Utero in affitto

La maternità surrogata non è uno “scambio equo”

gravidanza

Utero in affitto: mentre in Italia infuria la polemica attraverso un manifesto in difesa della donna sostenuto trasversalmente da più nomi legati al mondo dello spettacolo, della religione e della cultura, ci arriva la toccante testimonianza di chi è passato attraverso tale pratica.

Lei è Tanya Prashad, una donna americana che, spinta dal desiderio di aiutare una coppia omosessuale ad avere un figlio, ha deciso di “affittare” il proprio utero, così, come racconta lei stessa in un’intervista apparsa su AbcNews oltre un anno fa. Tanya ha resistito per nove mesi all’idea di diventare madre fin quando non è arrivato il momento del parto. “Quando vidi la bambina lì fra le mie braccia, quei pezzi di carta che avevamo firmato è come se fossero scomparsi”, spiega la donna. “Finimmo in tribunale – racconta – e alla fine accettammo la decisione di una custodia congiunta”. Oggi Tanya si sente “come una che ha venduto sua figlia” e teme le ripercussioni che questa pratica possa avere sulla bambina. La stessa amarezza non sembra trasparire dalle parole di Anna e Laura, due donne italiane che insieme ai rispettivi mariti hanno scelto la maternità surrogata andando all’estero, precisamente in India. In un’intervista a Repubblica concessa in questi giorni in cui il dibattito sul tema è molto acceso in Italia, esse dichiarano di aver fatto semplicemente “uno scambio equo”: le donne indiane hanno ricevuto soldi in cambio dei figli. “Un rapporto tra adulti consenzienti” lo definiscono, e i bambini? Verrà mai detto loro che sono stato fatti nascere grazie a un assegno e che le loro madri surrogate sono stata scelte in una delle zone più povere del mondo? E le due donne indiane, senza un nome e senza un volto come tutti i poveri dell’universo, l’avranno ritenuto uno “scambio equo”? Storie che dovrebbero far riflettere la società civile e il Parlamento, ma anche coloro che frequentano le aule di tribunale e quanti sono impegnati nella costruzione di una società rispettosa e sana.




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