V Domenica del T. O. – C

Rischiare nella vita? Sì grazie, ma con Gesù!

Croce

di fra Vincenzo Ippolito

Accogliere la parola di Gesù è un rischio a livello personale, di coppia e in famiglia. Abituati ad una fede troppo addomesticata, il Vangelo non sempre incide nelle scelte quotidiane. Dobbiamo avere il coraggio di rischiare con noi stessi e con Dio perché rischiare è la parola d’ordine del discepolo di Cristo che vede, con stupore, come Dio cambi il fallimento in un’abbondanza non sperata.

Dal Vangelo secondo Luca (5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 


 

La pagina evangelica di oggi, quinta Domenica del Tempo Ordinario, ci presenta una tappa importante degli inizi della predicazione del Regno. Dopo l’inaugurazione della sua missione a Nazart – il brano di Lc 4,16-30, diviso in due pericopi, è stata letto nelle due ultime domeniche – e i primi miracoli operati durante l’annuncio itinerante (cf. Lc 4,31-44), l’Evangelista presenta la chiamata dei primi discepoli, creando un racconto più ampio e ricco rispetto a quello degli altri Sinottici (cf. Mc 1,16-20; Mt 4,18-22). Pietro, Giacomo e Giovanni fanno esperienza della potenza di Cristo e, da Lui chiamati a divenire pescatori di uomini, mettono la loro vita al servizio del Vangelo. La chiamata di Gesù: è questo il tema che sviluppa la liturgia odierna, occasione propizia, alle porte del tempo di Quaresima, per ritornare, con la mente ed il cuore, al nostro primo incontro con Cristo, all’esperienza dell’amore suo che ha cambiato la nostra vita, personale e di coppia, spingendoci a costruire sulla roccia della sua Parola la casa della nostra famiglia.

La sete di ascoltare Dio

Ci troviamo sulla riva del lago di Genèsaret e la folla si accalca intorno a Gesù. Non soltanto la sua fama si diffonde dovunque (cf. Lc 4,14-15), ma le folle lo cercano (cf. Lc 4,42) perché sentono di avere bisogno di Lui, desiderano ascoltare la Parola di Dio che Egli, con autorità, spezza lì dove la gente vive. Questo desiderio porta la folla, scrive san Luca, a far ressa “intorno a lui per ascoltare la Parola di Dio” (v. 1). Aver sete di Dio: è questo il desiderio profondo della folla al quale le istituzioni di Israele non sembrano dare risposta. La gente ha sete di Dio, come la Samaritana, che, al pozzo di Giacobbe, incontra Colui che dona l’acqua viva (cf. Gv 4,10); come Levi Matteo (cf. Lc 5,27-28), ciascuno ha bisogno di essere liberato dalle proprie schiavitù per vivere nella libertà della figliolanza divina; se, come nel caso di Zaccheo (cf. Lc 19,1-10), è forte nell’uomo la volontà di incontrare il Signore, ancor più grande è la volontà amorosa di Dio di soccorrere la sua creatura, la cui casa sceglie per rivelare la potenza della sua misericordia.

Se la fame e la sete sono le piaghe che ancora non si è riusciti a debellare, per la cattiva volontà dell’uomo, ancor di più la sete di Dio e la fame della sua Parola attanagliano la società attuale. Sembra, infatti, che le parole del profeta Amos siano oggi più attuali che mai “Ecco, verranno giorni, – dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11). Nel mondo di oggi c’è fame e sete di Dio! L’uomo, alienandosi da sé e dai desideri più profondi del suo cuore, spende denaro per ciò che non è pane e, quindi, non sfama (cf. Is 55,2), soddisfa i suoi bisogni primari – Dio è per l’uomo un bisogno primario, anche se crede di poter fare a mano di Lui, illudendosi! – misconoscendo Dio come acqua che disseta e pane che sfama. Sfamarsi di Dio, nutrirsi di Lui, gustare la dolcezza del suo amore, bere al calice del suo costato che gronda dell’acqua cristallina della misericordia è una necessità, un bisogno primario per ogni uomo, quando in Cristo incontra Colui che, solo, ha parola di vita eterna (cf. Gv 6) e può dissetare la sete profonda del suo cuore, il suo desiderio insopprimibile di infinito. Solo l’inifinto riempie il cuore, solo l’eterno amore di Cristo rasserena l’anima, solo il suo sguardo ravvisa, come sul lago in tempesta, la difficoltà e la sua voce ordina la bonaccia (cf. Mc).

