di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (11, 16-19)
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
Il commento
Gesù prende spunto da un gioco: un bambino suona o mima la musica e gli altri compagni devono indovinare la melodia. “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!” (11,17): vi sono bambini che non comprendono la tonalità. Sono le stesse parole che Gesù rivolge alla sua generazione: essa non sa riconoscere la “musica” che Dio suona attraverso i suoi messaggeri, prima Giovanni Battista e poi Gesù. Anzi, invece di ascoltare e accogliere con umiltà la parola che Dio vuole comunicare, pretende di giudicare i suoi inviati: ai loro occhi il Battista appare come un indemoniato, Gesù invece come un “magione e un beone” (11, 18-19). Non si lasciano interpellare dalla novità di Dio, non sanno leggere i segni che Dio manda. Quel che è peggio: rifiutano Dio in nome di Dio, non ascoltano più i suoi profeti perché pensano di conoscere già la verità. Capita anche a noi, quando facciamo a meno di Dio perché pensiamo di sapere già quel che Dio vuole. Quando ha chiamato i primi discepoli, Gesù è stato chiaro, ha detto loro: “Venite dietro a me” (Mt 4,19). È Lui che dobbiamo seguire, è Lui che traccia la strada. Non sempre comprendiamo gli eventi, non sempre sappiamo riconoscere la voce di Dio nei fatti della storia e della vita personale. Ma non dobbiamo smettere di leggere a partire dalla fede, lasciandoci illuminare dallo Spirito con l’umiltà e l’ingenuità dei bambini. Rileggendo la sua vicenda personale, Teresa di Lisieux scrive che la malattia del papà, che pure ha causato un dolore immenso a tutte le figlie, rappresenta “la nostra più grande ricchezza”: “Sì, i tre anni del martirio di Papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, io non li darei per tutte le estasi e le rivelazione dei Santi, il cuore mio trabocca di gratitudine pensando a quel tesoro inestimabile che deve causare una santa invidia agli Angeli della corte celeste” (Ms A, 73r). Oggi ci impegniamo a ringraziare Dio per tutti i doni che abbiamo ricevuto, anche e soprattutto quelli che sono arrivati attraverso eventi impregnati di dolore.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
1 risposta su “La nostra grande ricchezza”
Che bella questa vostra affermazione :”Non sempre comprendiamo gli eventi, non sempre sappiamo riconoscere la voce di Dio nei fatti della storia e della vita personale. Ma non dobbiamo smettere di leggere a partire dalla fede, lasciandoci illuminare dallo Spirito con l’umiltà e l’ingenuità dei bambini”.
Caro don Silvio,
anche noi non sappiamo leggere i segni che Dio manda, spesso siamo presi dalle nostre ansie e non riusciamo ad ascoltare la “melodia” che l’angelo messaggero celeste suona per noi. La voce di Dio è nelle note della nostra vita; la risposta è nell’ascolto. Spesso ci chiediamo del perchè del dolore e della sofferenza, vogliamo una spiegazione alle nostre domande in modo particolare verso le vicende della nostra esistenza che non hanno un senso concreto, che ci sembrano “ingiuste” perchè non seguono la nostra umana logica, ma hanno senso nella logica di Dio. Cristo ha insegnato a noi uomini a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. La sofferenza si radica nel mistero divino della redenzione del mondo. Teresa ci insegna che il soffrire è un elemento necessario alla santità. Come lo è l’amore. L’amore che Cristo ci insegna è un amore crocifisso, è un amore che espia e salva attraverso la sofferenza.L’amore è più importante della sofferenza le da un senso e la rende accettabile.Vi può essere amore senza sofferenza ma la sofferenza senza l’amore non ha significato.Solo una vita di fede ispirata dal Vangelo costituisce la risposta in grado di soddisfare la mente e riempire il cuore.i Santi ci insegnano che il soffio della speranza e la forza della carità trasformano in gioia i dolori tanto da farne leve che sollevano il mondo.
La misura dell’amore è amare senza misura.
Sant’Agostino
Da due pericoli bisogna guardarsi: dalla disperazione senza scampo e dalla speranza senza fondamento.
Sant’Agostino