorno della loro consacrazione, quando, nella gioia di appartenere a Dio solo ed in Lui ai poveri, si distesero dinanzi all’altare, per unire il sacrificio della loro vita a quella di Gesù, quasi a dire, al canto delle litanie: “I santi che invochiamo mi accompagnino a rimanere a terra per essere rispalmata, a terra per stare con gli ultimi, a terra perché dalla polvere tu, o mio Signore, mi possa risollevare sempre dopo ogni caduta. Io mi abbandono a te che sei il Dio della gioia che nasce dalla croce”. Il loro è oggi il gesto della consegna rinnovata, con il nuovo abito nuziale, il grembiule ai fianchi come quello del Maestro che, nella sera dell’amore, “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugatoio e se lo mise attorno alla vita” (Gv 13,4). Sì, l’odio le ha colte mentre servivano a mensa come il Signore, mentre sentivano nelle orecchie le parole evangeliche, ripetute dalla loro Madre Teresa come regola di vita: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). È la Chiesa della stola e del grembiule – direbbe don Tonino Bello – una Chiesa – aggiungiamo noi – tutta al femminile, come quella del mattino di Pasqua, perché l’accoglienza e la consegna, la tenerezza e l’affabilità, la misericordia e la letizia perfetta sono sempre al femminile, non perché sia il vocabolario italiano ad indicarlo, ma la storia degli uomini a dimostralo.

Non possiamo che inchinarci dinanzi a queste nostre sorelle nella fede per considerale maestre di una femminilità posta al servizio del Vangelo, modello di quella rivoluzione che, profumata dal nardo dell’amore oblativo, invade la casa di Betania, e conduce a comprendere che l’emancipazione della donna non sta nell’uguagliare l’uomo in ciò che di questi è proprio, ma nel mettere a frutto i doni immensi che Dio ha impastato in lei quando, alla costola di Adamo, diede forma in Eva.

Dobbiamo riscoprire, nella professione della nostra fede, la forza dei modelli – verba volant, exempla manent – che indicano la strada da percorrere. Siano queste nostre sorelle modelli esemplari di un femminismo nuovo, intriso di Vangelo, illuminato dalla luce di Dio, che mostra fin dove giunge l’amore che è accoglienza, misericordia e perdono.




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2 risposte su “Suore in Yemen: consegnate per amore”

Scrivo per voi suor Annselna, Judith, Margarita e Reginette perchè voglio gridare il mio dolore.Affido al vento nella notte queste parole mentre l’anima si innalza in una preghiera. Una preghiera che arriva al cielo e che, sono certa, tocca il cuore di Dio. Care e dolce suore la mia penna non ha lettori, non ha copertine di giornali da riempire e le mie parole sono quelle di una donna troppo “piccola” in un mondo troppo grande e crudele.
L’unica mia forza e la preghiera. Allora prego perchè sono convinta che non vi è nulla più forte della preghiera. Pregando scopro che quel mondo troppo grande non esiste più… e vedo tutto piccolo, insignificante, ridicolo…mentre sono accanto a Te Signore mio Dio!

Scrivo per voi suor Annselna, Judith, Margarita e Reginette perchè voglio gridare il mio dolore.Affido al vento nella notte queste parole mentre l’anima si innalza in una preghiera. Una preghiera che arriva al cielo e che, sono certa, tocca il cuore di Dio. Care e dolce suore la mia penna non ha lettori, non ha copertine di giornali da riempire e le mie parole sono quelle di una donna troppo “piccola” in un mondo troppo grande e crudele.
L’unica mia forza è la preghiera. Allora prego perchè sono convinta che non vi è nulla più forte della preghiera. Pregando scopro che quel mondo troppo grande non esiste più… e vedo tutto piccolo, insignificante, ridicolo…mentre sono accanto a Te Signore mio Dio!

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