Il nostro impegno è nutrire di Dio i nostri figli, preoccupandoci della loro crescita nella fede, dello spessore del loro cuore, vigilando sulle loro letture, custodendo i loro sensi perché il mistero del male non li svii, come accadde a Pinocchio che si fidò dei consigli del Gatto e della Volpe. Nutrire i figli significa vedere se si accostano ai sacramenti, se riescono a ritagliarsi del tempo per la preghiera, se ricercano un presbitero o un religioso per un colloquio prolungato. Vigliare e custodire i figli è l’impegno primario dei genitori perché le tecnologie non polarizzino la loro attenzione e, in casa, durante lo studio, a tavola o anche a sera, si abbia tempo per disconnettersi con l’esterno e rimanere nel nido sicuro dove è l’amore a nutrire i cuori e le menti. Noi, cresciuti in tempi diversi, che non sappiamo destreggiarsi e discernere le nuove forme di comunicazione, dobbiamo sul serio chiederci cosa serve sul serio perché i nostri figli crescano nel bene, gustando ciò che nella vita vale.

La scena che Luca dipinge è veramente bella e suggestiva. Le folle cercano Gesù e, desiderose di ascoltarlo, pendono dalla sue labbra. La gente non chiede miracoli, né come l’emorroissa desidera toccare il lembo del mantello del Maestro (cf. Lc 8,42-48) e neppure, come il centurione, che Egli entri nella sua casa. La folla non domanda nulla, desidera solo ascoltare, ascoltare Colui dal quale si sente ascoltata, compresa, accolta, amata. Il segreto dell’ascolto è l’accoglienza, senza avvertire che l’altro ti desidera, non lo ascolterai mai. Le folle avvertono che Gesù non è come gli altri maestri in Israele. La sua parola è diversa, il suo messaggio scende nel cuore, il suo sguardo infonde confidenza, la sua voce è l’unica che le pecore conoscono come quella del Pastore buono, perché le pecore “non conoscono la voce degli estranei” (cf. Gv 10,5). Si crea tra Gesù e quanti lo circondano quella sintonia che fuga la paura ed il sospetto e fa nascere la fiducia e l’amicizia. Il Signore mette a suo agio il suo ascoltatore, che sia uno o mille per Gesù non cambia, perché il buon Pastore conosce le sue pecore una a una, le chiama per nome e le conduce fuori (cf. Gv 10,3). La parola del Maestro conduce fuori dalla steccato del legalismo, libera il bene nel cuore dell’uomo, nutre la fiducia nelle proprie capacità, infonde la speranza nella presenza del Signore che ha cura di ogni suo figlio. E Gesù, dal canto suo riesce ad intercettare il desiderio profondo di coloro che lo circondano, asseconda, perché buono, il loro desiderio, si pone di buon grado in ascolto dei loro cuori in tempesta. Il Cristo, venuto ad annunciare l’anno di grazia del Signore, non si tira indietro, ma si dona alle folle con disponibilità totale, pronto sempre, in parole ed opere, a donare in abbondanza la vita.

