Concilio vaticano II
La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia
di fra Vincenzo Ippolito
7 dicembre 1965 – 7 dicembre 2015: il Concilio Vaticano II è la bussola per navigare in questo Anno Santo della Misericordia.
È nella mia indole andare alla ricerca delle cause prime, alla ragione delle cose. Forse questo è frutto dell’educazione, degli anni trascorsi immerso nel verde, circondato dai monti. È normale, infatti, per me guardare gli alberi senza fermarsi alle foglie, prepararne i frutti d’autunno, quando tutto tace e, sotto la coltre del gelo, continua a brulicare la vita. I miei nonni, non so se ammaestrati dalla parabola dalla fico sterile o dai fallimenti dei magri raccolti, mi hanno insegnato a guardare e curare le radici, a riconoscere le escrescenze che sfruttano le viti e a tagliare i succhioni che crescono intorno agli olivi. Per me questo modus agendi è divenuto un modus vivendi: approccio la realtà, guardo il mondo, mi relaziono con la vita mia ed altri come se stessi davanti ad un albero: lo guardo con lo stupore di un bimbo, lo studio con l’occhio dell’agricoltore, gli sorrido con la mente del poeta, gli parlo con il cuore del credente. Così è accaduto anche ieri. Mentre il Papa ricordava nell’Angelus il 7 dicembre 1965, nel quale, dopo ben nove secoli, cattolici e ortodossi riconoscevano di essere fratelli, cancellando le reciproche condanne, innescando la medesima dinamica di quando ero bambino, andavo con il cuore al Concilio. In un attimo dinanzi a me appariva il maestoso incedere di Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962, il suo dire cadenzato in un latino d’altri tempi, ma così nuovo nei temi accorati, nelle forme stringate, nelle idee ispiranti. La mente mia, mai paga, poi passava, come in un cortometraggio, al volto emaciato di Paolo VI, il Cireneo del Concilio, ai suoi gesti incisivi come le sue parole, in quel 7 dicembre 1965: “L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso”. Ecco le radici dell’albero che cercavo!
Sì, la radice del nuovo umanesimo che la Chiesa italiana ha posto come suo programma è nel Concilio – “Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo” Paolo VI, 7 dicembre 1965 – come nelle parola di Giovanni XIII all’apertura del Concilio – “la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia” – è la chiave per comprendere l’anno giubilare indetto da papa Francesco. La Chiesa non dice cosa nuove, ma ci chiama a divenire nuovi per il dono di Dio! Dal Concilio è l’attenzione alla Chiesa e alla Parola di Dio, alla Liturgia, alla famiglia umana e alla santità, meta di ogni vocazione nella Chiesa per la vita del mondo; dal Concilio il rinnovato impegno per l’ecumenismo, la libertà religiosa, la vita umana nelle sue molteplici sfaccettature e potenzialità. Sì, lo diceva Giovanni Paolo II, il Concilio è la bussola e, aggiungiamo noi, chi la smarrisce, si perde tra i flutti del mare.
Se riuscissimo, durante quest’anno, a ritornare sulle ginocchia dei nonni, a guardare i gesti dei genitori, ad ascoltare le parole dei grandi! Ritornare alle radici serve per trovare linfa nuova, non per rivivere un passato che non ha senso – questo è anacronismo! – ma perché i valori, le intuizioni e lo spirito di un tempo segni il presente, motivi l’impegno, generi vita, accenda nei cuori la speranza. Ritornare alla radici significa sentirsi parte di una storia, essere rami che tutto ricevono dal basso attraverso il tronco, che vivono la fraternità con gli altri rami, che si ossigenano grazie all’azione delle foglie. La famiglia, come la Chiesa è un albero, riceve e dona, accoglie da povera e quale ricca dispensa. È la legge della natura. Il ramo, così anche le radici e le foglie nell’unità si completano, nessuno può dire di bastare a se stesso o di far bene da solo, così in ogni famiglia, così nella Chiesa. Tutta la forza, però, è dal basso, dalla radici. Ecco perché dobbiamo ritornare al fondamento, all’essenziale che ci costituisce. “Nessuno – ammonisce san Paolo – può porre un fondamento diverso da quello che già si trova che è Gesù Cristo” (1Cor 3,11). È questo il cammino che attende anche la Chiesa durante quest’anno: ritornare al Concilio, ristudiandone i Documenti, vivendone lo Spirito per essere misericordiosi come il Padre.
Non avrei mai sognato che guardare gli alberi avrebbe cambiato il modo di pensare e far pensare la vita.
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