Anche nelle nostre famiglie è necessario creare le condizioni essenziali per un clima di docile ascolto di Dio e dell’altro. Gli sposi devono continuamente esercitarsi nel non lasciarsi vincere dalla superficialità e dai mille problemi della vita. È dall’accoglienza che nasce l’ascolto e la condivisione. Se non mi sento accolto, non solo non aprirò il mio cuore perché l’altro entri nella mia interiorità, condividendone i moti segreti, ma neppure mi porro in ascolto, prendendo in considerazione ciò che mi viene detto. Una cosa è sentire, altro è ascoltare. Si tratta di due diverse azioni che riguardano la mente ed il cuore in sinergia. Quando una cosa non mi interessa, la posso sentire, mentre altro non prende la mia attenzione e quanto mi viene detto, si deposita all’ingresso della mia mente, ma non attecchisce nella mia interiorità. L’ascolto, invece, è l’arte di far scendere le parola nel cuore come balsamo che consola, seme che fruttifica. E questo dipende dalla ricchezza d’animo di chi parla, oltre che dalla sensibilità di colui che ascolta. Organo dell’ascolto non è solo l’orecchio, ma il cuore. È necessario, infatti, la profondità dello sguardo che vede l’invisibile, il timbro della voce che scende nelle profondità dell’animo, il silenzio che lascia alle parola di depositarsi senza fretta nell’anima, come l’acqua che è assorbita dalla terra con la lentezza richiesta.  

Casualità umane che per Dio sono occasioni cercate di grazia

La troppa folla desiderosa di ascoltare la Parola di Dio spinge Gesù a escogitare un espediente che possa risultare doppiamente utile. Ha bisogno che tutti ascoltino, ma, al tempo stesso, desidera che questa divenga un’occasione anche per avvicinare altri al suo Vangelo di salvezza. La scelta della barca di Simone non è un caso perché permette a questi, come anche ad altri, di ascoltare la Parola di Dio ed di entrare in relazione con Lui. Dio, infatti, non si accontenta delle novantanove pecore che sono al sicuro nel suo ovile, ma va sempre alla ricerca di quell’unica pecora che era perduta. Gesù vede “due barche sulla riva” (v. 2) e, accortosi che i pescatori sono intenti a lavare le reti, sale sulla barca di Simone e chiede. È una nuova pennellata nella scena del lago: il Signore entra nell’orizzonte della vita dell’uomo e chiede come un mendicante, Lui, il Creatore del cielo e della terra. Ancora una volta la dinamica dell’incarnazione, il senso di povertà, precarietà, bisogno dell’altro scandiscono la vita del Dio fatto uomo. Il nostro è il Signore che non ha paura di chiedere qualcosa all’uomo, quanto, invece, dovrebbe essere l’uomo a domandare, per la sua strutturale necessità, qualcosa a Lui. È nei particolari delle pagine evangeliche, lì dove il nostro occhio facilmente salta, che troviamo tutta la bellezza dell’umiltà di Dio. Egli vuole avere bisogno dell’uomo, non ha paura di chiedere, di bussare, domandare, provocare, attendere. È il mistero infinito dell’amore che, per essenza sua, mendica, elemosina, chiede all’amato non l’amore suo, ma il desiderio di essere amato, di accogliere l’amore, di soddisfare il desiderio di amare, non di essere riamato. Gesù ha bisogno della barca di Simone per annunciare la Parola di salvezza, gli è necessario che egli si discosti un po’ dalla riva che, se da un lato è distanza dalla folla perché sia ad essa più vicina, non fisicamente, ma mediante l’annuncio, per Simone e per i suoi è vicinanza della Persona del Maestro e della sua Parola. Pur senza chiederlo, i pescatori hanno ricevuto di più: è sempre la dinamica dell’unica pecorella che riceve la cura del buon pastore, perché dispersa e lontana dalla sicurezza dell’ovile.

Da Gesù impariamo che l’amore non solo è aver bisogno dell’altro, ma anche chiedere, con l’umiltà che è propria dell’amore, l’aiuto ed il sostegno, l’energia e la vicinanza di cui abbiamo bisogno e che possiamo ricevere solo da colui che ci ama e si ama. Quanta indifferenza spesso si sperimenta nei nostri rapporti! Un amore che conosce la superbia e la supponenza, l’indifferenza e la dimenticanza, dell’amore ha solo la scorza, non la sostanza, il nome non l’essenza, il suono della parola, non la dolcezza della vita. Quante volte si chiede con umiltà e sembra che questo bisogno richiesto venga accolto non per amore, ma per legge, non per delicatezza, ma per non essere ulteriormente importunati! In questi casi l’umiltà diviene umiliazione, la richiesta porta allo scontro, la voce sussurrata nel silenzio, perché meglio entri nel cuore dell’altro, produce freddezza. Come siamo lontani dall’amore che intuisce e previene e che in Cristo ha un impareggiabile maestro!

Dobbiamo proprio andare a scuola da Gesù per imparare l’amore che nulla chiede e tutto dona, per guardare come in Lui la carità, dono dello Spirito – lo vedevamo la scorsa domenica con l’inno alla carità di 1Cor 12,31-13,11 – “è magnanima, benevola […] non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,4-7) e, trovando nella carità la propria vocazione, esclamare con santa Teresa del Bambino Gesù “Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”. La famiglia deve vivere di questa amore che sprezza l’interesse proprio, l’ira, l’invidia ed il vanto, l’orgoglio e l’ingiustizia per essere nel mondo segno del Regno che Cristo è venuto ad instaurare con l’effusione copiosa del suo amore misericordioso.

 

Sulla barca di Simone – il testo non dice l’assenso del futuro Apostolo, ma lo lascia intendere – Gesù spezza la Parola ed ammaestra la folla. Siede come sulla cattedra ed insegna. Ancora un’altra pennellata di fine artista: la cattedra di Gesù è lì dove sono gli uomini. Come l’arca dell’Alleanza che seguiva il popolo nel deserto, così Gesù mette la sua tenda in mezzo ai suoi (cf. Gv 1,18), la sua tenda è il suo corpo, la dimora di Dio tra gli uomini. È una dinamica diversa rispetto al tempio di Gerusalemme, meta dei pellegrinaggi del popolo fedele e pio: non sono più gli uomini a dovere andare verso Dio, ma è Lui che raggiunge i suoi figli. È la stessa dinamica dell’amore di cui parla san Giovanni: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha dato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Gesù ci raggiunge, ci viene incontro, previene i nostri desideri, incontra le nostre vie, ci attende nei crocicchi delle nostre strade spesso buie e lontane dalla volontà del padre. Egli non ha paura di mescolarsi nella nostra storia e di guardare in faccia i nostri fallimenti ed i nostri peccati. Sceglie proprio la nostra barca, la nostra vita, per rivelarsi come misericordia, sorgente di perdono e di riscatto per ogni uomo.

Gesù parlando agli altri, dona a Simone la possibilità di ascoltare la sua parola. Se non avesse scelto la sua barca, i pescatori sarebbero rimasti a sistemare le reti, ma, ospitando Gesù, non possono non ascoltarlo. Si sono allontanati dalla spiaggia e si rivolgono a Lui, più per curiosità che per interesse, non hanno nulla da fare, la notte è stata infruttuosa e non hanno pesci da vendere. Dio utilizza sempre l’imprevedibile per rivelarsi, si intrufola in ogni occasione opportuna e non opportuna (cf. 2Tim 4,2) per essere nostro Salvatore.

Se riuscissimo a vivere ogni momento della nostra storia come occasione di grazia, momento propizio per ascoltare Dio e la sua Parola di salvezza, per incontrarlo nel volto dell’altro! Se riuscissimo ad utilizzare ogni attimo della nostra giornata per vivere la sponsalità in Cristo, l’unione sacramentale, la gioia della comunione familiare! Se lo Spirito ci rendesse capaci di testimoniare ai figli la bellezza di lasciare spazio all’imprevedibilità di Dio, al suo irrompere nella nostra vita, al suo desiderio di renderci collaboratori suoi nel donare salvezza ai fratelli! Il Signore Gesù vuole noi, le nostre famiglie e comunità come barca perché la sua voce arrivi ai lontani, chiede di essere intimo a noi per donare la familiarità e l’amicizia sua a coloro che sono sulla spiaggia del mondo. Sì, Dio vuole che io, senza ma e senza però, metta la mia vita al servizio del suo Vangelo, la mia casa divenga così accogliente ed aperta alle necessità di ogni suo figlio, il mio cuore pronto alla condivisione. Dio vuole noi! È libero di scegliere chi vuole, se ha posato il suo sguardo su di me è perché si fida delle capacità che Egli mi ha dato e perché sa che, pur con le mie durezze e fragilità, sono indispensabile all’annuncio del suo Regno. Siamo stati educati a considerare la scelta di Dio una realtà soltanto personale, ma anche il matrimonio, via della santità per l’uomo e la donna che mettono così a frutto la grazia battesimale, rappresenta una realtà da vivere insieme come vocazione non secondaria, ma complementare a quelle di speciale consacrazione. Solo così la Chiesa è la comunione dei diversi carismi, il Corpo di Cristo formato da molteplici membra, rese uno nella potenza dello Spirito del Signore Risorto.

Il coraggio di rischiare con Cristo

La predicazione rappresenta lo sfondo della chiamata di Simone e dei suoi, uno sfondo significativo perché dona la grazia di compiere quel salto di qualità indispensabile perché l’uomo manifesti la propria fede in Dio e cresca nella consapevolezza di ciò che il Signore riesce ad operare nei nostri fallimenti. Terminato l’annuncio della parola, Gesù si rivolge a Simone. Non c’è il minimo tentennamento nella voce del Maestro, né il dubbio o la paura che il chiamato non accolga la sua richiesta. In Gesù c’è fiducia totale in Dio Padre, come anche nell’uomo. “Prendi il largo e gettate le reti per la pesca” (v. 5). La richiesta sembra quasi far sorridere: Egli non è un pescatore nato come quelli che lo ascoltano, a giorno inoltrato i pesci non abboccano e Simone ed i suoi hanno alle spalle già una notte infruttuosa. Questi sono i calcoli umani, ma Dio ha una razionalità diversa dalla nostra. Egli non ci chiede di essere irragionevoli, ma di accogliere il fatto che c’è una mente superiore alla nostra, quella di Dio con la sua logica. Con Lui i calcoli sono superflui. Egli non pensa come noi, “Io sono Dio non uomo” confida ad Osea, “le mie vie non sono le vostre vie” dice Isaia. L’uomo che si pone in ascolto di Dio deve accogliere una ratio superiore, una ragione più grande. Razionalmente parlando – con quella razionalità che è umana – una vergine come Maria non poteva concepire e generare e invece l’impossibile avviene per opera dello Spirito. Quando Dio chiede qualcosa, Egli stesso la compie in noi e con noi. La parola del Signore non è affidata a noi perché noi da soli la rendiamo vera e operante nella storia. Dio chiede, ma è Lui stesso a guidarci nella realizzazione della sua volontà. Il nostro non è il Dio dell’“armiamoci e partite” perché Egli stesso si pone alla guida del suo esercito e combatte al fianco dei suoi.

Il testo greco, letteralmente dice “Allontanati verso il profondo”. Gesù sta chiedendo di andare dove l’acqua è più alta, di non aver paura di prendere il largo, di non temere le profondità del mare. Dobbiamo andare in profondità nella vita, nelle situazioni, non fermarci alla superficie, ma avere il coraggio di guardare in faccia uomini e cose, secondo Dio. Cristo chiede di rischiare entrando senza paura nei flutti del fallimento perché c’è Lui. È questo che i discepoli metteranno continuamente in dubbio: la presenza di Cristo nella loro barca. La pesca miracolosa è un esempio che deve accompagnare la vita del discepolo. Gesù c’è sempre, pur quando sembra dormire, perché in realtà non prende sonno il Custode d’Israele.

Le profondità fa paura, eppure è l’unico luogo in cui Dio parla e si rivela nel suo vero volto di misericordia. Andare in profondità significa fare sul serio. Dio non si ferma alla scorza della nostra esistenza, ma vuole porre radici nel terreno del nostro cuore. Fino a quando Dio dovrà attendere la nostra decisione di fare sul serio con Lui?

Quanto è necessario andare in profondità nella vita personale e nel rapporto di coppia, nella relazione con i figli e nelle amicizie, nel colloquio con un sacerdote e nel gruppo ecclesiale che si frequenta. Anche i consacrati sono chiamati a vivere in profondità le relazioni comunitarie, con coraggio e senza paura. Dio mi chiede di fare un passaggio nel mio camino di fede e mentre lo domanda, Egli stesso promette di essere al nostro fianco. Lungi da Lui il chiedere e lasciarci da soli nell’attuare la sua volontà. Saltare è un gioco che fanno i bambini, ma quando ne parliamo da adulti la cosa ci mette paura.

Difatti, accogliere la parola di Gesù è un rischio, Simone lo comprende bene. Siamo abituati ad una fede troppo addomesticata, a pratiche che non incidono nella vita, ad una sequela spesso di facciata che non rende la nostra testimonianza incisiva nella società e ce ne stiamo accorgendo come manchi una proposta politica ispirata ai principi del Vangelo, che armonizzi realtà naturale e disegno soprannaturale. Dobbiamo avere il coraggio di rischiare con noi stessi e con Dio perché rischiare è la parola d’ordine del discepolo di Cristo. Rischiare sì, mai però credendosi soli, perché Colui che ci chiede un salto di qualità, Egli per primo ha fatto suo il rischio di vivere da uomo con noi uomini, assumendosi la complessità della nostra esistenza. Gesù lo dirà in seguito: il discepolo non ha sicurezze, né di giaciglio, né di luogo come gli uccelli che hanno il loro nido o come le volpi che si rifugiano nelle tane. Il coraggio di rischiare si sposa poi con la determinazione di lasciare. Il Vangelo è perentorio, non ammette mezze misure, non è difficile lasciare delle cose, ma perdere e rinnegare se stessi, il proprio io che fa guerra a Dio e alla sua volontà, questo sì che non è cosa da poco.

Simone rischia con se stesso, con Gesù e con gli altri che sono soci con lui. Viene fuori da una notte di fallimento, ma vuole rischiare con Gesù sulla barca. Ora però, ed è questa la differenza con la precedente notte, getterà la reti sulla parola di Gesù. Non ha paura di fare il garzone del Signore, di affidargli il timone della sua barca, di prendere ordini dal suo Ospite in materia di pesca. Sulla sua parola vuol gettare le reti. Fare le cose fidandosi dell’altro, del suo parere, del suo punto di vista, mettendo da parte ciò che si pensa e crede è segno di un amore grande, di un’obbedienza incondizionata, di abbandono fiducioso. Perché per noi è così difficile rischiare sulla parola dell’altro, avendolo accanto? Forse perché non abbiamo fiducia in lui? Forse non crediamo che la sua proposta è per il nostro bene?

Ministri della vita, non più della morte

La pesca è abbondantissima. Simone deve chiamare anche gli altri perché la quantità di pesci è smisurata: due barche si riempiono e stanno quasi per affondare. Il vero miracolo non è la pesca, ma la trasformazione del cuore di Simone, Giacomo e Giovanni che, dopo aver accolto la predicazione prima, l’invito alla pesca poi, ora l’imperativo della sequela, lasciano tutto e permettono a Cristo di divenire il loro assoluto. La Parola – lo dimostra bene la dinamica del testo – come il seme, richiede tempo perché divenga vita. Ma tale trasformazione non è opera dell’uomo, quanto di Cristo che, presente nella vita, conduce in bene ogni attività.

Essere ministri della vita è l’impegno dei genitori ed degli educatori, chiamati da Dio ad essere suoi collaboratori nel donare la vita che va corroborata con la fede. La misericordia fa fiorire la vita – è il tema della 38a giornata della vita che celebriamo oggi come Chiesa italiana – ma per fare questo il segreto è sempre e solo guardare a Gesù che della misericordia del Padre è il volto tersissimo.




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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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